CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 marzo 2018, n. 5948
Cartella esattoriale – Contributi omessi – Premio delle tre mensilità – Cessazione del rapporto di lavoro – Atti interruttivi della prescrizione
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano (sentenza del 10.11.2011), pronunziando sull’impugnazione dell’Inps avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva annullato la cartella esattoriale opposta dall’intimata società D.T.S. s.p.a., ha riformato parzialmente tale decisione, accertando la legittimità dell’iscrizione a ruolo dei soli contributi omessi relativi al premio delle tre mensilità ed ha condannato l’opponente al pagamento dei relativi contributi per il periodo oggetto di causa, oltre che al versamento delle sanzioni civili di cui all’art. 116, comma 8°, lettera a), della legge n. 388 del 2000.
La Corte territoriale ha spiegato che l’Inps, facendo acquiescenza agli altri capi della sentenza, aveva fondatamente lamentato l’erroneità della decisione nella parte in cui era stata erroneamente ritenuta non fondata l’interruzione della prescrizione del credito contributivo vantato in ordine all’erogazione dell’indennità delle tre mensilità della retribuzione corrisposta all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. Inoltre, secondo la stessa Corte, la sanzione per tale mancato versamento era riconducibile all’ipotesi dell’omissione e non a quella dell’evasione contributiva.
Per la cassazione della sentenza ricorrono separatamente la società D.T.S. s.p.a. e l’Inps, rispettivamente con otto e due motivi. Entrambe le parti resistono agli avversi ricorsi con controricorso, depositando, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 1335 cod. civ., la società D.T.S. s.p.a. si duole della decisione attraverso la quale la Corte d’appello di Milano ha ritenuto provata l’interruzione della prescrizione sulla base della produzione in giudizio di una lettera raccomandata, nonostante che l’Inps non avesse allegato la prova dell’avvenuta spedizione e dell’avvenuta consegna di tale raccomandata.
2. Col secondo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 416 c.p.c., la difesa della società lamenta che la Corte di merito ha disatteso l’eccezione di prescrizione sulla base della produzione, da parte dell’Inps, della cartolina di ricevimento della raccomandata dell’8 novembre 2000 ad oltre due anni di distanza dalla sua costituzione in giudizio.
3. Col terzo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2697 cod. civ. in relazione agli artt. 420, 421 e 437 c.p.c., la ricorrente osserva che, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza, il giudice di primo grado non aveva acquisito agli atti la copia dell’originale della cartolina di ricevimento della raccomandata, in quanto all’udienza dell’1.7.2008, a fronte della tardiva produzione documentale effettuata dall’Inps, il giudicante non aveva assunto alcun provvedimento.
4. Col quarto motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 279 e 340 c.p.c., la società lamenta che l’Inps non aveva proposto riserva d’appello avverso l’ordinanza istruttoria resa dal primo giudice all’udienza del 18.5.2007, ordinanza in cui vi era il riferimento ad un riconoscimento delle parti circa l’intervenuta prescrizione su tutta la questione dedotta in giudizio, fatta eccezione per quella relativa alla qualificazione del rapporto dei tre medici di fabbrica.
5. Col quinto motivo, attraverso il quale si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 329 c.p.c., si evidenzia che con la memoria d’appello era stata eccepita l’improponibilità dell’impugnazione svolta dall’Inps, atteso che a seguito di quanto statuito all’udienza del 18 maggio 2007 in merito alla circostanza che l’unica materia della causa non coperta da prescrizione o da giudicato era quella riflettente la posizione dei tre medici di fabbrica, l’Inps aveva riconosciuto, con separati provvedimenti, il diritto allo sgravio per gli importi relativi ai contributi pretesi per il “premio tre mensilità”, ma ciò nonostante i giudici d’appello avevano omesso di motivare in ordine all’intervenuta acquiescenza dell’istituto al provvedimento del giudice del lavoro di primo grado.
6. Col sesto motivo, attraverso il quale è dedotto vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., la società lamenta che erroneamente la Corte d’appello di Milano ha citato, a sostegno dell’affermazione di assoggettabilità a contribuzione del premio “tre mensilità”, il precedente di legittimità n. 16060/2003, posto che in quest’ultima sentenza la Corte di Cassazione aveva ritenuto assoggettabile a contribuzione il cosiddetto premio di fedeltà, premio, questo, del tutto differente da quello oggetto di causa.
7. Col settimo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, I. 30.4.1969, n. 153 e dell’art. 2120 cod. civ., nella formulazione antecedente alla modifica legislativa di cui alla legge 29.5.1982, n. 297 e post novella, la ricorrente contesta quanto affermato dalla Corte territoriale in merito alla ritenuta assoggettabilità a contribuzione del cd. premio “tre mensilità” sulla base dell’impossibilità di riconoscere allo stesso la natura di indennità di anzianità, quando, al contrario, tale premio avrebbe le caratteristiche proprie dell’indennità di anzianità, ora T.F.R., essendo erogato solo in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro, senza essere collegato al raggiungimento dell’età pensionabile, ed essendo determinato sulla base variabile della retribuzione oraria o mensile. Ne conseguirebbe, secondo il presente assunto difensivo, l’esclusione dell’emolumento in esame dalla base imponibile, al pari dell’indennità di anzianità.
