CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 16238 depositata l’ 8 giugno 2023
Lavoro – Verbale di accertamento – Pagamento contributi – Minimale giornaliero – Differenze contributive – Oneri accessori – Contrattazione collettiva – Elusione – Rigetto
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 15.3.2017, la Corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell’a.g.o. sulla domanda con cui Soc. Coop. D. s.c. a r.l. aveva chiesto dichiararsi l’invalidità del verbale di accertamento con cui l’INPS le aveva contestato il pagamento dei contributi in misura inferiore al minimale giornaliero e ha rigettato nel merito l’opposizione proposta avverso l’anzidetto verbale, dichiarando dovute le somme ivi esposte a titolo di differenze contributive e oneri accessori;
che avverso tale pronuncia Soc. Coop. D. s.c. a r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che l’INPS ha resistito con controricorso;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale dell’8.3.2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380-bis.1, comma 2°, c.p.c.);
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5, l. n. 2248/1865, all. E, nonché degli artt. 34, 37 e 112 c.p.c., anche in relazione agli artt. 1362 ss. c.c., per avere la Corte di merito dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda volta alla declaratoria d’invalidità del verbale di accertamento, ancorché detta domanda avesse in realtà ad oggetto l’inidoneità del predetto verbale a costituire titolo per la pretesa richiesta di differenze contributive e sanzioni civili e l’invalidità del verbale medesimo fosse stata dedotta esclusivamente in via incidentale;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1, l. n. 389/1989, e 112 e 437, comma 2°, c.p.c., per avere la Corte territoriale accolto il gravame dell’INPS nonostante che contenesse profili di accertamento in fatto e temi di indagine affatto diversi da quelli proposti in primo grado;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione dell’art. 112 c.p.c., anche in relazione agli artt. 279 e 178 c.p.c., nonché di violazione dell’art. 13, d.lgs. n. 124/2004, anche in relazione all’art. 3, l. n. 241/1990, nonché degli artt. 9, comma 1, d.lgs. n. 61/2000, e 51, T.U. n. 917/1986, per non avere la Corte di merito statuito in ordine alle censure già accolte in prime cure e riproposte in appello concernenti la difformità del verbale di accertamento rispetto al modello legale;
che, con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, l. n. 389/1989, anche in relazione all’art. 51, T.U. n. 917/1986, per avere la Corte territoriale ritenuto la fondatezza nel merito della pretesa dell’INPS, ancorché riposasse su indimostrati presupposti sia in fatto che in diritto;
che il primo motivo è inammissibile per carenza d’interesse, atteso che i giudici territoriali, pur ritenendo che la domanda concernente la declaratoria d’invalidità del verbale di accertamento fosse stata spiegata principaliter e non già incidenter tantum, al solo fine di contestare la pretesa creditoria, hanno comunque deciso la lite anche nel merito, ritenendo la sussistenza del credito per differenze contributive fatto valere con il verbale medesimo;
che il secondo motivo è infondato, atteso che dei tre profili di novità individuati dall’odierna ricorrente nel contenuto dell’appello dell’INPS (e analiticamente indicati a pag. 12 del ricorso per cassazione), il primo, concernente “gli esoneri, le detrazioni e i benefici di cui a pag. 4 dell’atto di gravame” non risulta esser stato preso in considerazione dalla sentenza qui impugnata, mentre il secondo e il terzo (concernenti, rispettivamente, “il riferimento al minimale giornaliero, in luogo del calcolo dei minimali su base annua” e “l’erroneità nel computo della retribuzione di istituti contrattuali, come le ferie, la tredicesima ecc. e l’erronea applicazione degli obblighi derivanti dai CCNL”) null’altro costituivano se non illustrazione della contestazione contenuta nel verbale relativa al “mancato rispetto dei minimali di legge” (cfr. il contenuto del verbale per come ritualmente trascritto a pag. 5 del ricorso per cassazione), essendo il “minimale mensile x 6/45” (ibid.) null’altro che una modalità di calcolo delle eventuali differenze dovute sul minimale giornaliero da corrispondere sulle retribuzioni “di operai che svolgono lavoro di portierato per i quali è previsto come divisore/orario settimanale 45 ore” (ibid.);
che il terzo motivo, analogamente al primo, è carente d’interesse, atteso che, essendo la giurisdizione ordinaria finalizzata alla cognizione piena dei diritti fatti valere in giudizio e non già alla demolizione di provvedimenti amministrativi, l’eventuale difformità tra lo schema legale di cui all’art. 13, d.lgs. n. 124/2004, e il contenuto concreto di un verbale di accertamento non esime il giudice dal potere-dovere di decidere nel merito della sussistenza della pretesa creditoria che per suo tramite si è fatta valere, s’intende iuxta alligata et probata;
che, con riguardo al quarto motivo, va premesso che questa Corte ha da tempo chiarito che le disposizioni sull’imponibile previdenziale di cui all’art. 12, l. n. 153/1969, e quelle sul minimale contributivo di cui all’art. 1, d.l. n. 338/1989 (conv. con l. n. 389/1989), operano su piani diversi, determinandosi con la prima quali voci della retribuzione erogata devono essere sottoposte a contribuzione, ossia quali entrano nella base imponibile a cui si applica l’aliquota e quali invece ne sono esenti, e prescrivendosi con la seconda che, qualunque sia la retribuzione erogata o dovuta al lavoratore, la retribuzione valida ai fini contributivi, ossia l’imponibile su cui applicare l’aliquota di pertinenza, non può essere inferiore ad un certo ammontare, che la legge determina richiamando la contrattazione collettiva (così Cass. n. 46 del 2009, seguita da numerose succ. conf.);
che, incentrandosi le critiche di parte ricorrente sul concetto di retribuzione imponibile di cui all’art. 12, l. n. 153/1969 (che rinvia all’art. 51, T.U. n. 917/1986), e non invece sul minimale da corrispondere sulla scorta dei contratti collettivi di cui all’art. 1, d.l. n. 338/1989 (dal computo del quale affatto correttamente i giudici di merito hanno escluso le somme corrisposte a titolo di retribuzione indiretta, derivandone in caso contrario l’elusione dell’obbligo di commisurare l’imponibile alla retribuzione oraria e giornaliera prevista dal contratto collettivo), il motivo risulta inammissibile, siccome inidoneo ad attingere la ratio decidendi della sentenza impugnata;
che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 8.200,00, di cui € 8.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.