CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 luglio 2019, n. 17996
Professionisti – Avvocato – Domanda di riliquidazione della pensione – Diritto
Fatti di causa
1. Con sentenza del 27 giugno 2013, la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Chieti che l’aveva integralmente rigettata, accoglieva in parte la domanda proposta da A.R. nei confronti della Cassa di Previdenza e Assistenza Forense (d’ora in avanti, Cassa) e dichiarava il diritto del R. a conseguire il trattamento di quiescenza con decorrenza dal 1° gennaio 2008, confermando il rigetto della richiesta di riliquidazione della pensione nella misura lorda di euro 2.836,83 in luogo di euro 2.721,19 erogata.
2. Ad avviso della Corte territoriale: a) avendo il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati disposto con provvedimento del 10 luglio 2008 la cancellazione dall’Albo dell’avv. R. (richiesta in data 24 dicembre 2007) a decorrere dal 31 dicembre 2007, era fondata la pretesa dell’appellante di vedersi riconoscere la pensione dal 1° gennaio 2008 e non dal 1° agosto 2008 come deliberato dalla Cassa; b) diversamente, era da rigettare la domanda di riliquidazione della pensione essendo infondato l’assunto secondo cui, con riferimento agli anni 1998 e 1999, doveva essere preso in considerazione tutto il reddito prodotto e non solo quello su cui era stato pagato il contributo soggettivo nella misura del 10% sul tetto indicato annualmente, come effettuato dalla Cassa correttamente in ossequio al disposto dell’art. 2, comma 2, della Legge 20 settembre 1980 n. 576.
3. Per la cassazione di tale decisione hanno proposto separati ricorsi la Cassa ed il R. affidati, rispettivamente, ad un motivo ed a cinque motivi cui entrambi hanno resistito con controricorso; tanto la Cassa che il R. hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
4. Preliminarmente, va disposta la riunione dei due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
5. Con l’unico motivo di ricorso la Cassa deduce violazione del principio di irretroattività dell’atto amministrativo in assenza di una previsione in deroga e dell’art. 37 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 secondo cui è vietata la cancellazione dall’Albo Forense quando sia in corso un procedimento disciplinare.
6. Il motivo è infondato. Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale il principio di irretroattività dell’atto amministrativo non è assoluto alla luce del costante orientamento del Consiglio di Stato secondo il quale, relativamente al tempo degli effetti del provvedimento amministrativo, la regola per cui questo non può avere effetto retroattivo in applicazione del principio di legalità non si applica nei seguenti casi: a) espressa previsione di legge, ben potendo la legge, salvo che in materia penale, disporre anche per il passato; b) natura dell’atto (ad es. provvedimenti di secondo grado di annullamento d’ufficio o di convalida di un precedente provvedimento); c) doverosità (ad esempio, ottemperanza a pronunce giurisdizionali); d) provvedimenti favorevoli ed attributivi di un vantaggio per l’interessato. E’ stato precisato che la retroattività per determinazioni volontarie incontra tre limiti naturali, precisamente: non può ledere le posizioni giuridiche dei terzi; esige la preesistenza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti per l’emanazione dell’atto cui si intende dare efficacia retroattiva sin dalla data alla quale si vogliono far risalire gli effetti dell’atto stesso; non può eliminare i fatti avvenuti in epoca anteriore, giusta il noto principio secondo cui factum infectum fieri nequit (cfr. e pluribus, sentt. n. 5623 dell’11 novembre 2008; n. 5393 del 12 ottobre 2001; n. 502 del 30 marzo 1998; 72 del 13 febbraio 1984; n. 370 del 17 marzo 1978).
7. Orbene, nel caso in esame, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi avendo rilevato che la delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del 10 luglio 2008 esplicando effetti favorevoli per il R. e non ledendo interessi di terzi ben poteva efficacia retroattiva.
8. Neppure ricorre la lamentata violazione dell’art. 37, penultimo comma, R.D.L. n. 1578 del 1935 (secondo cui: <<Non si può pronunciare la cancellazione quando sia in corso un procedimento penale o disciplinare>>) in quanto alla data del provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del 10 luglio 2008 non vi era pendente alcun procedimento disciplinare nei confronti del R. essendo stato definito quello in corso all’epoca della domanda di cancellazione (24 dicembre 2007) e, quindi, era cessato il divieto previsto dalla disposizione richiamata.