8. Con l’ottavo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, I. 30.4.1969, n. 153, dell’art. 2120 cod. civ., nella formulazione antecedente alla modifica legislativa di cui alla legge 29.5.1982, n. 297 e post novella, nonché degli artt. 1362 e seguenti del codice civile, la ricorrente sostiene che la conferma della non assoggettabilità a contribuzione del premio in esame discende anche dalla circostanza che nella propria circolare n. 451 del 3.3.1978 la Direzione generale dell’Inps aveva invitato le proprie sedi a considerare come escluse da contribuzione tutte quelle erogazioni strettamente collegate con la cessazione del rapporto di lavoro, realizzanti la fattispecie dell’integrazione o maggiorazione dell’indennità di anzianità non rientrante nella base imponibile.
9. Il ricorso della società D.T.S. s.p.a. è infondato.
Anzitutto, per quel che concerne l’oggetto dei primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, essendo unica la questione dell’interruzione della prescrizione in essi dedotta, si osserva che correttamente la Corte d’appello di Milano ha rilevato che nella memoria di costituzione in giudizio di primo grado l’Inps aveva precisato di aver inviato alla società le lettere, nelle date dell’8.11.2000 e del 17.4.2001, attraverso le quali aveva espressamente diffidato l’opponente al pagamento dei contributi dovuti, producendo in allegato, nel contempo, la citata raccomandata RR dell’8.11.2000, relativa ai contributi dovuti in relazione al premio oggetto di causa. La stessa Corte ha poi precisato che all’udienza dell’1.7.2008 la difesa dell’Inps aveva esibito l’originale della cartolina di ricevimento della citata lettera, recante la data del 20.11.2000, tanto che la copia dell’originale della cartolina era stata acquisita agli atti, per cui non era scattata alcuna preclusione ed alcuna tardività della produzione poteva ritenersi essersi verificata. Inoltre, nell’impugnata sentenza è ben evidenziato che dalla lettura degli atti di causa non risultava che il giudice avesse verbalizzato la mancata acquisizione della produzione documentale concernente l’interruzione della prescrizione per tardività della stessa, per cui era da ritenere acquisita al processo la copia del predetto documento, corrispondente all’originale esibito dall’Inps.
Orbene, tale ragionamento logico-giuridico, correttamente motivato in punto di diritto, è esente da rilievi di legittimità, in quanto basato sulla puntuale ricostruzione dei fatti processuali attinenti all’efficacia espletata dalla produzione degli atti interruttivi della prescrizione, ritenuti regolarmente prodotti in giudizio, e non è in contrasto con le norme di rito in materia di preclusioni processuali.
10. Per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente anche il quarto ed il quinto motivo che vertono sull’asserita acquiescenza alla decisione giudiziale riconducibile all’ordinanza istruttoria del 18.5.2007.
Anche tali motivi sono infondati, posto che la Corte di merito ha correttamente rilevato che nel suddetto verbale si leggeva esclusivamente un’ordinanza di ammissione dei testi, neanche esplicativa dei capitoli di prova oggetto del l’istruttoria da svolgere, per cui non era dato ravvisare in tale provvedimento un contenuto decisorio implicante l’avvenuta disamina della questione della prescrizione rispetto alla quale l’Inps avrebbe dovuto manifestare riserva d’appello. Né ha rilievo l’argomentazione difensiva che fa leva sulla circostanza rappresentata dal riferimento contenuto in tale verbale alla posizione assunta dalle parti in ordine alla questione della prescrizione, perché il passaggio motivazionale riportato dall’odierna ricorrente può interpretarsi solo nel senso che lo stesso era strumentale all’adozione del provvedimento istruttorio, atteso che il valore decisorio sulla dibattuta questione di merito della prescrizione non poteva che discendere dalla decisione finale sul merito della vicenda, per cui, come giustamente evidenziato dalla Corte territoriale, non era dato comprendere quale riserva d’appello avrebbe dovuto essere formulata dall’Inps.
11. Sono, infine, infondati il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso della società opponente, i quali possono essere esaminati congiuntamente essendo connessi in quanto vertono, sotto diversi aspetti, sulla qualificazione giuridica dell’indennità fatta oggetto di pretesa contributiva.
Orbene, non è affatto vero che il richiamo eseguito dalla Corte d’appello al precedente n. 16060/2003 di questa Corte non sia pertinente, in quanto l’esito di quel caso è stato utilizzato dalla Corte di merito in considerazione della ravvisata analogia con l’attuale questione.
