CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 maggio 2018, n. 10528
Lavoro – Dipendenti Inail – Inquadramento a un superiore livello economico – Bando – Esclusione – Requisiti
Fatti di causa
R.G. e F.M., dipendenti dell’Inail, in cui erano transitati in seguito alla soppressione dell’I. (Istituto previdenziale per il Settore marittimo), ai sensi del d.l. n. 78/2010 e della I. n. 122/2010, avevano partecipato al bando nazionale di selezione dell’Inail per l’inquadramento a un superiore livello economico, dal quale venivano esclusi sul rilievo dell’Ente per cui, alla data del 31/12/2009, essi erano privi del requisito di trovarsi in servizio presso l’Inail con contratto a tempo indeterminato.
La Corte d’Appello di Trieste, ha confermato la pronuncia di prime cure, disattendendo la posizione dell’Inail. Ha così affermato che i ricorrenti possedevano, alla data del bando, il predetto requisito, avendo, l’incorporazione dell’I. nell’Inail determinato la successione in capo a quest’ultimo dei rapporti di lavoro in essere presso l’Ente soppresso, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., di tal che, il bando non avrebbe potuto escludere dalla procedura selettiva i dipendenti provenienti dall’I..
Quanto all’individuazione della fattispecie successoria fra enti pubblici, la Corte Territoriale si richiama alla sentenza della CGE Grande Chambre C – 108/2010, S., prospettando che la riassunzione da parte di un’Autorità pubblica, del personale dipendente da altra Autorità pubblica, riconduce alla nozione di trasferimento d’impresa dettata dalla Direttiva 77/187/CE, e che pertanto, l’anzianità di servizio maturata presso l’I. fino al passaggio, fosse da considerarsi utile ai fini del possesso del requisito richiesto dall’Inail per la partecipazione alla selezione, in cui i dipendenti dell’Ente soppresso portavano con sé tutto il loro vissuto lavorativo.
D’altronde, la Corte ha ritenuto tale conclusione avallata dalla stessa contrattazione collettiva nazionale per gli enti pubblici non economici (c.c.n.I. 2002 – 2005 – art. 10 e 1998 -2001 – art. 15), la quale, nelle progressioni di livello e di carriera, mostrava di privilegiare l’ottica meritocratica (artt. 3 e 97 Cost.) rispetto a quella ingiustificatamente paritaria basata sull’anzianità nei ruoli dell’Ente stesso, propugnata dall’Inail a vantaggio dei propri dipendenti che alla data del 31/12/2009 si trovavano in servizio con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto non pervenuti all’Ente da incorporazioni, mobilità o a qualsiasi altro titolo.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione l’Inail con quattro censure, cui resistono con tempestivo controricorso R.G. e F.M.
Ragioni della decisione
Con la prima censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce “Violazione dell’art. 7 d.l. 78/2010, convertito con modificazioni in legge 122/2010; violazione dell’art. 3 del decreto 27 luglio 2012 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione”.
La censura deduce che il trasferimento delle risorse umane, tra cui rientrava anche quello dei ricorrenti, risultava subordinato all’adozione di un decreto ministeriale di competenza del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle finanze, che avrebbe dovuto essere emanato dopo sessanta giorni dall’entrata in vigore del D.L. 78/2010 “…sulla base delle risultanze dei bilanci di chiusura delle relative gestioni alla data di entrata in vigore del presente decreto legge…”. Pertanto, non sarebbe stato corretto ritenere, da parte di entrambi i Giudici del merito, che l’incremento della dotazione organica dell’Inail coincidesse con l’entrata in vigore dell’art. 7 del d.l. n.78/2010, là dove era stato espressamente previsto che detto incremento dovesse essere subordinato all’adozione di un decreto interministeriale, il quale era stato approvato soltanto in data 27/7/2012.
