CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2019, n. 31520
Licenziamento – Giustificato motivo oggettivo – Soppressione del posto di lavoro – Assunzioni successive – Indennità risarcitoria onnicomprensiva
Fatti di causa
1. Nella sentenza oggi gravata si legge che, con ricorso ex art. 1 comma 48 della legge n. 92/2012, M. M., Project Manager e Responsabile delle ristrutturazioni e manutenzioni dei negozi dell’Area Sud della A. I. spa con il compito di occuparsi della gestione tecnica e commerciale dei progetti di ristrutturazione delle varie farmacie collocate nella zona di competenza, aveva impugnato il licenziamento adottato nei suoi confronti con rar ricevuta il 17.4.2015 per giustificato motivo oggettivo (soppressione del suo posto di lavoro con la terziarizzazione delle attività connesse alla ristrutturazione dei punti vendita dell’Area Sud) deducendo la inefficacia e/o nullità e/o illegittimità del recesso, posto che erano stati assunti due lavoratori successivamente al suo esodo (B. L. e L. V.) e per la violazione dell’obbligo di repechage atteso che non era stata verificata la possibilità di adibirlo a mansioni diverse anche inferiori.
2. Con ordinanza del 25.2.2016, nel contraddittorio delle parti, il Tribunale di Bologna aveva rigettato la domanda rilevando che il fatto posto a fondamento del recesso non era manifestamente insussistente e che la richiesta diretta ad ottenere la tutela risarcitoria era inammissibile, trattandosi di una mutatio libelli.
3. A seguito di ricorso ex art. 1 comma 51 e ss. della legge 92/2012, presentato dal M. e opposto dalla società, lo stesso Tribunale, con la sentenza n. 659/2016, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data di licenziamento e aveva condannato la A. I. spa a corrispondere una indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 12 mensilità della ultima retribuzione globale di fatto.
4. Proposti reclami principale, da parte del lavoratore, e incidentale, da parte della A. I. spa, la Corte di appello di Bologna, con la pronuncia n. 179/2017, in accoglimento del secondo gravame, e ritenuto assorbito il primo, ha rigettato l’originario ricorso formulato da M. M..
5. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha ritenuto che: a) era infondata l’eccezione sollevata dal M. all’udienza del 19.1.2017, con la quale era stata disconosciuta la conformità all’originale della memoria di costituzione notificatagli, contenente reclamo incidentale, per violazione degli artt. 23 e 23 bis del D.lvo n. 82/05, perché la società si era costituita con il deposito cartaceo della memoria di costituzione e del relativo fascicolo, come risultava dal timbro apposto dalla Cancelleria e la conformità della copia notificata all’originale, era stata attestata dal pubblico ufficiale nella relata di notifica: ciò in assenza di una sanzione di nullità espressamente prevista dalle norme citate.; b) il ricorso in opposizione proposto dal M., pur essendo fondata l’eccezione di omessa valutazione in prime cure ex art. 112 c.p.c., era tuttavia ammissibile in considerazione delle censure mosse all’ordinanza sommaria lì dove aveva ritenuto inammissibile, per mutatio libelli, la richiesta di tutela risarcitoria avanzata dal M.; inoltre, si evidenziava che si era formato un giudicato sulla effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento (cioè sulla concreta esigenza di riorganizzazione aziendale e sulla derivata soppressione del ruolo ricoperto) non essendo stata sollevata alcuna doglianza anche in sede di reclamo principale; c) la domanda subordinata risarcitoria, formulata dal lavoratore, era ammissibile essendo contenuta in quella principale reintegratoria; d) doveva considerarsi assolto l’onere probatorio gravante sulla società, in ordine al repechage, non solo con riferimento alle mansioni equivalenti, bensì anche con riferimento a mansioni compatibili alla professionalità posseduta dal lavoratore.
6. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione M. M. affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso la A. I. spa.
7. Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 137 co. 2 c.p.c. e D.lgs. n. 82/2005, art. 23 co. 1 e 156 co. 2 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non avere rilevato la Corte territoriale che il deposito della memoria difensiva, con reclamo incidentale, era stato compiuto telematicamente e non in modo cartaceo, di talché la pretesa attestazione di conformità contenuta nella relata, richiesta dall’art. 23 D.lgs. n. 82/2005, non era idonea al raggiungimento dello scopo, atteso che la stessa non recava alcun riferimento al fascicolo informatico dal quale la copia analogica dell’originale era stata estratta; inoltre, si sostiene che la assenza di conformità della copia notificata alla copia notificata può ritenersi sanzionata con la nullità dell’atto, ai sensi dell’art. 156 c.p.c. nella parte in cui la disposizione prevede che può essere pronunciata la nullità quando l’atto medesimo manca dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
3. Con il secondo motivo si censura l’erronea declaratoria di formazione del giudicato, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., sulla sussistenza dei fatti costitutivi posti a fondamento del licenziamento, per non essere stata la questione ritenuta, nella gravata sentenza oggetto di specifico motivo di reclamo, pur essendo stata la tematica dell’esigenza di riorganizzazione aziendale, come dedotta dalla società, oggetto delle doglianze formulate da esso M..
4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, artt. 1175, 1375, 2967 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per avere errato la Corte territoriale nel ritenere che in prime cure era stata omessa la dovuta attività di indagine anche con riferimento a mansioni inferiori, come già evidenziato nella lettera di recesso, perché in essa mancava ogni riferimento alla impossibilità di adibire il ricorrente a mansioni inferiori, e per avere errato la Corte di merito nell’avere ritenuto che le nuove assunzioni di personale si riferissero a mansioni diverse e incompatibili con la professionalità del lavoratore; rappresenta, al riguardo, che gli oneri di allegazione e di prova ricadevano solo ed esclusivamente sul datore di lavoro, nel caso in esame non assolti, e che, anche laddove l’asserita soppressione della posizione ricoperta si fosse rivelata effettivamente sussistente, in ogni caso il datore di lavoro avrebbe dovuto dare la prova che al lavoratore fosse stato proposto un reinserimento rispettando il criterio di equivalenza delle mansioni o che fossero state proposte mansioni inferiori come unica alternativa al recesso e queste erano state espressamente rifiutate: ciò, nel caso in esame, non era avvenuto e, quindi, erroneamente era stato ritenuto assolto l’onere posto a carico della società.
5. Preliminarmente deve essere valutata l’eccezione, sollevata dalla difesa del M. nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., riguardante la nullità della procura alle liti, conferita da D. L., in forza della quale era stato sottoscritto il controricorso.
6. In primo luogo, va precisato che la documentazione prodotta all’odierna udienza dalla società, volta a giustificare la qualità di procuratore speciale della parte in senso sostanziale che, in tale veste, aveva rilasciato il mandato per il giudizio di legittimità, è ammissibile ex art. 372 c.p.c. (in termini Cass. 31.7.2015 n. 16274; Cass. 2.5.2007 n. 10122).
7. Ciò premesso, rileva il Collegio che, in ogni caso, l’assunto di cui all’eccezione del ricorrente non coglie nel segno perché, essenzialmente, è incentrata sul mancato deposito, agli atti, della procura notarile con la quale al L. era stato conferito il potere di rappresentare la società e, quindi, di conferire il mandato difensivo all’avvocato, ma non viene contestata effettivamente la sussistenza di tale potere in capo al soggetto conferente.
8. Peraltro, l’eccezione si palesa tardivamente proposta in quanto già nel giudizio di appello D. L., con la memoria di costituzione ex art. 1 co. 58 e ss. legge n. 92 del 2012 con reclamo incidentale, si era dichiarato procuratore speciale, in quanto Amministratore delegato, della A. I. spa e, in tale qualità, aveva conferito il mandato difensivo.
9. Questa Corte (cfr. Cass 13.2.2009 n. 3541; Cass. 19.1.2017 n. 1332) ha affermato che, in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la parte che contesti che la persona fisica, la quale assume di rivestire la qualità di rappresentante di una persona giuridica, manchi del potere rappresentativo, deve sollevare siffatta contestazione nella prima difesa, restando così onere dell’altra parte documentare la pretesa qualità.
10. L’odierna ricorrente non ha dimostrato, invece, di avere tempestivamente contestato, in quella sede, il potere rappresentativo del L. né la gravata sentenza affronta tale questione, di talché la stessa deve ritenersi tardivamente prospettata.
11. Ciò premesso, il primo motivo è infondato.
12. Esso, infatti, si fonda su un presupposto, cioè la costituzione telematica del reclamo incidentale spiegato dalla società, che risulta smentito sia da quanto evidenziato nella gravata sentenza, sia dai riscontri sottolineati dalla stessa controricorrente.
