CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 maggio 2018, n. 10635
Tributi – Accertamento – Attività di impresa – Contratto di collaborazione societaria
Fatti di causa
La G.H. s.p.a. (incorporante la A. s.p.a.) impugnò un avviso d’accertamento con cui l’Agenzia delle entrate recuperò a tassazione ai fini Irpeg, Irap e Iva, per il 2003, maggiori imponibili riguardo a cessioni di capi d’abbigliamento a prezzi scontati del 50%, in quanto in parte estranee all’esercizio d’impresa, in parte destinate all’auto-consumo. Pertanto, l’ufficio, in applicazione dell’art. 53, comma 2, e dell’art. 9, comma 3, del d.p.r. n. 917/86, rideterminò i maggiori ricavi dovuti alla differenza tra il valore normale dei beni ceduti e il prezzo di vendita indicato nelle fatture.
L’ufficio resisteva al ricorso.
La Ctp di Novara accolse il ricorso, rilevando che: lo sconto del 50% era stato concesso sulla base del contratto di collaborazione stipulato tra la G.V.” s.p.a. e la A. s.p.a. (ora G.); le cessioni di beni rientravano nell’ambito delle attività delle due società; parte della merce venduta era stata spedita a D.V., in nome e per conto della società acquirente; i contratti tra la A. s.p.a. e la G.V. s.p.a. non nascondevano intenzioni elusive del fisco.
La Ctr ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate limitatamente al capo relativo alla destinazione al consumo personale dell’imprenditore dei beni ceduti e consegnati a S.V., respingendolo invece in ordine alle questioni dei capi relativi all’estraneità delle cessioni all’attività dell’A. s.p.a. a prezzi scontati per finalità promozionali del marchio V., e per la destinazione al consumo personale dell’imprenditore dei beni consegnati a D.V..
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
La G. Holding s.p.a. si è costituita con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato a tre motivi; l’Agenzia ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso principale è stata denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, comma 2, e 74, comma 2- secondo per. – del d.p.r. n.917/86, nonché degli artt. 2, comma 2, n.5 e 13, comma 2, lett. c) del d.p.r. n. 633/72, in quanto, avendo la Ctr premesso che l’attività promozionale del marchio V. era svolta esclusivamente dalla G.V. s.p.a. e che compito dell’A. s.p.a consisteva nel fungere da unica produttrice degli abiti marchiati V., le cessioni dei capi d’abbigliamento effettuate a favore della G.V. s.p.a. erano da ritenere estranee all’attività d’impresa dell’A., essendo invece riferibili alla stessa G.V. s.p.a.
Peraltro, la ricorrente ha evidenziato che, come comprovato dal contratto di collaborazione allegato al p.v.c., l’attività dell’A. s.p.a. riguardava soltanto l’apprestamento materiale dei capi d’abbigliamento secondo le scelte e le prescrizioni impartite dalla G.V. s.p.a. che, poi, avrebbe curato in esclusiva la promozione e la diffusione del marchio.
Pertanto, la ricorrente concludeva nel senso che i capi d’abbigliamento avrebbero dovuto essere ceduti dall’A. s.p.a. a prezzi di mercato, mentre l’acquirente li avrebbe dovuto poi donare, per finalità promozionali del marchio V., deducendoli dal proprio imponibile a titolo di spese di rappresentanza.
Con il secondo motivo, è stata dedotta l’omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, afferenti alle specifiche modalità dei rapporti tra l’A. s.p.a. e la G.V. s.p.a.
Con il terzo motivo, è stata denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729, c.c., in ordine al fatto della destinazione al consumo personale dell’imprenditore dei capi d’abbigliamento consegnati a D.V., poiché la Ctr non aveva correttamente applicato le regole sull’onere probatorio circa la riferibilità alla G.V. s.p.a. della consegna effettuata presso l’abitazione di D.V..
Con il primo motivo del ricorso incidentale, è stata denunziata la violazione dell’art. 53, comma 2, del d.p.r n. 917/86 —vecchio testo- e dell’art. 2, comma 2, n.5, del d.p.r. n. 633/72, in ordine all’accoglimento dell’appello relativo ai beni ceduti a S.V. per consumo dell’imprenditore, poiché le cessioni rientravano nell’attività tipica dell’impresa, non venendo in rilievo l’ipotesi dell’autoconsumo.
Con il secondo motivo, è stata denunziato il difetto di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato sussistente la presunzione di autoconsumo in ordine ai beni ceduti a S.V., escludendo ogni equiparazione tra quest’ultimo (ancorché socio della G.V. s.p.a. e Presidente del c.d.a. dell’A. s.p.a.) e tali società.
Con il terzo motivo, è stata denunziata la violazione degli artt. 2697 e 2729, c.c., avendo la Ctr ritenuto che l’onere della prova circa la destinazione dei beni di cui alle fatture intestate a S.V. gravasse sull’A. s.p.a. e non sulla G.V. s.p.a.
Il ricorso principale è infondato.
Il primo motivo non può essere accolto, in quanto le cessioni dei capi d’abbigliamento alla G.V. s.p.a. furono effettuate in applicazione del contratto di collaborazione tra le due società, che prevedeva l’obbligo dell’A. s.p.a. di fornire all’altra società capi d’abbigliamento per i propri fabbisogni con lo sconto massimo del 50%. Invero, l’A. era la produttrice dei capi d’abbigliamento e, indubbiamente, era interessata alla loro commercializzazione- per la quale aveva conferito mandato d’agenzia in esclusiva alla G. Holding- e all’incremento della notorietà del marchio.
