CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 giugno 2018, n. 14526
Lavoro – Distacco – Contributi previdenziali – Reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa – Determinazione
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 652/2012, rigettava gli appelli proposti da L. P. e dall’INPS avverso la sentenza che aveva respinto la domanda svolta dal L. intesa ad ottenere il riconoscimento dell’obbligo della C. Spa a versare i contributi previdenziali dovuti per l’attività da egli svolta nel periodo di distacco in Turchia (dall’1 gennaio al 31 ottobre 2007), da calcolarsi non sulla c.d. retribuzione convenzionale bensì sulla retribuzione effettivamente erogata, con condanna al versamento della differenza a favore dell’INPS.
La Corte d’Appello, a fondamento della sentenza, richiamata la motivazione di una propria precedente decisione, sosteneva che nella fattispecie dovesse essere applicato il comma 8 bis dell’articolo 51 del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 – introdotto nel corpo della norma con l’art. 36 della legge 342/2000 – il quale, nel prevedere che il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa per un periodo superiore a 183 giorni nell’anno, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali, si riferiva non solo ai profili fiscali ma anche a quelli contributivi. Ciò in quanto già nel 2000 aveva avuto attuazione la completa equiparazione della definizione di reddito da lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali, talché se il legislatore avesse voluto applicare il comma 8 bis ai soli fini fiscali non lo avrebbe inserito nell’articolo 51 del TUIR oppure lo avrebbe diversamente ed espressamente limitato. Ed inoltre perché la stessa disposizione stabiliva espressamente la deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, onde soltanto ad essa si doveva far riferimento per la determinazione del reddito a fini contributivi.
Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso l’Inps con un unico articolato motivo di impugnazione. C. spa ha resistito con controricorso, illustrato de memoria ex art. 384 c.p.c. L. P. è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
1. – Con l’unico motivo di impugnazione l’Inps lamenta la violazione del Regolamento CEE n.1408/1971; della Convenzione di Parigi del 14 dicembre 1972 ratificata con I. 576/1988. Ulteriore violazione dell’articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989 n. 338 convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389; degli artt. 27 e 28 del d.p.r. 30 maggio numero 797, nel testo sostituito dall’articolo 6, primo comma, del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314. Falsa ed erronea applicazione dell’art. 4 d.l. 317/1987 conv. in I. 398 del 1987; art. 36 L. 342/2000; dell’art. 51 comma 8 bis d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (art. 360 n. 3 c.p.c.). Secondo l’Inps il distacco cui si riferivano i contributi del lavoratore in oggetto riguardava la Turchia, Paese con il quale i rapporti previdenziali erano disciplinati dalla convenzione di sicurezza sociale sottoscritta a Parigi il 14 dicembre 1972 (con convenzione ratificata dall’Italia l’11 gennaio 1990 ed entrata in vigore il 12 aprile 1990), che rendeva applicabile al caso di specie la legislazione previdenziale italiana avendo il legislatore pattizio posto in essere una regola che neutralizzava la circostanza di fatto del lavoro svolto all’estero; non poteva quindi applicarsi l’art. 4 d.l. 317/1987 conv. in I. 398 del 1987 il quale prevede che deve tenersi conto della retribuzione convenzionale ove vengano in rilievo fattispecie relative a lavoratori italiani operanti all’estero in paese extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale. Inoltre il decreto legislativo 2 settembre 1997 n. 314 destinato ad armonizzare la determinazione del reddito da lavoro dipendente a fini contributivi con quello relativo a fini fiscali non aveva inteso riferirsi all’individuazione del minimale contributivo, il quale doveva rimanere fermo secondo l’articolo 1 del decreto-legge n. 338 dell’89 e non era minimamente toccato dalla nuova disciplina degli artt. 27 e 28 del testo unico assegni familiari sostituiti col decreto legislativo 314/1997; i giudici di merito invece compiendo un’operazione di commistione di piani logici e giuridici avevano applicato le regole fissate per la determinazione dell’imponibile previdenziale ovverosia le regole fissate per l’individuazione delle voci della retribuzione sottoposta a contribuzione previdenziale, all’individuazione del minimale retributivo (cosiddetta retribuzione virtuale).
2. – Il motivo è fondato, secondo le seguenti osservazioni le quali si richiamano all’orientamento assunto da codesta Corte sulla medesima fattispecie con la pronuncia n. 17646/2016 (richiamata anche in Cass. n. 24032/2017) che questo collegio intende mantenere fermo e consolidare.
