Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sez. 1 sentenza n. 1495 depositata il 3 dicembre 2021
Retratto e agevolazioni fiscali
Ai fini delle agevolazioni fiscali per la “piccola proprietà contadina”, il termine quinquennale di divieto di alienazione o di cessazione dell’attività di diretta coltivazione decorre dalla data di registrazione della sentenza di accoglimento del retratto e non dalla data di stipula della vendita eseguita in violazione della prelazione
Con ricorso alla CTP di Firenze, i contribuenti in epigrafe hanno impugnato l’avviso di liquidazione pure in epigrafe indicato, con il quale è stata accertata la decadenza parziale delle agevolazioni fiscali previste per la c.d. piccola proprietà contadina ex art. 12, comma 4 bis, del DL 194/2009 convertito dalla legge 25/2010, a seguito di alienazione parziale del 20 ottobre 2015 da parte dei suddetti ricorrenti mediante conferimento nella “A. S. A. a r.I.” dei beni trasferiti agli stessi a seguito della domanda di retratto agrario accolta dalla Corte d’Appello di Firenze con sentenza XXX, del 24 maggio 2013, depositata il 17 giugno 2013 e registrata a Firenze il 16 dicembre 2013 al n. XX240.
Nel ricorso era dedotta la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dei benefici predetti, che sarebbero spettati ai ricorrenti (eredi di L. D., titolare del diritto di retratto) poiché l’effetto retroattivo della sentenza predetta decorrerebbe dal 13 settembre 2001, data dell’alienazione dichiarata illegittima dalla Corte d’Appello, con la conseguenza che l’alienazione del 20 ottobre 2015 – effettuata a favore di società di capitali avente come amministratore un coltivatore diretto – sarebbe intervenuta dopo il decorso del termine di cinque anni dalla acquisizione dei beni da parte dei ricorrenti previsto dall’art. 11 del d.lgs. 228/2001.
Avendo l’Ufficio resistito al ricorso, la CTP lo ha respinto con condanna delle parti private alle spese, avendo ritenuto che ai fini delle imposte di registro ed ipotecaria l’acquisizione dei beni ha effetto dalla data della sentenza di accoglimento del retratto e quindi la successiva cessione è avvenuta prima della scadenza del termine quinquennale predetto e non nei confronti di una società di persone, ma di capitali.
Hanno proposto appello i contribuenti, per i seguenti motivi:
1) la motivazione della sentenza appellata sarebbe meramente apparente;
2) l’accoglimento della domanda di riscatto agrario determinerebbe la sostituzione ex tunc dell’avente diritto alla prelazione nella posizione giuridica del terzo acquirente del fondo, senza nessuna distinzione tra la disciplina civilistica e quella tributaria e fiscale;
3) le agevolazioni per la piccola proprietà contadina si estenderebbero alle società agricole di capitali con almeno un amministratore coltivatore diretto (nella specie, A. D.).
Ha resistito all’appello l’Agenzia delle Entrate, con controdeduzioni datate 9 ottobre 2018. I contribuenti hanno illustrato la loro posizione con memoria datata 2 novembre 2021.
L’appello è infondato, per le ragioni che di seguito si espongono in riferimento all’elencazione dei motivi sopra riportata.
1) Irrilevante risulta il motivo di gravame avente ad oggetto la pretesa natura meramente apparente della motivazione della sentenza appellata. E ciò, per il carattere devolutivo dell’appello, che non ha funzione cassatoria, ma è rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (giurisprudenza consolidata; cfr. da ultimo, ad esempio, Cass. ord. 24641/2018).
2) Il secondo motivo risulta infondato. Infatti, secondo l’orientamento di cui a Cass. 12551/2001, è irrilevante, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, ogni considerazione “civilistica” sulla natura giuridica, dichiarativa o costitutiva, della sentenza che pronuncia sulla domanda avente ad oggetto l’esercizio del diritto di riscatto, integrando detta pronuncia la fattispecie prefigurata dal combinato disposto degli artt. 1 del DPR 131/1986, 8, lettera a), ed 1, comma 1, della Tariffa, Parte prima, allegata a detto decreto, laddove prevedono l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale agli atti giurisdizionali recanti trasferimento di diritti reali su beni immobili, il cui contenuto corrisponda, come nella specie, ad un atto traslativo a titolo oneroso della proprietà di bene immobile.
Sul punto le parti private in atto d’appello hanno obiettato che l’appena ricordata sentenza 12551/2001 della Suprema Corte sarebbe inconferente rispetto al caso in esame, perché avrebbe giudicato su un’ipotesi di retratto urbano in cui l’acquisto da parte del retraente del fondo dal proprietario venditore è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo; e la pronuncia in questione avrebbe giudicato in una vertenza che non avrebbe avuto ad oggetto la natura (costitutiva o dichiarativa) delle sentenze di accoglimento di retratto.
