CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 luglio 2020, n. 13630
Riscatto dei contributi previdenziali relativi al periodo di laurea – Decadenza dalla domanda – Termine di decadenza ex art. 47, d.P.R. n. 639/1970 – Sussistenza del diritto al riscatto non appartenente al novero delle controversie in materia di “trattamenti pensionistici” – Riscatto quale istituto attinente non al rapporto giuridico previdenziale propriamente detto
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 9.1.2014, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato P.S. decaduto dalla domanda di riscatto dei contributi previdenziali relativi al periodo di laurea.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che, avendo l’assicurato presentato la domanda nell’ottobre 1985 e avendo successivamente intentato l’azione giudiziaria solo nel 2010, fosse incorso nella decadenza di cui all’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, nel testo modificato dall’art. 4, d.l. n. 384/1992 (conv. con l. n. 438/1992).
Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione P.S., deducendo un motivo di censura, poi ulteriormente illustrato con memoria. L’INPS ha resistito con controricorso. La causa è stata rimessa alla pubblica udienza a seguito di infruttuosa trattazione camerale.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 47, d.P.R n. 639/1970, dell’art. 11 prel. c.c. e del d.l. n. 384/1992 (conv. con l. n. 438/1992), nonché motivazione insufficiente e contraddittoria, per avere la Corte di merito ritenuto che egli fosse decaduto dall’azione giudiziaria senza considerare che il termine triennale di cui al d.l. n. 384/1992, cit., può trovare applicazione solo rispetto alle domande presentate dopo la sua entrata in vigore e non anche in relazione a domande presentate, come nella specie, ben prima, e altresì per non aver tenuto conto del fatto che la domanda di riscatto non comporta per l’ente previdenziale alcun esborso di ratei pregressi, ma piuttosto l’acquisizione di somme a titolo di contributi a valere su una futura prestazione pensionistica.
Il motivo è fondato.
Va premesso che questa Corte ha in passato ritenuto che la domanda di riscatto del corso di laurea rientrerebbe senz’altro tra le prestazioni previdenziali previste a favore di determinati lavoratori subordinati, sicché ad essa sarebbe applicabile il termine di decadenza di cui all’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, fermo restando che la maturazione del termine non escluderebbe che il riscatto possa essere chiesto successivamente, ancorché con riferimento ai parametri retributivi in atto alla data della nuova domanda (così Cass. n. 15521 del 2008; nello stesso senso, Cass. n. 20924 del 2018).
Si tratta tuttavia di un’opzione interpretativa alla quale il Collegio non ritiene che possa essere data continuità, dal momento che, oltre ad essere stata affermata da Cass. n. 15521 del 2008 in modo affatto apodittico (e poi tralaticiamente richiamata da Cass. n. 20924 del 2018), appare difficilmente conciliabile sia con la lettera dell’art. 47, cit., sia con la sua ratio, quale è stata delineata dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Dal punto di vista letterale, infatti, l’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, assoggetta l’azione giudiziaria al termine di decadenza sia «per le controversie in materia di trattamenti pensionistici» che «per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88»; ed è palese che la controversia concernente la sussistenza del diritto al riscatto del periodo di laurea non può considerarsi prima facie appartenente al novero delle controversie in materia di “trattamenti pensionistici”, dal momento che il riscatto è istituto finalizzato a consentire la copertura assicurativa di un periodo in cui l’interessato, essendosi dedicato allo studio, non ha potuto ottenere il versamento dei contributi assicurativi che avrebbe invece conseguito se avesse lavorato (così Cass. nn. 18238 del 2002 e 16828 del 2019), e dunque attiene non al rapporto giuridico previdenziale propriamente detto, che sorge soltanto col verificarsi dell’evento protetto che dà titolo ai corrispondenti “trattamenti pensionistici”, ma ad un diverso rapporto, ad esso preliminare, che concerne la formazione della posizione assicurativa che ne costituisce il presupposto e che ha ad oggetto, in ultima analisi, il pagamento dei contributi previdenziali (rectius, della corrispondente riserva matematica ex art. 13, l. n. 1338/1962) e l’adempimento da parte dell’ente previdenziale di quegli obblighi di carattere tecnico-amministrativo utili a soddisfare il corrispondente interesse dell’assicurato.