Avrebbe errato il Giudice del merito a considerare incrementato l’organico dell’Inail in ragione dei posti trasferiti dal soppresso I. (25 unità) prima dell’adozione del decreto interministeriale, avendo affermato che in base all’art. 7 del d.l. n.78/2010, conv. in I. n.122/2010,”…l’Ente subentrava e succedeva nel rapporto di lavoro dei ricorrenti, rapporto che quindi continuava senza soluzione di continuità e si sostituiva all’Ente soppresso (l’I. nel caso in oggetto) tanto che le dotazioni organiche dell’Inail venivano incrementate proprio in ragione del numero di dipendenti dell’ente previdenziale soppresso…” (p.6 sent.).
Con la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., si contesta “Falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ.; falsa applicazione della Direttiva 77/187/CEE del 14 febbraio 1977, come modificata dalla Direttiva 98/50/CE del 20/6/1998, successivamente abrogata e sostituita dalla Direttiva del Consiglio 2001/23/CE del 12/3/2001; violazione dell’art. 7, co. 1, d.l. n.78/2010, convertito con modifiche in I. n.122/2010”.
La parte ricorrente ritiene improprio sotto più di un profilo il riferimento, da parte della Corte territoriale, alla sentenza CGE C-108/2010, S., la quale ha a oggetto la riassunzione, da parte del Ministero dell’Istruzione, del personale ATA già in servizio presso gli Enti locali, addetto alla fornitura di servizi ausiliari, vietando che la perdita dell’anzianità di servizio dovuta al suo mancato riconoscimento,comporti un peggioramento retributivo sostanziale rispetto alla posizione immediatamente precedente al trasferimento.
Innanzitutto nel caso in esame, secondo la censura, il contenzioso non concerne un peggioramento retributivo per il mancato riconoscimento di un’anzianità pregressa, mai lamentato per effetto del transito del personale dall’I. all’Inail, ma l’esclusione dalle procedure selettive indette dall’Ente di destinazione.
L’Inail, infatti, non avrebbe negato ai dipendenti provenienti dal soppresso I. l’anzianità di servizio maturata anteriormente al passaggio, ma si sarebbe limitato ad applicare il bando di selezione (determ. n.307/2010), attuativo del c.c.n.I. EPNE 2006- 2009, il c.c.integr. di ente (2006-2009), nonché le successive intese intervenute con le OO.SS., accertando che i dipendenti ex I. transitati all’Inail dal 31/5/2010, alla data del 31/12/2009 non si trovavano in servizio presso lo stesso con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come richiesto dall’art.2, co. 1 del bando di selezione.
Inoltre, mentre la fattispecie trattata nella sentenza S. riguardava un trasferimento di attività economiche, svolte da entità che avrebbero potuto organizzarsi anche in forma d’impresa, il caso controverso si riferirebbe alla diversa ipotesi di riorganizzazione amministrativa di enti pubblici, rivolta a contenere la spesa ed evitare duplicazioni di attività. Pertanto, la Corte territoriale avrebbe applicato in modo del tutto improprio alla fattispecie in esame i principi enunciati della sentenza S.
Con la terza censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce “Violazione degli artt. 1362 cod. civ., in relazione all’art. 2, co. 1 dei bandi di selezione di cui è causa, approvati con determinazione Inail – D.C.R.U. n.307/2010; violazione degli artt. 12 e 13 del c.c.n.I. dell’1/10/2007 (quadriennio 2006-2009) e degli artt. 7-8-9-11 del CCIE del 30.3.2010 (quadriennio 2006-2009); falsa applicazione degli artt. 10 CCNL EPNE 2002/2005 e 15 EPNE 1998/2001.” La Corte territoriale avrebbe violato l’art. 1362 cod. civ., in quanto avrebbe motivato senza valutare che, essendo la scelta non già discrezionale, bensì imposta dall’autonomia collettiva, l’Inail si era limitato ad applicare il requisito di ammissione previsto nel bando di selezione, il quale a sua volta aveva dato attuazione alle previsioni contrattuali in materia di progressioni economiche all’interno delle singole Aree. La decorrenza delle stesse era fissata al 1 gennaio di ciascun anno (nella specie il 2010), così che il numero delle posizioni messe a concorso corrispondesse al numero dei dipendenti che al 31 dicembre dell’anno precedente (nella specie il 2009), si trovava in servizio presso l’Inail con contratto a tempo indeterminato. Se avesse deciso conformemente alle disposizioni del bando di selezione, la Corte d’Appello non avrebbe potuto non accertare che i dipendenti ex I. non facevano parte del contingente che al 31/12/2009 era in servizio presso l’Inail con un contratto a tempo indeterminato.