13. Da essi si evince, invero, che la costituzione della società era avvenuta con il deposito cartaceo della memoria di costituzione e del relativo fascicolo, come risultava dal timbro apposto dalla cancelleria il 4.1.2017, e che la conformità della copia notificata all’originale era stata attestata, nella relata di notifica, dall’Ufficiale Giudiziario che aveva proceduto alla notifica medesima.
14. Improprio, pertanto, è il richiamo de ricorrente agli artt. 23 e 23 bis D.lgs. n. 82 del 2005, in relazione ai quali era stata fondata, nel giudizio di reclamo l’eccezione di nullità della notifica dell’impugnazione incidentale, con conseguente decadenza di essa, in quanto le citate disposizioni sono relative ai duplicati e alle copie informatiche di documenti informatici e non a quelli cartacei.
15. Così come inammissibile è il riferimento, effettuato nella censura, ad una pretesa violazione dell’art. 156 c.p.c., sia perché la questione si prospetta “nuova”, non essendo stato specificato il “come” ed il “dove” la stessa sia stata formulata nei gradi di merito, sia perché un eventuale difetto o irregolarità del procedimento notificatorio non può comportare, nel rito del lavoro, la decadenza dell’impugnazione incidentale essendo questa possibile solo nella ipotesi di mancato deposito dell’atto di appello in cancelleria (che ne determina l’inammissibilità) ovvero di omissione della successiva attività di notifica (che ne causa l’improcedibilità) (cfr. Cass 19.10.2017 n. 24742): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso de quo ove si fa astratto riferimento solo ad una irregolarità dell’attività dell’organo notificante.
16. Il secondo motivo presenta diversi profili di inammissibilità.
17. In primo luogo, deve precisarsi che la censura, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e senza che fosse chiesta la declaratoria di nullità della sentenza, è stata mal posta in quanto il rimedio contro l’asserita violazione del giudicato interno è quello del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. (in termini Cass. 8.1.2014 n. 155).
18. In secondo luogo, va osservato che, anche a voler considerare la censura correttamente proposta, la stessa incontrerebbe il limite di inammissibilità della cd. “doppia conforme” ex art. 348 ter u.c. c.p.c., vertendo la stessa sostanzialmente su questioni di fatto veicolate attraverso una asserita violazione del principio del giudicato.
19. In terzo ed ultimo luogo, deve darsi atto che la Corte territoriale, in ordine alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo, ha svolto un discorso articolato precisando, da un lato, che sulla esigenza di riorganizzazione aziendale e sulla derivata soppressione del ruolo ricoperto dal M. nell’Ufficio Servizi Generali, si era formato un giudicato sul punto, non essendo stato oggetto del reclamo e, dall’altro, che le assunzioni avvenute prima e dopo il licenziamento (lavoratori L., B., Scarfini e Melchionda), per le loro modalità e per la loro tempistica, non erano rilevanti ai fini dell’osservanza dell’obbligo di repechage.
20. La censura, pertanto, non si confronta con l’effettiva ratio decidendi, limitandosi ad invocare una violazione del principio del giudicato interno senza contestare, però, in modo specifico tutti i passaggi motivazionali dell’iter logico seguito dai giudici di seconde cure.
21. Il terzo motivo, infine, presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
22. Sono inammissibili le doglianze che, al di là del formale richiamo contenuto nell’epigrafe del motivo di impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si sostanziano nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa e dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti.
23. Si tratta, infatti, di argomentazioni critiche con evidenza dirette a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa.
24. Ciò è pacificamente inammissibile in sede di legittimità.
25. Sono, invece, infondate le argomentazioni in punto di diritto sulla denunziata violazione dell’obbligo di repechage, connessa sia in ordine agli adempimenti del datore di lavoro sia relativamente alla ipotesi di reimpiego del lavoratore in mansioni inferiori.
26. L’obbligo di repechage, ossia l’onere di non potere ragionevolmente utilizzare il dipendente interessato dal recesso in altre mansioni diverse da quelle che svolgeva, costituisce una creazione giurisprudenziale (tratta dalla esegesi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, formante indiscutibilmente parte del diritto vivente.