2.1. Va infatti osservato che con l’art. 3 comma 19 della I. 23 dicembre 1996 n. 662, il Governo è stato delegato ad emanare uno o più decreti legislativi volti ad armonizzare, razionalizzare e semplificare le disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e i relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
“a) revisione della definizione di reddito di lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali, per prevederne la completa equiparazione, ove possibile;
b) revisione, razionalizzazione e armonizzazione, ai fini fiscali e previdenziali, delle ipotesi di esclusione dal reddito di lavoro dipendente;
c) revisione e armonizzazione del criterio di imputazione del reddito di lavoro dipendente, tenendo conto per quanto riguarda i compensi in natura del loro valore normale, ai fini fiscali e previdenziali e consentendo la contestuale effettuazione della ritenuta fiscale e della trattenuta contributiva;
d) semplificazione, armonizzazione e, ove possibile, unificazione degli adempimenti, dei termini e delle certificazioni dei datori di lavoro;
e) armonizzazione dei rispettivi sistemi sanzionatori”.
L’art. 6 del d.lgs. n. 314 del 1997, in esecuzione della delega, ha quindi disciplinato la determinazione del reddito da lavoro dipendente a fini contributivi, prevedendo la sostituzione degli artt. 1 e 2 del d.l. 1 agosto 1945, n. 692, recepiti negli articoli 27 e 28 del T.U. delle norme sugli assegni familiari, approvato con d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, e dell’art. 29 del T.U. n. 1124 del 1965 sulle disposizioni contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, come sostituiti dall’articolo 12 della L. 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni e integrazioni, con il seguente:
“Costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli di cui all’articolo 46, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, maturati nel periodo di riferimento. Per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale si applicano le disposizioni contenute nell’articolo 48 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, salvo quanto specificato nei seguenti commi (OMISSIS)”. Lo stesso art. 6 al comma 8 ha poi aggiunto: “Sono confermate le disposizioni in materia di retribuzione imponibile di cui all’articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, e successive modificazioni e integrazioni, nonché ogni altra disposizione in materia di retribuzione minima o massima imponibile, quelle in materia di retribuzioni convenzionali previste per determinate categorie di lavoratori e quelle in materia di retribuzioni imponibili non rientranti tra i redditi di cui all’articolo 46 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.
2.2. La questione qui in scrutinio attiene all’ambito di applicazione del comma 8 bis dell’art. 48 del TUIR d.P.R. n. 917 del 1986 (poi divenuto 51 per effetto del D.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344), introdotto dall’art. 36 comma 1 della I. 21 novembre 2000, n. 342, recante “Misure in materia fiscale”, che dispone:
“In deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398”.
3. Occorre in primo luogo rilevare che la delimitazione dell’oggetto della delega effettuata dalla I. n. 662 del 1996, in base alla quale l’equiparazione della definizione di reddito di lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali doveva essere operata “ove possibile”, non è tale da determinare la natura recettizia del rinvio alle richiamate disposizioni del TUIR a fini previdenziali, occorrendo esaminare la compatibilità con il sistema previdenziale delle modifiche di volta in volta introdotte ai fini fiscali.
3.1. Nel caso in esame, la compatibilità del comma 8 bis in scrutinio con il sistema previdenziale dev’essere esclusa, per una serie di concomitanti ragioni.
3.2. Tale comma, aggiunto all’art. 48 del TUIR (poi 51) a tre anni di distanza dall’esercizio della delega finalizzata ad avvicinare gli imponibili a fini fiscali e previdenziali, è stato dettato con esplicito riferimento alla materia fiscale. Il discrimine temporale dei 183 giorni che introduce, infatti, trova ed esaurisce la sua ragion d’essere nel campo fiscale, in quanto è legato al concetto di “residenza fiscale” delle persone fisiche ai sensi dell’art. 2 comma 2 del TUIR, mentre perde ogni significato se trasportato nel campo previdenziale. Qui infatti il concetto di “residenza” non rileva, sicché si determinerebbe una disparità di trattamento, ingiustificata ai fini previdenziali, tra i lavoratori assoggettati al regime previdenziale italiano che soggiornano all’estero per periodi inferiori o superiori a quello indicato.
3.3. Inoltre, ritenere la disposizione operante ai fini previdenziali determinerebbe un’ingiustificata compressione delle entrate pubbliche, a detrimento anche della posizione previdenziale del lavoratore.
