CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 giugno 2019, n. 15172
Cooperativa – Crisi aziendale – Retribuzione inferiori ai minimi contrattuali fissati dal CCNL di categoria – Debito contributivo
Fatti di causa
1. La U. società cooperativa a r.l., facendo applicazione di quanto disposto dall’art. 6 comma 1 lettera e) della legge n. 142 del 2001, deliberava nel verbale dell’assemblea del 9.9.2004 lo stato di crisi aziendale per la durata di cinque anni, convenendo, al dichiarato scopo di salvaguardare il proprio livello occupazionale, di erogare ai soci per ogni ora lavorata una retribuzione convenzionale oraria e le maggiorazioni per il lavoro straordinario e la trasferta, inferiori ai minimi contrattuali fissati dal CCNL di categoria, con importi ritoccati in leggero rialzo nella successiva delibera del 13/12/2008, con la quale lo stato di crisi veniva prorogato per ulteriori tre anni.
2. Con verbale di accertamento del 23/2/2010 la Direzione provinciale del lavoro e l’Inps contestavano alla cooperativa un debito contributivo per il periodo dal 1.11.2004 al 12.12.2009, nascente dalla differenza tra quanto versato, coerente con la retribuzione effettivamente corrisposta, e quanto dovuto in applicazione dell’art. 1 comma 1 del decreto-legge n. 338 del 1989, conv. in I. n. 389 del 1989 (cosiddetto minimale contributivo).
3. La Cooperativa ed il suo legale rappresentante in proprio proponevano azione di accertamento negativo avverso il suddetto verbale e opposizione alla conseguente cartella di pagamento.
4. Il Tribunale di Genova, dopo avere riconosciuto la natura subordinata dei rapporti di lavoro intercorsi fra la cooperativa ed i suoi soci, rideterminava il credito dell’Inps per il periodo sino al 31.12.2006, mentre riteneva integralmente fondata la pretesa contributiva per il periodo successivo, alla luce dell’art. 1 comma 1 del decreto-legge n. 338 del 1989, conv. in I. n. 389 del 1989 (cosiddetto minimale contributivo), richiamato per i soci lavoratori delle cooperative dall’art. 3 comma 4 del d.lgs n. 423 del 2001.
5. La Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ritiene invece che nulla deve cooperativa per il periodo successivo al 31.12.2006, sul presupposto che ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 6 della legge n. 142 del 2001, nel caso in cui la società cooperativa deliberi uno stato di crisi che comporti la riduzione della retribuzione dei soci lavoratori, la contribuzione previdenziale debba essere calibrata sui minori importi concretamente erogati, in deroga alla disciplina del minimale contributivo di cui all’art. 1 della legge n. 389 del 1989.
6. Per la cassazione della sentenza l’Inps ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui U. soc. coop. a r.l. e F.G. hanno resistito con controricorso. Equitalia Nord s.p.a. è rimasta intimata.
7. U. s.c. a r.l. ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
8. l’Inps deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 4 e 6 della I. 3 aprile 2001 n. 142 in relazione all’art. 1 della I. n. 389 del 1989 e 12 delle disposizioni preliminari del codice civile. Sostiene che l’interpretazione patrocinata dalla Corte di merito si porrebbe in contrasto con il principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto al rapporto di lavoro che informa il diritto previdenziale e rileva che nessun riferimento alla contribuzione è contenuto nell’ art. 6 della I. n. 142 del 2001, mentre il principio generale in merito alla retribuzione dei dipendenti delle cooperative è quello fissato dalla contrattazione collettiva nazionale del settore ai sensi dell’art. 3 comma primo della suddetta legge.
9. Il ricorso è fondato.
La L. n. 142 del 2001, all’ art. 3 comma 1, nel prevedere che il trattamento economico del socio lavoratore dipendente da cooperativa debba essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato, ne stabilisce la misura minima che non può essere inferiore ai minimi previsti per prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine.
10. Il successivo art. 6 della medesima legge disciplina il regolamento interno delle società cooperative, individuandone le previsioni essenziali, tra le quali enumera alla lettera d) “l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, all’occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e siano altresì previsti: la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2 lett. b) dell’art. 3 (ed) il divieto per l’intero, durata del piano, di distribuzione di eventuali utili” e, alla lettera e), “l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, nell’ambito del piano di crisi aziendale di cui alla lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità finanziarie…”;
11. lo stesso art. 6 aggiunge, al comma 2, che “Salvo quanto previsto alle lettere d), e) ed f) del comma 1 nonché all’art. 3 comma 2 bis, il regolamento non può contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico minimo di cui all’art. 3, comma 1. Nel caso in cui violi la disposizione di cui al primo periodo, la clausola è nulla”.
12. Questa Corte si è occupata della richiamata normativa, affermando che essa legittima l’incidenza in peius sul trattamento economico minimo di cui all’art. 3 comma 1, a patto che la deliberazione del “piano di crisi aziendale” contenga elementi adeguati e sufficienti tali da esplicitare l’effettività dello stato di crisi aziendale che richiede gli interventi straordinari consentiti dalla legge, la temporaneità dello stato di crisi e dei relativi interventi, uno stretto nesso di causalità tra lo stato di crisi aziendale e l’applicabilità ai soci lavoratori degli interventi in esame (Cass. 18-07-2018, n. 19096, Cass. 28/08/2013, n. 19832), in coerenza con la posizione assunta dal Ministero del Lavoro nella nota di risposta ad interpello del 6 febbraio 2009, richiamata anche dalla ricorrente.