Infatti, nel precedente n. 16060 del 25.10.2003 della sezione Lavoro di questa Corte fu statuito quanto segue: “il cosiddetto premio fedeltà, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianità di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro – che è un emolumento in denaro corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro e non una liberalità concessa una tantum e non collegata al rendimento del lavoratore o all’andamento aziendale – deve essere incluso nella retribuzione imponibile a fini contributivi, in quanto la suddetta nozione, dettata dall’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio) è più ampia rispetto alla nozione civilistica di retribuzione, comprendendo non solo il corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anche tutto ciò che il lavoratore riceva o abbia diritto di ricevere dal datore di lavoro, in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo le voci espressamente escluse dallo stesso articolo 12”.
“Il “premio di fedeltà”, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianità di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, non può essere assimilato alla indennità di anzianità – esclusa dalla retribuzione imponibile ai fini previdenziali ai sensi dell’art. 12, secondo comma, della legge n. 153 del 1969, – non costituendo una retribuzione differita e proporzionale da erogarsi in favore di tutti i lavoratori, ed essendo condizionato al concorso di altre circostanze, ovvero ad una anzianità minima maturata in azienda”.
La Corte d’appello di Milano ha, pertanto, colto bene l’analogia col caso sopra richiamato, in quanto è stato puntualmente accertato che anche nella fattispecie la finalità dell’erogazione in esame era quella di stimolare la permanenza dei lavoratori in azienda e, quindi, di “fidelizzarli”, non di favorirne l’esodo, con conseguente assoggettabilità a contribuzione dell’indennità in esame. Né appaiono condivisibili le argomentazioni della ricorrente in ordine al fatto che l’indennità in questione veniva erogata al momento della cessazione del rapporto, poiché ciò che rileva, ai fini dell’assoggettabilità di tale premio alla contribuzione, non è il momento della sua corresponsione, bensì la sua natura giuridica che è strettamente connessa alla sua finalità, messa bene in rilievo dalla Corte di merito, e che consente di ritenere che il premio “tre mensilità” non si sottrae alla regola generale della contribuzione di ciò che viene erogato in costanza di rapporto di lavoro. Né appare conferente il richiamo alla circolare dell’Inps, in quanto la stessa presuppone che si tratti di indennità analoga a quella di fine rapporto, situazione, questa, che nella fattispecie è stata esclusa.
12. Col suo primo motivo l’Inps deduce la nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla parte del motivo di gravame avente ad oggetto la prescrizione del diritto dell’Inps ai contributi sul servizio di trasporto gratuito.
Il motivo è infondato per la semplice ragione che l’Inps non censura la specifica statuizione dell’impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano con la quale si afferma espressamente che l’istituto di previdenza aveva fatto acquiescenza agli altri capi della sentenza di primo grado. Orbene, non vi è dubbio che in tali capi della sentenza di prime cure rientrasse la questione della prescrizione del diritto dell’Inps ai contributi sul servizio di trasporto gratuito, per cui la difesa dell’ente avrebbe dovuto contestare in maniera altrettanto specifica tale autonoma statuizione che racchiude in sé una precisa “ratio decidendi” che, allo stato, non risulta essere stata investita nella presente sede di legittimità.
13. Col secondo motivo l’Inps si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 116, comma 8, lett. a) e 116, comma 8, lett. b) I. n. 388/2000, nonché del vizio di motivazione, contestando la decisione della Corte d’appello di ritenere applicabile nella fattispecie la sanzione meno grave collegata all’ipotesi dell’omissione contributiva, in luogo di quella più grave dell’evasione contributiva ed assumendo che la controparte avrebbe dovuto farsi, invece, carico di dimostrare l’assenza di un suo intento fraudolento al fine di poter beneficiare del più favorevole regime sanzionatone.
Anche tale motivo è infondato, atteso che, con motivazione adeguata ed immune da rilievi di legittimità, la Corte d’appello di Milano, nel ricondurre l’ipotesi in esame a quella punita in maniera meno grave, cioè al caso specifico dell’omissione contributiva, ha ben evidenziato che poteva condividersi l’assunto difensivo della società circa un’effettiva e reale incertezza sulla sussistenza dell’obbligo contributivo di cui trattasi a seguito della comunicazione amministrativa poco chiara dell’ente impositore ed alla luce della circolare n. 451 del 3.3.1978 dell’Inps che escludeva dalla contribuzione le somme strettamente collegate con la cessazione del rapporto di lavoro, per cui era da escludere la sussistenza di un intento elusivo della società atto a giustificare l’applicazione della più grave sanzione connessa all’ipotesi dell’evasione contributiva.
14. In definitiva entrambi i ricorsi vanno rigettati.
La reciproca soccombenza delle parti induce questa Corte a ritenere interamente compensate tra le stesse le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e compensa le spese del presente giudizio.
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