Ma tale obiezione non è condivisibile. Infatti proprio nella sentenza appena richiamata Giudici di legittimità si sono premurati di precisare l’irrilevanza della detta condizione sospensiva in riferimento alla disciplina tributaria dei trasferimenti di proprietà di immobili in conseguenza di sentenze di accoglimento di domande di retratto.
D’altra parte, che la sentenza 12551/2001 dei Giudici di legittimità sia stata emessa in una vertenza avente ad oggetto la natura (costitutiva o dichiarativa) di una sentenza di accoglimento di retratto emerge chiaramente dal tenore della litis contestatio riportata testualmente nella detta pronuncia della Suprema Corte di cui si trascrive la parte narrativa (paragrafo 1.2): «La Commissione adita (CTP di Roma; n.d.R.), con sentenza n. 4130/98 dell’8 aprile 1998, tra l’altro, accolse il ricorso della Società [omissis] ed annullò l’avviso di liquidazione impugnato, affermando, in primo luogo, che la sentenza della Corte romana doveva considerarsi meramente ricognitiva di diritti e non costitutiva, sicché la stessa era assoggettabile ad imposta proporzionale di registro nella misura dell’ l %, ai sensi dell’art. 8, comma 1 lettera c) della Tariffa allegata al decreto di registro [ … ]»; ed ancora (paragrafo 1.3): «In particolare, per quanto in questa sede rileva, la Commissione (CTR di Roma; n.d.R.) ha così, testualmente, motivato: “Ritiene questa Commissione che l’avviso di liquidazione art. 22XX/91 possa ritenersi perfettamente legittimo e perciò valido nei confronti della soc. [omissis]. In contrasto con quanto ritenuto dai Giudici di primo grado, questa Commissione …. è dell’avviso che la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2249/91, oggetto di registrazione, ha indubbia natura costitutiva e non meramente dichiarativa […]»; ed ancora (sempre paragrafo 1.3): «la sentenza del Giudice di appello, in accoglimento delle dette conclusioni ha testualmente così provveduto: …. (cfr., supra, n.1.1). Così affermata la portata traslativa della sentenza, è conseguente che questa dovesse scontare in sede di registrazione la tassa di trasferimento e di trascrizione, non potendo avere rilievo alcuno, rispetto ai dedotti profili, la condizione sospensiva del preventivo pagamento del prezzo […]».
In tale contesto, la Suprema Corte, con la citata pronuncia n. 12551, ha chiaramente statuito su due punti del tutto distinti, affermando:
a) (nel paragrafo 2.2, comma 7) l’assoluta irrilevanza della definizione civilistica (dichiarativa o costitutiva) delle sentenze di accoglimento di domanda di retratto e la conseguente piena applicabilità del combinato disposto degli artt. 1 del DPR 131/1986, 8, lettera a), ed 1, comma 1, della tariffa, Parte prima, allegata al decreto, che prevedono l’imposta di registro proporzionale con l’aliquota ordinaria sugli atti giurisdizionali recanti trasferimento di diritti reali su beni immobili, il cui contenuto corrisponda, come nella specie, ad un atto traslativo a titolo oneroso della proprietà di bene immobile;
b) (nel paragrafo 2.2, commi 8 e 9) l’assoluta irrilevanza delle eventuali condizioni sospensive che siano previste nelle sentenze stesse, con conseguente inapplicabilità dell’art. 27, comma 1, del DPR 131/1986.
Si tratta, all’evidenza, di due statuizioni del tutto indipendenti l’una dall’altra, la prima soltanto delle quali riguarda, con pieno valore di precedente giurisprudenziale, la presente controversia.
Del resto, l’appena richiamato indirizzo risulta corrispondere ad un’interpretazione costituzionalmente adeguata della normativa de qua.
Come confermato in sede di legittimità, infatti (cfr. Cass. ord. 15489/2016; Cass. ord. 25438/2015) i requisiti per usufruire delle agevolazioni fiscali in favore della piccola proprietà contadina debbono essere comprovati dalla parte interessata mediante la produzione, al momento della registrazione dell’atto, di certificazione definitiva o, in alternativa, di attestazione provvisoria da sostituire, entro il termine perentorio triennale, da certificato definitivo. Ed il presupposto della iscrizione nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, previsto dall’art. 2 del DL 194/2009 non ha natura di requisito istantaneo (che debba ricorrere solo al momento dell’acquisto agevolato) ma – avuto riguardo al disposto dell’art. 1647 c.c. coordinato con quello delle disposizioni delle leggi speciali in materia (da cui si desume che l’obbligo di iscrizione nella gestione previdenziale dei coltivatori diretti è subordinato allo svolgimento di tale attività con abitualità e prevalenza rispetto alle altre eventuali attività lavorative) – deve essere caratterizzato dalla permanenza nel tempo, pena la decadenza (cfr. Cass. ord. 3598/2021). A norma dell’art. 7, comma 4, della legge 604/1954, l’accertamento della carenza dei requisiti per l’agevolazione tributaria è preciso dovere dell’Amministrazione, la quale deve essere pertanto messa in grado di espletare i relativi compiti.