La quarta censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., lamenta la “Violazione dell’art. 12, co. 1, dell’art. 13, co.3 e co. 1 del c.c.n.I. del 1/10/2007 quadriennio 2006-2009; violazione dell’art. 7, co.2, dell’art. 9, co.2 e dell’art. 11, co. 2 del c.c.i.e. quadriennio 2006-2009 del 30/03/2010”.
Era emerso in causa che i ricorrenti avevano già conseguito gli avanzamenti economici ai sensi dello stesso CCNL EPNE 2006-2009 poiché l’I., prima della soppressione, aveva svolto nel 2009 analoga selezione interna per avanzamenti economici, in attuazione degli Accordi Sindacali I. – OO.SS. del 6/11/2008 e del 19/06/2009. La Corte territoriale non ha ritenuto di attribuire valore a tale circostanza, affermando che le precedenti progressioni restavano a carico del fondo integrativo dell’Ente soppresso e non andavano a gravare sul fondo dell’Ente di destinazione, e che il numero dei destinatari dei posti rimaneva inalterato non producendosi aggravi a carico dell’Inail. La censura denuncia la violazione delle norme contrattuali in quanto, derivando i due contratti integrativi di ente (I. e Inail) dall’unico c.c.n.I. applicabile agli enti pubblici non economici, i dipendenti dell’ex I. avevano, perciò, già conseguito le progressioni economiche di Area per l’anno 2009. Ritenendo che essi potessero ottenere l’ammissione alle procedure selettive bandite dall’Inail, la Corte d’Appello avrebbe autorizzato gli stessi a lucrare maggiori aumenti retributivi rispetto ai dipendenti dell’Inail ai quali detta procedura era riservata.
Ragioni della decisione
Le censure, da trattarsi unitariamente per la loro stretta connessione logicogiuridica, sono fondate, seppure per ragioni non totalmente coincidenti con quelle illustrate dalla difesa dell’Istituto.
Occorre premettere che il legislatore, nel disporre la soppressione dell’I. e la contestuale attribuzione all’Inail delle competenze dell’ente previdenziale soppresso, si è limitato a prevedere la successione dell’Ente subentrante nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al soggetto estinto, sicché, in assenza di una normativa speciale e derogatoria, gli effetti del trasferimento sui rapporti di lavoro in essere alla data di entrata in vigore del decreto legge, trovano la loro disciplina nell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, a norma del quale “fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’art. 2112 del codice civile…”.
Questa Corte ha già affermato, e va quindi ribadito, che “i due termini utilizzati dal richiamato art. 31, cioè quelli di trasferimento o di conferimento di attività, esprimono, attraverso la loro ampia valenza semantica, la volontà del legislatore di comprendere nello spettro applicativo della disposizione ogni vicenda traslativa riguardante un’attività svolta dal soggetto pubblico, per cui non è richiesta o presupposta alcuna cessione d’azienda, bastando il più semplice trasferimento di un’attività svolta fino a quel determinato momento da un soggetto pubblico, indipendentemente dal tipo di strumento tecnico adoperato nella vicenda amministrativa di trasferimento o conferimento, il tutto nell’ottica di una tutela giuslavoristica dei dipendenti pubblici addetti all’attività trasferita”. (Cass. n.17894/2014).
Nella fattispecie, pertanto, il trasferimento delle competenze dell’I. all’Inail, disposto con atto normativo, rende applicabile, per effetto del rinvio contenuto nell’art. 31 d.lgs. n.165/2001, l’art. 2112 cod. civ., a prescindere da ogni accertamento sull’assimilabilità della vicenda traslativa ad una cessione di azienda in senso proprio.