Vero è che, a partire da Cass. n. 1576 del 2013, un consolidato indirizzo di questa Corte di legittimità ha affermato che nell’ambito delle controversie relative ai “trattamenti pensionistici” sono da includere anche quelle volte ad ottenere i benefici della rivalutazione contributiva previsti da leggi speciali (ad es., art. 9, comma 2, l. n. 113/1985; art. 13, comma 8, l. n. 257/1992), che attengono non al rapporto giuridico previdenziale propriamente inteso, bensì al rapporto contributivo (v., nello stesso senso, tra le numerose, Cass. nn. 7934 del 2014 e 12087 del 2017).
E’ però altrettanto vero che tale estensione è stata giustificata sul presupposto che, in quei casi, oggetto della domanda era il diritto ad un beneficio dotato di una sua specifica individualità e autonomia, che è riconosciuto dalla legge in presenza di condizioni diverse rispetto a quelle previste per la liquidazione di pensioni e supplementi secondo le regole ordinarie e che consiste in una contribuzione figurativa attribuita a speciali categorie di lavoratori assicurati, tale di per sé sola da comportare un incremento del trattamento pensionistico futuro ovvero, a seconda dei casi, la rideterminazione del trattamento pensionistico in essere (così, specialmente, Cass. n. 12087 del 2017, cit., in motivazione). E se in casi del genere l’estensione del regime decadenziale appare affatto coerente con la ratio dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, cit., che – come più volte statuito da questa Corte di legittimità – è dettato a protezione dell’interesse pubblico alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici (Cass. nn. 12508 del 2000, 18528 del 2011, 3990 del 2016, 28639 del 2018), altrettanto non può dirsi nel caso, che qui occupa, del riscatto, trattandosi di istituto di carattere generale dell’assicurazione obbligatoria e oneroso per l’istante che ne faccia domanda, che è tenuto a pagare il 50% della riserva matematica necessaria a generare la rendita pari alla quota di pensione che gli spetterebbe in relazione ai contributi omessi nel periodo degli studi per conseguire la laurea (v. art. 2-novies, l. n. 114/1974, che ha abrogato l’art. 50, l. n. 153/1969).
Si deve piuttosto rilevare che di tale estraneità del riscatto rispetto sia al novero dei “trattamenti pensionistici” stricto sensu che all’ambito dei benefici contributivi speciali idonei a incrementare a totale carico del sistema previdenziale pubblico le provvidenze spettanti all’assicurato è riprova il fatto che le stesse pronunce, dianzi ricordate, che hanno affermato l’assoggettabilità delle controversie in materia di riscatto alla decadenza di cui all’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, cit., hanno comunque ritenuto di escludere per il diritto al riscatto ciò che invece della decadenza è conseguenza normale e indefettibile, ossia l’estinzione definitiva del diritto che ne è oggetto e l’impossibilità di conseguirlo mediante una nuova domanda (giurisprudenza consolidata: v. da ult. Cass. n. 21039 del 2018): che è, ovviamente, conclusione contraddittoria rispetto alla premessa dell’applicabilità del regime decadenziale, ma affatto ragionevole se, come invece deve essere riconosciuto, si muove dall’opposta premessa che, in casi del genere, la decadenza ex art. 47, d.P.R. n. 639/1970, non trovi applicazione alcuna, potendosi a tutto concedere discorrere della natura essenziale o meno, ex art. 1457 c.c., del termine che, in esito all’accoglimento dell’istanza di riscatto, sia stato stabilito dall’ente previdenziale per il versamento della riserva matematica e della conseguente decadenza in cui sia incorso l’interessato che non l’abbia rispettato (cfr. in tal senso Cass. nn. 708 del 1992 e 16142 del 2002, dove peraltro la precisazione che, trattandosi di giudizio da effettuare alla stregua delle previsioni del d.m. 19.2.1981, che è atto amministrativo non normativo, la relativa questione è censurabile per cassazione solo in relazione alla violazione delle regole di ermeneutica contrattuale ovvero per omesso esame circa un fatto decisivo, ex art. 360 n. 5 c.p.c.).
Pertanto, non essendosi la Corte di merito attenuta al suesposto principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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