27. E’ unanimamente riconosciuto che esso appartenga alla tematica del giustificato motivo oggettivo del licenziamento e che richieda la prova datoriale ex articolo 5 della legge n. 604 del 1966 (cfr. per tutte Cass. 2.5.2018 n. 10435).
28. La finalità dell’istituto è quella di garantire, attraverso un contemperamento tra l’interesse del datore di lavoro a perseguire una organizzazione produttiva ed efficiente e quello del lavoratore diretto alla stabilità del posto, che il recesso datoriale rappresenti l’extrema ratio cui ricorrere (in termini cfr. Cass n. 23698 del 2015).
29. La regola del repechage, che non è applicabile a tutte le tipologie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, viene sicuramente in rilievo nella fattispecie in esame ove la causale del recesso intimato al M. è stata individuata nella soppressione della sua posizione lavorativa.
30. La problematica specifica sottesa al motivo, oltre alla inutilizzabilità del lavoratore in altre mansioni anche inferiori, coinvolge una serie di questioni – come detto- riguardanti sia l’obbligo di prospettazione che incombe sul datore di lavoro in ordine all’utile tentativo di reimpiego del lavoratore anche in mansioni inferiori, sia il contenuto dell’obbligo datoriale in relazione alla individuazione delle mansioni stesse cui potenzialmente adibire il destinatario del recesso.
31. La relativa analisi deve essere svolta avendo riguardo alla normativa antecedente alla modifica dell’art. 2103 cc, come modificato dall’art. 3 del D.lgs. n. 81 del 2015 applicabile ratione temporis al caso di specie.
32. Orbene, quanto alla prima tematica, occorre richiamare il principio, statuito in sede di legittimità (Cass 8.3.2016 n. 4509; Cass. 19.11.2015 n. 23698) secondo cui, in attuazione del principio di buona fede e di correttezza, il datore di lavoro deve prospettare al dipendente, al fine di ottenerne il consenso, la possibilità di reimpiego in mansioni inferiori.
33. L’eventuale consenso, a tale prospettazione, deve essere anteriore o coevo al licenziamento e non può essere successivo ad esso (cfr. Cass. 18.3.2009 n. 6552).
34. Il consenso, inoltre, deve essere espresso liberamente, anche in forma tacita, ma attraverso fatti univocamente attestanti la volontà del lavoratore di aderire alla modifica “in peius” delle mansioni (cfr. Cass. 26.2.2019 n. 5621; Cass. 7.2.2005 n. 2375).
35. La motivazione dell’eventuale licenziamento, poi, anche dopo la novellazione dell’art. 2 comma 2 della legge n. 604 del 1966 per opera dell’art. 1 comma 37 della legge n. 92 del 2012, non deve essere dettagliata sul punto, nel senso di cisvere esporre in modo analitico tutti gli elementi di fatto e di diritto alla base del provvedimento, ma deve essere in grado di consentire al lavoratore di comprendere, nei termini essenziali, le ragioni del recesso (cfr. Cass. 7.3.2019 n. 6678).
36. Quanto alla seconda questione sopra richiamata, è pacifico che la possibilità del cd. repechage vada condotta con riferimento a mansioni equivalenti.
37. La giurisprudenza si è, però, posta il problema se l’espulsione del lavoratore dal processo produttivo non possa avvenire se non prima che non sia stato tentato ogni utile tentativo di reimpiego all’interno dell’azienda, anche in mansioni inferiori.
38. Su tale tema è possibile evidenziare varie posizioni nell’ambito della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 22798 del 2016).
39. Secondo un risalente orientamento che poneva come presupposto del proprio argomentare il divieto del “patto di demansionamento”, sancito dall’art. 2103 cc nella versione antecedente alla novella legislativa del 2015, l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, in ottemperanza a tale divieto, poteva risolversi anche in un pregiudizio per il prestatore stesso, così escludendo del tutto la possibilità di impiego in mansioni inferiori.