3.4. Infine, il comma 8 bis dell’art. 48 (51) del TUIR qui in scrutinio, al fine di individuare la retribuzione imponibile, fa riferimento ai decreti ministeriali previsti dall’ art. 4 del d.l. n. 317 del 1987. Esso però non mette in discussione l’impianto complessivo del sistema in cui tali decreti ministeriali si inseriscono ai fini previdenziale. In materia previdenziale, infatti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 30 dicembre 1985, n. 369 e al fine di tutelare il lavoratore italiano inviato all’estero in Paesi con i quali l’Italia non abbia stipulato una convenzione di sicurezza sociale, detto d.l. 31 luglio 1987, n. 317, conv., con modificazioni, dalla I. 3 ottobre 1987, n. 398, ne ha previsto l’obbligo di iscrizione ad una serie di assicurazioni (art. 1 comma 1) utilizzando, come base imponibile per il calcolo dei contributi, le retribuzioni convenzionali fissate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro (e con quello delle finanze, come aggiunto dall’art. 36 comma 2 della L. 342 del 2000), (art. 4). Corrispettivo di tale previsione è la commisurazione delle prestazioni economiche relative alle assicurazioni di cui all’articolo 1, comma 1, lettere a), b), d), e) ed f) alla retribuzione convenzionale imponibile di cui all’articolo 4 (art. 3, comma 2).
3.5. Nei casi in cui invece vi siano accordi che consentano il mantenimento della copertura assicurativa in Italia, in deroga al principio del criterio della territorialità, i datori di lavoro, che continueranno a versare i contributi previdenziali in Italia, devono assumere come parametro per la determinazione della base imponibile le retribuzioni effettive corrisposte ai lavoratori all’estero, cui sono correlativamente commisurate, nelle forme e nei modi previsti, le prestazioni dovute.
4. Nel caso che ci occupa, occorre specificare che le prestazioni lavorative di cui si tratta sono state rese in Turchia, con la quale i rapporti previdenziali sono disciplinati dalla convenzione di sicurezza sociale sottoscritta a Parigi il 14 dicembre 1972 ( ratificata dall’Italia l’il gennaio 1990 ed entrata in vigore il 12 aprile 1990), in virtù della quale il lavoratore italiano occupato in quel Paese da parte di un’impresa italiana rimane assoggettato alla legislazione del nostro Stato.
5. – L’applicazione, in virtù dell’accordo, della copertura previdenziale predisposta dalla normativa nazionale, priverebbe dunque di ragionevole giustificazione una previsione in tema di determinazione dell’imponibile previdenziale quale quella contenuta nel comma 8 bis dell’art. 48 (51) del TUIR.
Deve quindi concludersi che il comma 8 bis dell’art. 48 del TUIR (divenuto art. 51 per effetto del D.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344), opera esclusivamente a fini fiscali, e non incide sulla determinazione della base imponibile a fini contributivi per i lavoratori italiani che lavorano all’estero.
6. Tale conclusione, e le argomentazioni sulla quale essa si fonda, resistono alle critiche sollevate dalla parte ricorrente nella memoria ex art 384 c.p.c. le quali muovono dalla tesi dell’assoluta parificazione della nozione di retribuzione imponibile a fini fiscali ed a fini previdenziali ex I. 23 dicembre 1996 n. 662 e art. 51 TUIR, che risulta invece, anzitutto, smentita dalla stessa legge delega cit. la quale, come già detto, prevede che “la completa equiparazione” debba essere realizzata solo “ove possibile”; imponendo quindi un giudizio di compatibilità di cui l’interprete, e prima ancora lo stesso legislatore delegato, devono farsi carico.
7. – Si sostiene poi che il legislatore abbia dettato una esplicita regolamentazione della questione previdenziale ed abbia voluto parificare (al ribasso) la condizione previdenziale dei lavoratori italiani all’estero dettando una disciplina uniforme, relativamente all’individuazione della base imponibile contributiva, che sarebbe determinata per tutti i lavoratori in relazione alle retribuzioni convenzionali; quale che sia lo Stato estero ove essi prestino il loro lavoro; con l’unica eccezione riguardante il caso in cui il lavoro prestato non superi la soglia di 183 giornate nell’arco di 12 mesi, rispetto al quale la base imponibile rimarrebbe legata invece alla retribuzione effettivamente erogata.
