CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 ottobre 2020, n. 21809
Tributi – Imposta di registro – Cessione di azienda – Accertamento maggior valore – Definizione da parte dell’acquirente – Pronuncia di cessazione della materia del contendere nei confronti del venditore – Interessa all’impugnazione – Esclusione
Svolgimento del processo
La P. 263 sas di P. M. & C., unitamente ai soci, ha impugnato un avviso di rettifica e liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva modificato il valore dichiarato per la vendita alla società FF T. di un’attività di pizzeria-ristorante-bar.
La CTP di Varese, con sentenza n. 124/03/2011, nel contraddittorio delle parti, ha dichiarato cessata la materia del contendere, sul presupposto che la società acquirente avesse definito, in contraddittorio con l’Ufficio, la controversia, versando il tributo dovuto.
La P. 263 sas di P. M. & C., unitamente ai soci, ha proposto appello.
La CTR di Milano, con sentenza n. 106/19/13, ha respinto l’impugnazione.
La P. 263 sas di P. M. & C., unitamente ai soci, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
1. Con un unico motivo i contribuenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 19 e 46 del d.lgs. n. 546 del 1992, degli articoli 52 e 57 del d.P.R. n. 131 del 1986 e dell’articolo 24 Cost. poiché la CTR avrebbe errato nel confermare la pronuncia di cessazione della materia del contendere del primo giudice.
Nella specie, era avvenuto che, con riferimento alla cessione di una attività di ristorazione, era stato emesso, nei confronti dei cedenti e dell’acquirente, un avviso di rettifica del valore del bene, con contestuale liquidazione di una maggiore imposta di registro.
Il compratore aveva deciso, avvalendosi del procedimento di accertamento con adesione, di definire la controversia pagando un importo minore di quanto domandato con il menzionato avviso di rettifica.
Gli attuali ricorrenti, però, successivamente al pagamento, avevano impugnato l’avviso di rettifica in questione, sostenendo di avere a ciò interesse, in quanto la quantificazione del valore della cessione ad opera dell’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto in seguito giustificare una ulteriore contestazione, quale plusvalenza non dichiarata, da parte della medesima Agenzia delle Entrate, con relativo accertamento IRPEF.
In pratica, l’adesione ad una definizione del contenzioso decisa dal coobbligato solidale, non poteva tradursi in una privazione del diritto difesa di altro coobbligato che, comunque, non aveva a tale definizione aderito.
Inoltre, la cessazione della materia del contendere non avrebbe mai potuto essere dichiarata, considerato che essi ricorrenti non avevano aderito alla richiesta di controparte sul punto e che, in ogni caso, il loro ricorso era stato proposto dopo il pagamento de quo.
La doglianza è inammissibile per difetto di specificità e di interesse.
In primo luogo, si rileva che presupposto per l’instaurazione di un giudizio è l’esistenza di un interesse del ricorrente ad ottenere una data pronuncia.
In particolare, in ambito tributario l’interesse de quo va definito alla luce della circostanza che il relativo processo si fonda sull’impugnazione di un atto e ha ad oggetto il rapporto sostanziale controverso (Cass., Sez. 5, n. 15472 del 13 giugno 2018), dovendosi accertare la legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato ed alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in tale atto indicati (Cass., Sez. 5, n. 6620 del 19 marzo 2009).
Nella specie, secondo i ricorrenti, detto interesse sarebbe conseguito all’eventualità che la quantificazione del valore della cessione ad opera dell’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto in seguito giustificare una ulteriore contestazione, quale plusvalenza non dichiarata, da parte della medesima Agenzia delle Entrate, con relativo accertamento IRPEF.
Peraltro, sulla base di questa prospettazione dell’interesse a ricorrere, i contribuenti avrebbero dovuto riportare nel loro ricorso per cassazione, in virtù del principio di specificità, il contenuto del nuovo avviso concernente l’IRPEF notificatogli dall’Ufficio, al fine di consentire a questa Corte di cassazione di accertare se veramente il nuovo accertamento si fondava sull’atto qui impugnato.
Inoltre, si osserva che l’interesse ad impugnare deve sussistere al momento dell’instaurazione del giudizio.
Nel caso in esame, per stessa ammissione dei ricorrenti, all’epoca in cui hanno adito la CTP nessun accertamento IRPEF era ancora stato notificato dall’Agenzia delle Entrate, con la conseguenza che l’interesse prospettato era meramente ipotetico e non idoneo a giustificare una impugnazione.
2. Il ricorso è, quindi, dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, a carico dei ricorrenti, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (se dovuto e nei relativi limiti) pari a quello prescritto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
– dichiara inammissibile il ricorso;
– condanna i ricorrenti a rifondere le spese in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in complessivi € 600,00, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso (se dovuto e nei relativi limiti).
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