Corte di Cassazione ordinanza n. 11838 depositata il 12 aprile 2022
accertamento – TUIR – cessione immobili – determinazione dei ricavi
Rilevato che
Ad E.A. fu notificato l’avviso di accertamento con cui, per l’anno d’imposta 2004, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, l’Agenzia delle Entrate, attribuì un maggior reddito, derivante dalla realizzazione di plusvalenze non dichiarate.
L’atto impositivo, scaturito dalla segnalazione di cessione di terreni edificabili, fu impugnato dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, denunciando la decadenza dal potere accertativo, l’illegittimità e infondatezza della motivazione, la sua nullità per l’applicazione di principi e regole valide per l’imposta di registro. Il giudice di primo grado, con sentenza n. 533/26/2013, rigettò il ricorso. La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza 1514/37/2015, ora al vaglio della Corte, rigettò l’appello. Per quanto si evince dalla motivazione, il giudice regionale ha riconosciuto la tempestività dell’accertamento, nel rispetto dei termini prescritti dall’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e il corretto ricorso al metodo induttivo per la determinazione del reddito, rispetto alle cui prove presuntive spettava alla contribuente offrire prova contraria.
La contribuente ha censurato la sentenza con tre motivi. L’Agenzia delle entrate ha depositato irritualmente un “atto di costituzione” al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza pubblica.
Nell’adunanza camerale del 23 febbraio 2022 la causa è stata trattata e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo la E.A. ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 2729 cod. civ., degli artt. 43 e 51 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., perché erroneamente il giudice d’appello ha riconosciuto la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, su cui fondare l’accertamento;
Con il secondo motivo ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per aver ritenuto tempestivo l’esercizio del potere d’accertamento;
con il terzo motivo si è doluta dell’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, nonché della violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 5 e 3, cod. proc. civ., per mancata allegazione all’avviso di accertamento dell’atto di adesione con cui la società acquirente aveva definito la propria posizione fiscale rispetto all’imposta di registro.
Va premesso, per quanto si evince dal ricorso e dalla sentenza impugnata, che il contenzioso aveva tratto origine dalla cessione a terzi, da parte della E.A., di un terreno a vocazione edificatoria, di cui sosteneva di essere nuda proprietaria, al prezzo dichiarato di € 275.100,00 (avendo peraltro provveduto al pagamento dell’imposta sostitutiva del 4%, ai sensi della l. n. 488 del 2001). In sede di accertamento dell’imposta di registro l’Amministrazione finanziaria aveva invece determinato in € 495.433,00 il valore del terreno, corrispondente a quello con cui la società acquirente aveva definito con adesione il rapporto fiscale. Tenendo conto di quest’ultimo valore l’Ufficio aveva quindi proceduto nei confronti della odierna ricorrente, accertando ai fini Irpef la plusvalenza conseguita ed addebitata alla cedente.
Esaminando allora il primo motivo, con esso la contribuente ha criticato la decisione impugnata, perché ha riconosciuto la correttezza dell’atto impositivo sulla base del solo elemento presuntivo del valore del terreno determinato ai fini dell’imposta di registro.
Dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, in verità del tutto insufficiente e poco perspicua, il riferimento alle determinazioni cui l’ufficio era pervenuto ai fini dell’imposta di registro è presente nella esposizione dello “svolgimento del processo”, ultimo capoverso. Nell’oscuro successivo sviluppo argomentativo delle ragioni della decisione, al di là di formule generiche, non è dato individuare alcun altro elemento assunto dalla commissione regionale -e prima ancora dall’Agenzia delle entrate-, a supporto delle ragioni del maggior reddito accertato.
Ebbene, la decisione è stata evidentemente assunta sulla base dell’orientamento interpretativo formatosi nella vigenza della disciplina anteriore a quella introdotta dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. 22 settembre 2015, n. 147. Quest’ultima norma ha invece espressamente disposto che «Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347».
A seguito dell’intervento legislativo, la cui regola costituisce interpretazione autentica della previgente disciplina, con efficacia dunque retroattiva, questa Corte ha mutato orientamento ed ha affermato che ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi l’art. 5 cit. esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (cfr. Cass., 18/04/2018, n. 9S13; 02/08/2017, n. 19227; 17/05/2017, n. 12265; 06/06/2016, n. 11.543). È necessario invece che l’Ufficio individui ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, che a sua volta, ove voglia contestare le determinazioni dell’Amministrazione finanziaria, è gravato della prova contraria (Cass., 08/05/2019, n. 12131).
L’interpretazione autentica della disciplina, laddove è previsto che il maggior corrispettivo ai fini dell’imposta di registro sia stato < <dichiarato, accertato o definito>>, va intesa nel senso della irrilevanza della sua determinazione non solo in sede di accertamento, ma anche in occasione della sua definizione con adesione, ai sensi del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218.
Ebbene, nella motivazione della sentenza del giudice regionale, a parte quel riferimento agli esiti dell’accertamento dell’imposta di registro, riguardante il cessionario del terreno, non è dato cogliere quali altri elementi abbiano fondato l’accertamento della plusvalenza. Si rivela dunque in concreto l’assenza di prove del maggior valore del terreno ceduto. Con ciò la sentenza non si è attenuta ai principi di diritto enunciati da questa Corte, alla luce della sopravvenuta norma di interpretazione, ossia dell’art. 5, comma 3, del d. lgs. n. 147 del 2015.
Il primo motivo è pertanto fondato e trova accoglimento.
L’accoglimento del primo motivo assorbe il terzo.
È invece inammissibile il terzo motivo, che non si trova in rapporto di consequenzialità con il primo, e per il quale risulta violato l’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., per difetto di autosufficienza, mancando ogni elemento da cui verificare la effettiva presentazione della dichiarazione congiunta dei redditi con il proprio coniuge o il pagamento dell’imposta sostitutiva.
La sentenza va pertanto cassata e il processo deve essere rinviato alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che in diversa composizione dovrà provvedere, oltre che alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità, al riesame della controversia e dei motivi d’appello.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbito il terzo, inam missibile il secondo. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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