Tale interpretazione si pone però in contrasto con la stessa ratio protettiva discendente dalla pronuncia della Corte Costituzionale 369/85 la quale ha affermato che ai lavoratori italiani operanti all’estero alle dipendenze di imprese italiane, in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale che consentissero la deroga al principio di territorialità, andasse comunque garantita una tutela previdenziale che il legislatore era abilitato ad individuare (e che è stata poi dettata dall’art. 4 d.l. 317/1987 conv. in I. 398 del 1987, con l’individuazione di un imponibile convenzionale). Ma ciò, deve essere aggiunto, senza penalizzare la tutela previdenziale discendente dai principi generali, per i lavoratori italiani operanti in Paesi con i quali esistono accordi internazionali in materia di assicurazione sociale.
7.1. Ed invero, mentre il versamento di contributi previdenziali commisurati su retribuzioni convenzionali, può ritenersi giustificato alla luce del principio di territorialità degli istituti di sicurezza sociale che non consente il pieno dispiegarsi della relativa normativa (come si evince proprio dalla sentenza cit. della Corte Costituzionale). In caso di lavoro in Paesi extracomunitari con i quali esiste una convenzione in materia di sicurezza sociale – che rimuova l’ostacolo del principio di territorialità e consenta la piena applicazione della regolamentazione previdenziale interna – una eventuale deroga al canone della normale determinazione della base imponibile contributiva solleva profili di irragionevolezza ed anche di diretto contrasto con il principio stabilito dall’articolo 35 Cost. secondo cui la Repubblica tutela il lavoro italiano all’estero.
8. Per contro, alcun fondato dubbio di costituzionalità può sollevarsi nei confronti della normativa indicata, nella interpretazione qui accolta, ove si pensi che si discute di lavoratori dipendenti da imprese italiane che lavorano nel nostro Paese o il cui rapporto è sorto in Italia e che inviati ad operare nel territorio di altri Stati continuano a fruire della regolamentazione relativa alla retribuzione imponibile che devono ricevere nel nostro Paese in virtù degli accordi di sicurezza sociale emessi allo scopo ovvero in base all’art.14 del Regolamento CEE (che detta analoghi principi).
9. Neppure è possibile ipotizzare che la suddetta norma – prevedendo il pagamento dei contributi sulla normale base imponibile per periodi fino a 183 giorni- abbia come fine di disincentivare l’invio all’estero del lavoratore per brevi periodi; che risulterebbe invece una finalità estemporanea, non coerente con quella cui deve essere improntata la protezione previdenziale dei lavoratori; e che comunque non giustificherebbe il trattamento deteriore riservato a chi opera all’estero per un periodo di tempo più ampio, percependo maggiori retribuzioni.
10. Né la diversità di regolamentazione che la tesi qui accolta ritiene esistente tra lavoratori operanti in Paesi con i quali esistono oppure non esistono i predetti accordi può porre problemi di costituzionalità sotto il profilo della disparità di trattamento, in considerazione delle oggettive differenze esistenti fra le medesime situazioni all’interno dell’ordinamento.
11. Anche la dimensione finanziaria della questione appare argomentazione di rilievo e spendibile ai fini del giudizio, essendo altresì giustificata in relazione al tenore dell’articolo 3, comma 20 della legge 662/1996 il quale prevede che l’attuazione della delega deve assicurare l’assenza di oneri aggiuntivi o di minori entrate per il bilancio dello Stato per l’anno 1997, nonché maggiori entrate nette pari a lire 200 miliardi per ciascuno degli anni 1998 e 1999. Talché non è possibile ipotizzare che la stessa normativa possa pure giustificare la successiva introduzione di un meccanismo di computo della retribuzione imponibile previdenziale che peggiora il saldo delle entrate con riferimento alla posizione dei lavoratori italiani che lavorano in Paesi con i quali esiste una regolamentazione dei rapporti di lavoro basata sulla deroga al principio di territorialità.
12. Infine, non appaiono rilevanti i riferimenti ai lavori preparatori o ad alcune note emanate dal Direttore Centrale dell’INPS, né tantomeno rivestono valore risolutivo ai fini della complessa questione interpretativa in discussione.
13. Per le ragioni esposte il ricorso va quindi accolto. La sentenza deve essere cassata e la causa rinviata per il seguito alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione, la quale nella definizione della domanda applicherà il principio di diritto desumibile dalle precedenti considerazioni e provvederà alla regolazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione.
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