Né alcun rilievo può esplicare l’accertamento contenuto nella sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. XXX/2013. Infatti, da una parte deve rilevarsi che i requisiti previsti dall’art. 7 della legge 817 /1971 per l’accoglimento da parte del giudice ordinario delle domande di retratto (essere coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita) sono solo parzialmente coincidenti con quelli previsti dall’art. 2, comma 4 bis, del DL 194/2009 per fruire delle agevolazioni fiscali (essere coltivatore diretto iscritto nella relativa gestione assistenziale e previdenziale). Dall’altra, in perfetta coerenza con i principi di cui all’art. 24 della Costituzione l’art. 2909 c.c. dispone che l’accertamento contenuto nel giudicato fa stato solo tra le parti del giudizio, i loro eredi od aventi causa; e quindi, nella specie, non ha effetto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, che non ha partecipato al giudizio di retratto e che deve pertanto essere posta in grado di esplicare il potere – dovere di accertamento della sussistenza dei requisiti per l’agevolazione senza che si verifichi (in violazione dell’art. 3 della Costituzione) un ingiustificato trattamento differenziato rispetto agli acquisti di piccola proprietà contadina non derivanti da sentenza e senza che si verifichino situazioni di limitazione dell’esercizio dell’attività amministrativa (in violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità sanciti dall’art. 97 Cost.). Ne consegue che la normativa de qua deve essere interpretata come facente decorrere, nel caso di acquisizione del bene mediante retratto, il termine quinquennale di divieto di alienazione o di cessazione dell’attività di diretta coltivazione non dalla data di stipula della vendita eseguita in violazione della prelazione, ma dalla data di registrazione della sentenza di accoglimento del retratto.
E proprio in tal senso si è espressamente pronunciata la Suprema Corte con recentissima sentenza (Cass. ord. 3260/2021), nella quale ha enunciato il seguente principio di diritto:
«L’acquirente di un fondo rustico che abbia esercitato il diritto di riscatto agrario, avvalendosi delle agevolazioni fiscali relative all’acquisto della piccola proprietà contadina, il quale, successivamente, entro il quinquennio (dall’esercizio del diritto di riscatto) affitti il bene a terzi, decade dal trattamento agevolativo, indipendentemente dal fatto che l’esercizio del diritto di riscatto comporti la sostituzione del riscattante nella posizione dell’originario acquirente con effetto retroattivo, essendo necessario, ai sensi della L. 6 agosto 1954, n.604, art. 7, che egli provveda per cinque anni alla coltivazione diretta del fondo».
Tale principio, affermato per l’affitto infraquinquennale dei beni, è evidentemente valido a fortiori per la cessione infraquinquennale degli stessi.
3) Parimenti infondato risulta il motivo di appello secondo cui la decadenza dalle agevolazioni non sarebbe applicabile in caso di cessione dei beni ad una società agricola di capitali. Esattamente, invece, la CTP ha ritenuto legittima la declaratoria di decadenza dei contribuenti dal beneficio a seguito del trasferimento ad una società di capitali. Come chiarito dalla Suprema Corte (Cass. ord. 1565/2016), il legislatore ha previsto deroghe alla decadenza in due distinte disposizioni: l’art. 11 del d.lgs. 228/2001 e l’art. 9 del medesimo d.lgs. 228/2001.
Orbene, l’art. 11, comma 3, del d.lgs. 228/2001 (cfr. Cass. 6688/2014; Cass. ord. 13426/2017) esclude la decadenza nell’ipotesi che l’acquirente alieni il fondo a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado che esercitino l’attività di imprenditore agricolo (e ciò non è avvenuto nel caso di specie, nel quale la cessione è stata effettuata a favore di una società di capitali). Ciò posto, occorre rilevare che non risulta applicabile nel caso di specie neanche l’art. 9 del citato d.lgs. 228/2001, il quale limita espressamente ai soci delle società di persone – esercenti attività agricole – in possesso della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale l’estensione delle agevolazioni tributarie stabilite a favore delle persone fisiche in possesso delle predette qualifiche, non menzionando le società di capitali.
In definitiva, l’appello deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
La commissione rigetta l’appello. Condanna i contribuenti, in solido tra loro, a rimborsare all’Agenzia delle Entrate le spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
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