Al riguardo, risulta difficile sostenere che l’A. s.p.a. stipulò le cessioni per finalità estranee all’esercizio d’impresa, alla luce della chiara norma contrattuale, per il solo fatto che i beni ceduti furono successivamente donati dalla “G.V.” s.p.a. a terzi (persone dello spettacolo, secondo consuetudine); piuttosto, ciò che assume decisività è che le cessioni in esame rientrassero nell’ambito dell’oggetto sociale della società cedente, essendo irrilevante la successiva donazione della cessionaria a terzi.
Lo sconto applicato, pertanto, è da ritenere legittimo.
Il secondo motivo è infondato.
La parte ricorrente ha lamentato il vizio di motivazione poiché la Ctr ha ritenuto le cessioni in questione conformi alle finalità proprie dell’esercizio d’impresa della “A.” s.p.a, considerando solo alcune circostanze (quale l’incremento delle vendite) ed omettendo invece di tener conto anche di altri specifici aspetti dei rapporti di gruppo.
Invero, il fatto che il giudice d’appello non abbia espressamente confutato tutti gli argomenti posti a sostegno dei motivi dell’appello dell’Agenzia, diretti a sostenere l’estraneità delle cessioni dei capi d’abbigliamento all’attività “dell’A.” s.p.a. (con particolare riguardo al fatto che alla società cedente fosse precluso contrattualmente di svolgere una propria attività creativa e commerciale, relativa ai capi d’abbigliamento recanti il marchio “V.”) non integra alcun vizio motivazionale, avendo la Ctr esposto con chiarezza argomentativa le ragioni del proprio convincimento.
Al riguardo, occorre rilevare che il vizio di cui all’art. 360, 1°c., n 5, c.p.c. non può consistere in apprezzamenti dei fatti e delle prove difformi da quelli pretesi dalla parte o nella mancata confutazione specifica di ciascun argomento da essa addotto, essendo sufficiente, ai fini della motivazione, che l’esposizione dei motivi e delle fonti di convincimento sia fatta dal giudice in modo da consentire il controllo che il processo logico valutativo da lui seguito sia immune da errori di diritto e da vizi logici (Cass., n. 2342/70).
Il terzo motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha fatto una corretta applicazione dell’onere probatorio, ritenendo che la consegna dei capi d’abbigliamento, destinati alla “G.V.” s.p.a., presso il domicilio di D.V., quale soggetto che organizzava sfilate nell’ambito dell’attività di quest’ultima società, non costituisse prova che la merce consegnata fosse destinata all’autoconsumo dell’imprenditore.
Invero, considerato che non è stato contestato il fatto che D.V. si occupasse di organizzare sfilate di moda per conto della “G.V.” s.p.a., la consegna della merce presso il domicilio della stessa V. è una corretta modalità di recapito dei beni ceduti, oggetto delle fatture intestate alla suddetta società, sicché sarebbe stato onere della ricorrente dimostrare che, in realtà, i capi d’abbigliamento in questione furono destinati all’autoconsumo dell’imprenditore.
Il ricorso incidentale va accolto.
Il primo motivo è fondato, in quanto non risulta violata la norma di cui all’art. 53, comma 2°, del d.p.r. n. 917/86, nella versione applicabile nella fattispecie, secondo il cui disposto:” si comprende inoltre tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1 destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”, né la norma analoga dell’art. 2, comma 2, n.5, del d.p.r. n.633/72.
Al riguardo, la A. s.p.a. cedette capi d’abbigliamento a S.V., con fatture a quest’ultimo intestate, con prezzi sottocosto la cui differenza, rispetto ai prezzi normali di listino, fu recuperata a tassazione a titolo di ricavi.
Ora, la Ctr, premesso correttamente che S.V. era da considerare soggetto giuridico distinto sia dalla G.V. s.p.a. che dalla A. s.p.a., ha però affermato l’applicabilità della presunzione di autoconsumo dei beni venduti, anche se l’autoconsumo è riferibile al solo G.V., quale intestatario delle fatture. Né è emerso, come esposto riguardo ai motivi del ricorso principale, che tali cessioni furono estranee all’esercizio dell’impresa.
Inoltre, è irrilevante che quest’ultimo fosse il presidente del c.d.a. dell’A. s.p.a. in quanto ciò non postula alcun autoconsumo riferibile alla società cedente.
Il secondo e terzo motivo possono dirsi assorbiti dall’accoglimento dei primi due.
Pertanto, la sentenza impugnata va sul punto cassata, non essendo necessari ulteriori accertamenti, il ricorso introduttivo del giudizio va accolto.
Circa le spese, sussistono giusti motivi, considerate le incertezze interpretative, per compensare quelle dei gradi di merito, mentre l’Agenzia delle entrate va condannata al pagamento delle spese del grado di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale. Accoglie il ricorso incidentale e cassa la sentenza impugnata.
Decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite.
Compensa le spese dei giudizi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della G. Holding s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di euro 14000,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, e agli accessori di legge.
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