CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 marzo 2018, n. 5961
Inps – Cumulabilità fra redditi da lavoro e fruizione della pensione – Riproporzionamento
Fatti di causa
Con sentenza n.499/2012 la Corte d’Appello di Ancona accoglieva il gravame dell’Inps avverso la sentenza che aveva riconosciuto a R.A. il diritto alla totale cumulabilità fra redditi da lavoro e fruizione della pensione, ai sensi dell’articolo 44 della legge n. 289/2002 con obbligo dell’Inps di restituire alla pensionata le trattenute effettuate in ragione del principio del divieto di cumulo.
A fondamento della decisione la Corte d’Appello, sulla scorta dell’estratto conto assicurativo, sosteneva che all’1 gennaio 2007 l’interessata non avesse maturato il requisito contributivo pari a 1924 settimane corrispondente a 37 anni di contribuzione possedendo invece soltanto 1900 settimane di contributi, quest’ultime computate senza considerare la contribuzione figurativa per disoccupazione involontaria la quale non è efficace ai fini della maturazione del diritto incidendo soltanto sulla misura della pensione. Sosteneva inoltre in via subordinata, che, pur considerando rilevante la contribuzione utile per la misura del trattamento pensionistico, la ricorrente avesse maturato soltanto 1911 settimane, comunque inferiore al limite minimo di 1924.
Rilevava altresì che in base dall’estratto conto contributivo figurasse correttamente conteggiato il riproporzionamento delle 37 settimane di lavoro part-time per corrispondenti 22 settimane (utili per la quantificazione nell’importo riproporzionato) in applicazione dell’articolo 9, comma 4 del decreto legislativo n. 61/2000 e che allo stesso modo risultavano riproporzionate (ai fini della misura del diritto) le 40 settimane di disoccupazione immediatamente conseguenti al lavoro part-time nelle 22 utili.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione R.A. con due motivi di censura illustrati da memoria; ai quali ha resistito l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 44 legge n. 289/2002 per avere la sentenza impugnata negato la sussistenza dei 37 anni di contribuzione alla data di maturazione del diritto a pensione, senza considerare le 41 settimane di contributi afferenti a due distinti periodi di disoccupazione che facevano salire a 1941 settimane l’anzianità contributiva posseduta dall’assicurata; quindi ben superiore alle 1924 settimane richieste per beneficiare del diritto al cumulo dall’articolo 44 della legge 289/2002, il quale si limita a richiedere un’anzianità contributiva pari o superiore a 37 anni, dando rilievo a qualsiasi tipo di contribuzione, senza restrizioni, e non soltanto alla contribuzione utile ai fini del diritto alla pensione di anzianità; e ciò in applicazione della regola generale secondo cui, salvo eccezioni, nel sistema pensionistico qualsiasi tipo di contribuzione concorre a perfezionare l’anzianità contributiva.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato dovendosi dare continuità all’orientamento, espresso da questa Corte con sentenza n. 18192/2017, secondo il quale l’art. 44, comma 1 legge 289/2002 – in materia di computo del requisito dell’anzianità contributiva pari a 37 anni che, unitamente all’età di 58 anni, consente la cumulabilità integrale della pensione di anzianità con i redditi da lavoro autonomo o dipendente – deve essere inteso nel senso che i contributi utili da conteggiare allo scopo siano costituiti dalla sola contribuzione effettiva, posto che la pensione di anzianità, cui l’art. 44 citato si riferisce, non può che essere quella che, secondo l’articolo 13 della legge n. 903 del 1965, è costituita dalla sola contribuzione effettiva. Va, pertanto, affermato che quando l’articolo 44 citato richiama, ai fini della deroga al divieto di cumulo della pensione di anzianità con i redditi da lavoro, un’anzianità contributiva di 37 anni non può che riferirsi ai contributi utili ai fini del conseguimento della stessa pensione di anzianità oggetto della norma, con esclusione perciò del computo della contribuzione figurativa utile soltanto per la misura della pensione, salvo le eccezioni previste dalla legge.
2.- Con il secondo motivo il ricorso deduce la violazione del criterio del cumulo dell’anzianità contributiva maturata nel periodo di lavoro part-time di cui all’articolo 9, 4 comma del decreto legislativo n. 61/2000 in quanto il meccanismo del riproporzionamento della contribuzione versata per il periodo di lavoro part time opera soltanto ai fini dell’ammontare del trattamento di pensione e quindi della misura della prestazione, mentre ai fini del diritto il periodo di contribuzione per il lavoro part-time va considerato per intero.
2.1. Anche tale motivo è infondato e non inficia la ratio decidendi principale ed assorbente della pronuncia impugnata, secondo cui la nozione di anzianità assicurativa posta a base del beneficio del cumulo tra redditi e pensione è la stessa che consente l’accesso del diritto alla pensione di anzianità (anche in relazione all’utilizzazione dei contributi part time), secondo l’estratto conto assicurativo acquisito in giudizio dalla Corte territoriale. Essa si fonda sulla giusta premessa secondo cui la stessa copertura piena del periodo di lavoro part time è possibile solo in presenza di un livello minimo di retribuzione, di talchè al di sotto della soglia minima retributiva, nel caso di periodi di lavoro part time, è consentito l’accredito contributivo di un numero di settimane proporzionalmente ridotto anche ai fini dell’anzianità assicurativa e non soltanto della misura del trattamento.
3. Per le considerazioni che precedono il ricorso va quindi rigettato; stante la novità della questione e la proposizione del ricorso prima della citata pronuncia di questa Corte che ha chiarito la portata del quadro normativo di riferimento, sussistono giusti motivi per compensare le spese di causa .
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
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