Ciò premesso, rileva il Collegio che dall’applicabilità dell’art. 2112 cod. civ., affermata dalla Corte territoriale sulla base di un diverso percorso argomentativo, non discendono, in relazione al tema che qui viene in rilievo, le conseguenze che i giudici di merito hanno ritenuto di doverne trarre.
Invero le disposizioni normative che, nel disciplinare il passaggio dei lavoratori ad una diversa organizzazione, garantiscono il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito, non implicano la totale parificazione ad ogni effetto con i dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione. La prosecuzione giuridica del rapporto di lavoro, infatti, se da un lato rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore.
Muovendo da detta premessa questa Corte (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Sez.Un. 22800/2010; Cass. n. 17081/2007) ha evidenziato che l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa far valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici e il mancato riconoscimento della pregressa anzianità possa comportare un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito. L’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Sez. Un. n. 22800/2010 e Cass n.25021/2014 cit.) né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti, non delle aspettative, già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto.
Il nuovo datore, pertanto, ben può ai fini della progressione di carriera valorizzare l’esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto (Cass, n.17081/2007; Sez. Un. n.22800/2010; Cass. n. 22745/2011 cit. e, in relazione all’impiego privato, Cass. n. 7202/2009).
Le conclusioni alle quali questa Corte è pervenuta trovano conforto nella giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia che, a prescindere dall’applicabilità o meno al trasferimento di attività che qui viene in rilievo della Direttiva 2001/23/CE, deve orientare nell’interpretazione della norma interna con la quale il legislatore ha adeguato il diritto nazionale a quello dell’Unione (l’art. 2112 cod. civ. è stato modificato dal d.lgs. n. 18/2001 in attuazione della Direttiva 98/50/CE, poi sostituita dalla Direttiva 2001/23/CE).
La Corte di Giustizia con la recente pronuncia del 6 aprile 2017 in causa C – 336/2015, ha ribadito che lo scopo della direttiva è solo quello di assicurare il mantenimento dei diritti già acquisiti dai lavoratori trasferiti e che l’anzianità maturata presso il cedente non costituisce di per sé “un diritto di cui i lavoratori possano avvalersi nei confronti del cessionario allo stesso modo del cedente” (punti 21 e 22 nei quali la Corte richiama le sentenze 6.9.2011, S., C – 108/2010 e 14.9.2000, Collino e Chiapperò, C – 343/98).
I principi sintetizzati nei punti che precedono devono orientare nella decisione della presente controversia, che la Corte territoriale ha risolto muovendo da presupposti erronei, perché, come si è detto, l’art. 2112 cod. civ., non legittima l’assoluta parificazione dei dipendenti trasferiti a quelli già in servizio presso il cessionario, né fa venir meno la diversità fra le due fasi dell’unitario rapporto.
Ha errato, quindi, il Giudice d’Appello nel sostenere che tra i destinatari della procedura selettiva, pacificamente riservata ai dipendenti dell’Istituto che alla data del 31.12.2009 erano in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dovessero essere ricompresi anche quelli dell’ente soppresso in virtù del principio della continuità, previsto dal richiamato art. 2112 cod. civ. Al contrario, la lex specialis della procedura, adottata in epoca successiva al trasferimento di attività, è chiara nel limitare la platea dei legittimati ai soli dipendenti già in servizio presso l’Inail alla data sopra indicata.
Parimenti erronea è la sentenza gravata nella parte in cui ritiene priva di rilievo l’avvenuta partecipazione degli attuali controricorrenti alla procedure finalizzate alla progressione economica all’interno dell’area, già espletate dall’I. nel rispetto delle previsioni contenute nel CCNL per il comparto degli enti pubblici non economici quadriennio 2006/2009.
