CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 luglio 2018, n. 17522
Licenziamento – Natura ritorsiva – Gravi irregolarità della società – Diritto di rivendicazione sindacale – Onere del datore di lavoro di provare la giusta causa del recesso
Fatti di causa
1. Con ordinanza ex art. 348 bis cpc del 22.9.2016 la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile, per impossibilità di essere accolto, il gravame proposto avverso la sentenza n. 152/2015 del Tribunale di Cremona, con cui era stata rigettata la domanda, formulata da R.G. nei confronti della T.P.S. srl e della Società T.P. srl, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità, illegittimità o inefficacia del licenziamento intimatogli dalla prima società con lettera dell’11.12.2012 e fondata sulle circostanze che:
a) il recesso era stato determinato da una illegittima reazione della datrice di lavoro alle denunce sporte dal dipendente alla Confederazione Cobas, attuata mediante un’apparente e dolosa costituzione di altra società (la seconda: T.P. srl) presso cui erano stati gradualmente trasferiti tutti i mezzi di trasporto e tutti gli autisti ad eccezione del predetto G. e di altri due lavoratori, tutti iscritti alla stessa sigla sindacale;
b) che comunque vi era difetto di giustificazione;
c) che vi era stata la violazione della procedura di cui all’art. 7 legge n. 604 del 1966.
2. A fondamento della decisione di primo grado era stato rilevato che: 1) il G. era stato assunto l’1.2.2011 mentre la T.P. srl fu costituita il 16.1.2010, con iscrizione nel registro delle imprese il 2.11.2010 e inizio attività di impresa l’1.3.2011, di talché non era ipotizzabile la tesi che la società fosse stata costituita allo scopo di liberarsi di un lavoratore sgradito; 2) anche l’assunto della natura ritorsiva del licenziamento appariva poco sostenibile in considerazione del lasso temporale trascorso tra i comportamenti sgraditi (primavera 2011) ed il recesso (dicembre 2012); 3) all’epoca del licenziamento era un dato pacifico che la società avesse dismesso l’attività di trasporto per conto terzi; 4) i fatti allegati dall’attore, circa la graduale cessione di tutti gli autisti alla T.P. srl, lungi dal dimostrare l’esistenza di un’unica società, avrebbero deposto semmai per l’esistenza di una cessione di ramo di azienda che è una fattispecie ben diversa da quella invocata; 5) la sussunzione dei fatti allegati sotto tale diversa fattispecie giuridica avrebbe determinato un diverso petitum con violazione del principio tra il chiesto ed il pronunciato; 6) ogni richiesta del lavoratore era infatti stata diretta nei confronti della prima società e non nei confronti della seconda; 7) infondata era anche la domanda avanzata in via subordinata, volta alla declaratoria e inefficacia del licenziamento per omesso esperimento della procedura prevista dall’art. 7 legge n. 604/1966 avendo la prima società dimostrato la mancanza dei necessari requisiti dimensionali; 8) la verosimile cessione di un ramo di azienda tra le due società, con conseguente sostanziale nullità del licenziamento intimato all’attore, avrebbe giustificato la piena compensazione delle spese processuali non però pronunciabile per il comportamento processuale del ricorrente che aveva rifiutato la proposta della società di conciliare la causa alle medesime condizioni formulate dallo stesso attore.
3. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione G.R. affidato a tre motivi, illustrati con memoria.
4. Le intimate non hanno svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la nullità della sentenza di primo grado per avere il Tribunale, in violazione del disposto di cui all’art. 113 cpc, e più in generale, del principio iura novit curia, ritenuto di potere accertare la nullità del licenziamento solo incidenter tantum ai fini della regolamentazione delle spese del giudizio e non anche ai fini dell’accoglimento della domanda di accertamento della nullità del provvedimento, sul rilievo che detta nullità era risultata sussistente “per ragioni diverse da quelle invocate” dal ricorrente (art. 360 n. 4 cpc). Lamenta la violazione dell’art. 1421 1° comma cc (art. 360 n. 3 cpc) perché il giudice, a prescindere dall’inquadramento della vicenda in una determinata fattispecie giuridica diversa da quella ritenuta corretta, per il principio della rilevabilità di ufficio della nullità del contratto, avrebbe potuto assegnare ai fatti e ai rapporti dedotti in lite una diversa qualificazione giuridica.
3. Con il secondo motivo si censura la nullità della sentenza per non avere il Tribunale pronunciato, in violazione dell’art. 112 cpc, sulla domanda di annullamento del licenziamento perché privo sia della specifica ragione addotta nella lettera di licenziamento che, più in generale, di qualsiasi altro giustificato motivo (art. 360 n. 4 cpc); in via subordinata si deduce la violazione dell’art 2 legge n. 604/1966 e la violazione dell’art. 3 legge n. 604/1966, con riferimento all’art. 2112 cc (art. 360 n. 3 cpc) perché, anche a volere considerare le premesse in fatto del Tribunale, l’erroneità della sentenza emergeva dal fatto che il provvedimento di licenziamento risultava comunque illegittimo per violazione del principio di immodificabilità della motivazione e perché il trasferimento di ramo di azienda non poteva costituire di per sé giustificato motivo del licenziamento.