13. Occorre dunque individuare le ricadute sul piano previdenziale della riduzione della retribuzione prevista dal piano di crisi aziendale della cooperativa, e dunque valutare se – con riferimento al periodo successivo al 1.1.2007 che qui rileva – la società debba adempiere ai propri obblighi contributivi mediante il computo sulla base dell’importo versato, o debba comunque rispettare il minimale contributivo.
14. La disciplina previdenziale di riferimento del socio di cooperativa, a mente dell’art. 4 comma 1 della I. n. 142 del 03/04/2001, è quella prevista per le diverse tipologie di rapporti di lavoro adottabili dal regolamento delle società cooperative, nei limiti di quanto previsto dal successivo art. 6.
15. La stessa legge, al comma 3 dell’art. 4, ha delegato il governo ad emanare uno o più decreti legislativi intesi a riformare la disciplina previdenziale dei lavoratori soci di società e di enti cooperativi, rispettando il principio direttivo della graduale equiparazione (in un periodo non superiore a cinque anni) della contribuzione previdenziale e assistenziale a quella dei lavoratori dipendenti da impresa.
16. E’ intervenuto quindi il d.lgs. 06/11/2001, n. 423, che all’art. 3 ha previsto l’aumento graduale dell’imponibile contributivo per gli anni a decorrere dal 1 gennaio 2003, mediante I’ applicazione di coefficienti progressivamente crescenti alla differenza tra la precedente parametrazione rapportata al c.d. minimo dei minimi (art. 7, comma 1, del d.l. n. 463 del 1983, conv. in I. n. 638 del 1983 e succ. mod.) ed il minimo contrattuale previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro, e ciò sino al 1 gennaio 2007, data a decorrere dalla quale per la determinazione della retribuzione imponibile trova applicazione l’articolo 1, comma 1, del citato decreto-legge n. 338 del 1989 (art. 3 comma 4).
17. Questa Corte ha dunque affermato che il principio del cd. minimo retributivo imponibile, secondo cui l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. retribuzione virtuale di cui alla I. n. 389/89) è applicabile anche alle società cooperative, i cui soci sono equiparati ai lavoratori subordinati ai fini previdenziali, sia nel caso in cui il datore di lavoro paghi di meno la prestazione lavorativa a pieno orario, sia nel caso di prestazione a orario ridotto, rispondendo tale parificazione alla finalità costituzionale di assicurare comunque un minimo di contribuzione dei datori di lavoro al sistema della previdenza sociale (Cass. 02/09/2016, n. 17531).
18. La regola del minimale contributivo deriva dal principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva, ben potendo l’obbligo contributivo essere parametrato a importo superiore a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro.
19. Anche nel caso in cui una società cooperativa deliberi uno stato di crisi che comporti la riduzione della retribuzione dei soci lavoratori al di sotto dei minimi contrattuali fissati dal CCNL di categoria ai sensi dell’art. 6 della legge n. 142 del 2001, la contribuzione previdenziale deve comunque essere rapportata al c.d. minimale contributivo di cui all’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, conv. in I. n. 389 del 1989, e non ai minori importi concretamente erogati.
20. La delibera assembleare che prevede la riduzione della retribuzione come apporto del socio alla riduzione della crisi, seppure legittimata dal richiamato art. 6, non rientra infatti nelle «leggi, regolamenti, contratti collettivi» che a mente dell’art. 1 del d.l. n. 338 individuano la retribuzione minima da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale, né l’art. 6 contiene alcun riferimento agli obblighi contributivi.
21. Discende del resto dai principi di autonomia del rapporto contributivo rispetto al rapporto di lavoro e dall’ indisponibilità dei diritti previdenziali che le eventuali forme di apporto straordinarie previste a carico del socio lavoratore nel corso della crisi della cooperativa, seppure incidenti sul trattamento economico minimo previsto dalla legge, non incidano sull’ integrale tutela della sua posizione previdenziale.
22. La soluzione è inoltre coerente con la delega conferita al Governo con l’art. 4, c. 3 della I. n. 142 del 2001, che, pur nella consapevolezza delle peculiarità del sistema cooperativo e delle sue caratteristiche di mutualità, ha dettato l’inequivocabile criterio direttivo dell’equiparazione della contribuzione previdenziale dei soci lavoratori dipendenti da cooperativa a quella dei lavoratori dipendenti da imprese.
23. La Corte d’appello ha richiamato a fondamento della propria soluzione il parere del Ministro del Lavoro n. 48 del 5 giugno 2009, che prospetta nel caso in esame la deroga del minimale contributivo di cui all’art. 1 della I. n. 389 del 1989 valorizzando l’art. 4 della I. n. 142 del 2001, nella parte in cui al già riportato comma 1 prevede, ai fini della contribuzione previdenziale ed assicurativa, che si debba fare riferimento alle normative previste per le diverse tipologie di rapporti di lavoro adottabili dal regolamento della cooperativa «nei limiti di quanto previsto dall’articolo 6».
24. La proposizione subordinata limitativa non si riferisce tuttavia alle «normative vigenti», ma alle «tipologie di rapporti di lavoro adottabili» dalle cooperative. Il legislatore non intendeva introdurre la possibilità di derogare alle normative previdenziali, possibilità che avrebbe richiesto una ben maggiore specificazione, ma solo precisare che l’ammissibilità di tipologie di rapporti di lavoro diversi da quello subordinato comportano anche l’applicazione del relativo statuto previdenziale, a condizione però che questi rapporti di lavoro autonomo siano adottati nel rispetto delle regole fissate dal regolamento interno della cooperativa secondo le previsioni dello stesso art. 6.
25. Il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuova valutazione attenendosi al principio sopra individuato.
26. Al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
27. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente vittorioso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.
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