40. Si è poi affermato un altro indirizzo che, proprio partendo da alcune eccezioni al divieto del patto di demansionamento previste dal legislatore (per esempio: a) art. 4, comma 11°, legge n. 293/91: nel corso delle procedure di mobilità, quando gli accordi sindacali prevedono il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori in esubero con l’assegnazione di mansioni diverse e, più in generale, quando l’accordo costituisce l’unica alternativa al licenziamento; b) art. 7, comma 5°, D.lvo n. 151/2001: nel caso della lavoratrice spostata obbligatoriamente ad altre mansioni, durante il periodo della gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, per evitare pregiudizi alla sua salute e comunque con retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte; c) art. 4 comma 4°, legge n. 68/1999: per il lavoratore divenuto inabile allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza della violazione da parte del datore di lavoro, accertata in sede giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza e igiene del lavoro; d) art. 42 D.lvo n. 81/2008: per il lavoratore giudicato inidoneo alle mansioni specifica ed adibito ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute) ha ritenuto possibile l’interesse al mantenimento del posto di lavoro rispetto alla estinzione del rapporto.
41. In particolare, nell’ipotesi di sopravvenuta infermità permanente, con conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, è stato, infatti, affermato il principio con il quale si è valorizzata l’assegnazione a mansioni inferiori del lavoratore divenuto fisicamente inidoneo, costituendo tale possibilità un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto: adeguamento che deve essere sorretto, oltre che dall’interesse, anche dal consenso del prestatore (cfr. Cass. n. 7755 del 1998; Cass. n. 15500 del 2009; Cass. n. 18535 del 2013).
42. In tal caso le esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro sono state considerate prevalenti su quelle della salvaguardia della professionalità del lavoratore.
43. Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la giurisprudenza di legittimità ha operato una sintesi dei due orientamenti affermando sì la possibilità di un reimpiego del lavoratore in mansioni inferiori, purché queste rientrino nel bagaglio professionale dello stesso (Cass. 8.3.2016 n. 4509; Cass. n. 21579 del 2008).
44. A tal proposito si è anche precisato che, qualora il lavoratore svolga ordinariamente in modo promiscuo mansioni inferiori, oltre quelle soppresse, a carico del datore di lavoro sussiste l’obbligo di repechage anche in ordine alle mansioni inferiori (Cass. n. 13379 del 2017).
45. In tale ricostruzione vanno tenuti, naturalmente, pur sempre in considerazione, per l’operatività dell’istituto, i due limiti rappresentati dalla ragionevolezza dell’operazione che non deve comportare rilevanti modifiche organizzative ovvero comportanti ampliamenti di organico o innovazioni strutturali (Cass. n. 239 del 2005; Cass. n. 11427/2000) e dal rispetto della dignità del lavoratore (Cass. n. 16305 del 2004), oltre alla necessità del consenso di questi.
46. Delineato in tal modo il quadro giuridico, nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, può ritenersi che non vengono in rilievo, ai fini dell’obbligo del repechage, tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con il bagaglio professionale del prestatore (cioè che non siano disomogenee e incoerenti con la sua competenza) ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza.
47. Ciò è possibile affermare, ai fini del bilanciamento di interessi di cui sopra, in un’ottica di compatibilità e di non ingerenza nella determinazione dell’assetto aziendale, non essendo previsto un obbligo del datore di lavoro, secondo la precedente versione dell’art. 2103 cc, di fornire un’ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro (cfr. in motivazione Cass. n. 5963 del 2013).
48. Resta fermo, comunque, che grava sul datore di lavoro l’obbligo di provare -in base a circostanze oggettivamente riscontrabili- che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda, altrimenti il rispetto dell’obbligo di repechage risulterebbe sostanzialmente affidato ad una mera valutazione discrezionale dell’imprenditore (cfr. Cass. n. 23340 del 2018).
49. Venendo, quindi, all’esame del motivo, rileva il Collegio che la sentenza è immune dalle violazioni di legge denunciate.
50. Nella lettera di recesso, come evidenziato dallo stesso ricorrente a pag. 11 del ricorso, era stato specificato che non vi erano altre posizioni lavorative cui potere adibire il M.: ciò è sufficiente in relazione agli oneri di prospettazione imposti al datore di lavoro.
51. La Corte territoriale, poi, attenendosi ai principi giurisprudenziali sopra esposti, ha accertato, con indagine adeguatamente e logicamente motivata, che l’unico posto disponibile nell’organizzazione aziendale, nel periodo di osservazione ritenuto idoneo (semestre successivo al licenziamento), riguardava una attività non attinente alle competenze del M..
52. Correttamente, quindi, è stata esclusa ogni violazione del principio dell’obbligo di repechage sotto i diversi profili oggetto della censura.
53. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
54. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
55. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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