4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 18 comma 8 legge n. 300/1970, in relazione all’art. 2112 cc (art. 360 n. 3 cpc) perché, pur essendo stato ritenuto che la vicenda per cui è causa configurasse una ipotesi di trasferimento di azienda, avvenuto con una molteplicità di operazioni negoziali, era stato poi affermato che la Società aveva dimostrato di non possedere il requisito dimensionale di cui al citato articolo 18, non considerando che il presupposto andava verificato con riferimento all’inizio del processo di trasferimento stesso.
5. I primi due motivi, con particolare riguardo al profilo dell’omessa pronuncia del Tribunale sulle domande formulate in via subordinata di annullamento del licenziamento in quanto inesistente la ragione (riassetti organizzativi, esigenze di sopprimere la posizione lavorativa, la particolare congiuntura economica) addotta con la lettera di licenziamento e, più in generale, perché il recesso era privo di un qualunque giustificato motivo, sono meritevoli di pregio per le ragioni che seguono.
6. Giova precisare che costituisce vizio di omessa pronuncia, in relazione al quale ex art. 360 n. 4 cpc la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale (cfr. ex aliis Cass. 18.4.2006 n. 8932), l’omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda o su una eccezione di parte o su una istanza che richiede una statuizione di accoglimento o di rigetto, tale da dare luogo all’inesistenza di una decisione sul punto per la mancanza di un provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto (Cass. 23.2.1995 n. 2085) salva l’ipotesi in cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie (Cass. 25.2.2005 n. 4079; Cass. 29.7.2004 n. 14486).
7. Orbene, con il ricorso di prime cure, in primo luogo era stata chiesta la nullità del licenziamento ai sensi dell’art. 4 legge n. 604 del 1966 e dell’art. 15 lett. b) legge n. 300 del 1970 perché il vero motivo della risoluzione del rapporto andava ricercato nel fatto che il lavoratore aveva esercitato un elementare diritto di rivendicazione sindacale, a fronte di ritenute gravi irregolarità commesse dalla società; in secondo luogo, era stata dedotta anche l’illegittimità del licenziamento per difetto di giustificazione in ordine a quanto indicato nella lettera di recesso; in terzo ed ultimo luogo, era stata denunziata l’inefficacia della risoluzione per violazione della procedura di cui all’art. 7 legge 604 del 1966.
8. Le suddette questioni erano state devolute, nella forma dei motivi di appello, al giudice del gravame, dichiarato inammissibile ex art. 348 bis cpc, come si evince nello storico del provvedimento di seconde cure (cfr. Cass. 12.2.2015 n. 2784; Cass. 15.5.2014 n. 10722).
9. Questa Corte, con un principio che appare conferente anche al caso in esame, ha affermato che l’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966, l’esistenza di una giusta causa del giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico determinante il recesso (cfr. Cass. 14.3.2013 n. 6501).
10. Il giudice di primo grado, invece, con la sentenza qui impugnata e in relazione alla quale devono essere valutati i vizi denunziati, pur avendo ritenuto che la fattispecie concreta andasse sussunta nell’ambito applicativo di cui all’art. 2112 cc, sebbene non avesse potuto dichiarare la prosecuzione del rapporto in capo alla cessionaria con condanna di questa al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata prosecuzione (per non essere state tali domande avanzate), tuttavia avrebbe dovuto esaminare le domande (proposte e reiterate) di accertamento dell’invalidità del licenziamento per insussistenza delle ragioni addotte (riassetti organizzativi, esigenze di sopprimere la posizione lavorativa, congiuntura economica) in quanto le reali ragioni che avevano giustificato il recesso erano da individuarsi in una cessione di azienda, come dallo stesso giudice, peraltro, affermato.
11. Sulla base dei fatti allegati il primo giudice avrebbe dovuto, pertanto, valutare la sussistenza del giustificato motivo oggettivo pure con riguardo ad una ricostruzione della vicenda riconducibile all’art. 2112 cc, anche se espressamente non era stata azionata una tutela espressa a tal fine ma, esclusivamente, per accertare se in relazione ad essa ì fossero esistenti le ragioni addotte in ordine all’intimato recesso.
12. Non risultando spiegate né espressamente né essendo deducibili, implicitamente, le ragioni per cui “l’esistenza di una palese cessione di ramo di azienda” (riconosciuta anche dalla Corte di appello) fosse compatibile con i motivi addotti in sede di licenziamento (come sopra richiamati), sussiste il vizio denunciato mancando qualsiasi decisione su di un capo della domanda costituito da una richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto (Cass. 27.11.2017 n. 28038; Cass. 16.5.2012 n. 7653).
13. In conclusione, quindi, i primi due motivi devono essere accolti nei sensi di cui in motivazione, mentre resta assorbito l’esame del terzo.
14. La gravata pronuncia di primo grado deve essere cassata in parte qua e, in virtù dell’effetto espansivo esterno di cui all’art. 336. 2 comma cpc, che involge anche l’ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis cpc, la causa va rimessa ad altro giudice, che si individua nella Corte di appello di Milano, affinché provveda ad un nuovo esame della questione sulla legittimità del licenziamento alla stregua dei principi e delle indicazioni sopra precisati.
P.Q.M.
Accoglie il primo e secondo motivo nei sensi di cui in motivazione, assorbito il terzo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Milano cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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