9. Con i primi quattro motivi di ricorso il R. deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) perché la Corte territoriale, pur dichiarando il diritto di esso ricorrente alla pensione con decorrenza 1° gennaio 2008, poi aveva omesso di pronunciarsi sui capi della domanda relativi alla condanna della Cassa al pagamento dei ratei di pensione dal gennaio al luglio 2008 oltre alla quota di 13ma mensilità, alla rivalutazione monetaria con gli adeguamenti annuali ai sensi dell’art. 16 della L. n. 516/1980 su detti ratei, nonché agli interessi dal dovuto al soddisfo. Con il quinto motivo lamenta violazione e falsa applicazione del complessivo combinato disposto degli artt. 2, commi 1 e 2, 15, commi 1 e 3, 16, commi 1 e 4, e 10, comma 1, della L. n. 576/1980 e/o nel vizio di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione per avere erroneamente rigettato la domanda di riliquidazione della pensione senza considerare che i redditi relativi agli anni 1998 e 1999 erano stati determinati dalla Cassa applicando i tetti massimi di reddito previsti per i detti anni e non i redditi effettivamente conseguiti.
10. I primi quattro motivi, da trattare congiuntamente perché condanna della Cassa al pagamento dei ratei di pensione dal gennaio al luglio 2008 oltre alla quota di 13ma mensilità, alla connessi, sono fondati avendo effettivamente la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sui capi della domanda relativi alla rivalutazione monetaria con gli adeguamenti annuali ai sensi dell’art. 16 della L. n. 516/1980 su detti ratei, nonché agli interessi dal dovuto al soddisfo, essendosi limitata a dichiarare il diritto del R. alla pensione con decorrenza 1° gennaio 2008.
11. Il quinto motivo, nella parte in cui lamenta violazione di legge, è fondato. L’art. 2 della L. n. 576/1980, al comma 1, dispone: <<La pensione di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età, dopo almeno trenta anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa e sempre che l’iscritto non abbia richiesto il rimborso di cui al primo comma dell’articolo 21. La pensione è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione>>; al secondo comma: <<Per il calcolo della media di cui sopra si considera solo la parte di reddito professionale soggetta al contributo di cui all’articolo 10, primo comma, lettera a); i redditi annuali dichiarati, escluso l’ultimo, sono rivalutati a norma dell’articolo 15 della presente legge.>>. L’art. 10, primo comma, lett. a) recita: <<Il contributo soggettivo obbligatorio a carico di ogni iscritto alla cassa e di ogni iscritto agli albi professionali tenuto all’iscrizione è pari alle seguenti percentuali del reddito professionale netto prodotto nell’anno, quale risulta dalla relativa dichiarazione ai fini dell’irpef e dalle successive definizioni: a) reddito sino a lire 40 milioni: dieci per cento; ….>>. Orbene, la Corte territoriale ha ritenuto che la Cassa, nel calcolare la pensione del R., correttamente ha applicato solo agli anni 1998 e 1999 il tetto previsto dall’art. 2, comma 2, per il 1998 ed il 1999 laddove, invece, per tali anni occorreva far riferimento solo ai redditi effettivamente conseguiti (e, poi, rivalutati). Il limite (o tetto) previsto dall’art. 2, comma 2, infatti, opera per individuare la misura massima della media dei dieci migliori redditi stabilita con riferimento all’anno in cui l’iscritto alla Cassa era stato collocato a riposo (e, quindi, i limiti relativi agli anni 1998 e 1999, erroneamente applicati al R., erano previsti per stabilire i tetti della media dei più elevati redditi professionali dichiarati per i pensionati negli anni 1999 e 2000) (cfr: Cass. SU. n. 7280 del 16 aprile 2004 in cui viene analiticamente illustrato il criterio di calcolo della pensione ed alla quale si rimanda).
12. L’accoglimento del motivo nella parte in cui lamenta la violazione di legge assorbe il motivo nella parte in cui denuncia vizio di motivazione.
13. Alla luce di quanto esposto va rigettato il ricorso della Cassa e va accolto quello del R., l’impugnata sentenza va cassata in relazione al ricorso accolto con rinvio alla Corte d’appello di Roma che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
14. Sussistono i presupposti per il versamento, solo da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto dalla Cassa di Previdenza e Assistenza Forense, accoglie il ricorso proposto da A.R., cassa l’impugnata sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma anche per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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