L’art. 12 del CCNL stabilisce che “…alla maggiore flessibilità del sistema di classificazione del personale, deve corrispondere, all’interno delle singole aree, un articolato sistema di sviluppo economico correlato al maggior grado di capacità professionale progressivamente acquisito dai dipendenti nello svolgimento delle funzioni proprie dell’area e del profilo di appartenenza”. Il successivo art. 13, dopo aver previsto, al comma 3, che ai fini del passaggio occorre tener conto del livello di esperienza maturato e delle competenze acquisite, dei titoli culturali e professionali posseduti, nonché dei percorsi formativi eventualmente organizzati dal datore, precisa che detti criteri devono essere “…tra loro combinati e ponderati in modo da evitare l’identificazione della esperienza professionale con il solo tempo di permanenza nei
livelli economici, nonché la prevalenza dell’uno sull’altro e in modo da garantire una effettiva selettività dei criteri di scelta del personale cui riconoscere lo sviluppo economico.”
Da dette disposizioni, che vanno interpretate le une per mezzo delle altre, emerge che ai fini dello sviluppo professionale deve attribuirsi rilievo anche alla permanenza nel livello economico di provenienza, trattandosi di un criterio che, sebbene privo di rilievo esclusivo o preponderante, deve comunque essere “combinato” con gli altri, in quanto sintomatico della progressiva acquisizione di una maggiore professionalità.
La pretesa degli originari ricorrenti di beneficiare della progressione economica all’interno dell’area subito dopo l’espletamento delle analoghe procedure bandite dall’Ente di provenienza, contrasta con la ratio delle disposizioni dettate dalle parti collettive in tema di sviluppo della carriera; sminuisce del tutto la valenza del primo dei criteri indicati nel richiamato art. 13; si risolve nella violazione del terzo comma dello stesso articolo che impone di combinare fra di loro i criteri stessi, in modo che nessuno assuma rilievo preponderante o esclusivo.
Infine evidenzia il Collegio che il vizio della sentenza impugnata discende dalla errata interpretazione dell’art. 2112 cod. civ., dalla quale la Corte territoriale ha desunto che i ricorrenti dovevano essere considerate in servizio presso l’Istituto già alla data del 31.12.2009. L’errore non attiene né all’esegesi del bando, il cui tenore letterale risulta essere privo di qualsiasi profilo di equivocità, né alla valutazione delle risultanze di causa, essendo pacifico che la data sopra indicata si colloca in epoca antecedente alla legge di soppressione e, quindi, al trasferimento degli attuali controricorrenti dall’I. all’Inail.
Non si è, pertanto, in presenza di un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità (se non nei limiti di cui all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. e, quanto all’interpretazione del bando, per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale) perché l’errore commesso dalla Corte territoriale configura un vizio di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, vizio che con riferimento alle procedure selettive si verifica qualora, a fronte di presupposti fattuali contestati, il Giudice ritiene sussistente o non sussistente il requisito di ammissione alla procedura sulla base di principi giuridici errati.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa deve essere decisa nel merito, ex art. 384, co. 2 cod. proc. civ., con il rigetto dell’originaria domanda.
La complessità della questione giuridica e l’assenza di pronunce di questa Corte in relazione alle procedure selettive che qui vengono in rilievo giustificano l’integrale compensazione fra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito. Vanno, però, poste a carico dei controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
La fondatezza del ricorso rende inapplicabile l’art. 13, comma quater, del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa le spese del merito e condanna i soccombenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20918 - In caso di passaggio di personale da un'amministrazione all'altra, ai dipendenti «sono garantiti la continuità giuridica del rapporto di lavoro e il mantenimento del trattamento economico…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 febbraio 2020, n. 3468 - L'accertamento del diritto al superiore inquadramento presuppone, necessariamente, la diversità tra mansioni precedenti e mansioni successive mentre oggetto di tutela è il diritto del…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 settembre 2021, n. 24487 - E' escluso che il dipendente la cui domanda di mobilità sia stata accolta in relazione ad una specifica vacanza verificatasi nell'ente di destinazione ed abbia accettato la valutazione…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 31561 depositata il 13 novembre 2023 - Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva non può rappresentare una…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 luglio 2020, n. 15233 - Differenze di retribuzione per inquadramento nel livello retributivo superiore
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 settembre 2019, n. 22557 - Onere della prova per prestazioni svolte in un livello retributivo superiore a quello d'inquadramento alle dipendenze della società fallita
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…