CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2020, n. 25509
Tributi – Importazioni – Diritti doganali – Dichiarazione – Errata indicazione di quantità e valori – Differenza inferiore al 5% – Sanzioni ex all’art. 303, co. 1 TULD – Violazione di più disposizioni – Cumulo giuridico ex art. 12, D.Lgs. n. 472/97
Fatti di causa
1) L’Agenzia delle Dogane notificò a P. s.p.a. (oggi A.M.G. s.p.a. in liquidazione) avviso di rettifica con il quale, a seguito di controllo su merce che la società aveva importato dalla Cina affidando le operazioni di sdoganamento alla rappresentante indiretta J.J.A. Service s.p.a., le chiese il pagamento di complessivi € 778,67 a titolo di maggiori dazi doganali ed IVA per errata indicazione della quantità e del valore dichiarati.
La determinazione non venne contestata dalla società contribuente, che provvide al pagamento.
2) Successivamente l’Agenzia notificò a P. ed a J.A.S. atto di contestazione delle sanzioni, che, tenuto conto che la dichiarazione si componeva di cinque singoli, rispetto a due dei quali la differenza eccedeva il 5% dei diritti dovuti, calcolò – ai sensi dell’art. 303, 1° e 3° comma lett. c) e d) TULD, e ritenendo che l’istituto del cumulo giuridico di cui all’art. 12 comma 1, d.lgs. n. 472/97 potesse applicarsi alle sole violazioni formali, in cui l’errore nella dichiarazione non superava il 5% – in complessivi € 20.128,75.
3) I ricorsi separatamente proposti dalle società avverso l’atto di contestazione furono riuniti ed accolti dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che ritenne applicabile la sola sanzione di € 516 di cui al 1° comma dell’art. 303 cit.
4) La decisione, appellata dall’Agenzia delle Dogane, è stata riformata in minima parte dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, con sentenza 15.9.2016, ha ribadito che la sanzione base da applicare era quella di € 516 di cui all’art. 303,1° comma TULD in quanto la differenza fra i diritti doganali complessivamente dovuti e il dichiarato era inferiore al 3%, ha rilevato che con un’unica dichiarazione erano state violate più disposizioni e che dunque operava l’art. 12, 1° comma, d. lgs. n. 472/97 e, tenuto altresì conto del principio della proporzionalità, ha determinato la somma dovuta dalle contribuenti nella misura complessiva di € 1.032.
5) L’Amministrazione doganale ricorre per la cassazione della sentenza con atto affidato a tre motivi; le società contribuenti resistono con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza, ex art. 132 c.p.c., per contrasto insanabile tra la sua motivazione, nella quale si afferma che l’appello dell’Agenzia può trovare parziale accoglimento, e il dispositivo, in cui si dichiara il rigetto dell’appello.
Il motivo è manifestamente infondato, posto che nel dispositivo è stata confermata la sanzione, già determinata in motivazione, di € 1032: ciò è sufficiente a rendere pienamente conoscibile il contenuto della statuizione impugnata, senza che rilevi l’apparente contraddizione fra motivazione ed incipit del dispositivo medesimo, evidentemente dovuta ad un mero lapsus calami, non potendosi dubitare che la parziale riforma della sentenza di primo grado in senso sfavorevole alle contribuenti abbia comportato l’accoglimento, sia pur in minima parte, del gravame (quali che fossero i motivi dell’appello, non riportati in ricorso, e quand’anche le ragioni della riforma fossero state rilevate dal giudice d’ufficio, nell’esercizio del suo potere-dovere di individuare la norma giuridica applicabile al caso di specie e di interpretarla).
2) Il secondo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 303 TULD e dell’art. 198 delle D.A.C., per avere la CTR erroneamente considerato la dichiarazione doganale, relativa a più singoli, come unica ai fini sanzionatori.
3) Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 12 d. lgs. n. 472 del 1997; la ricorrente contesta che ricorressero i presupposti della c.d. “continuazione” per la determinazione delle sanzioni tributarie.
In sintesi, secondo l’Agenzia, dal disposto dell’art. 198 DAC, che stabilisce che “qualora una dichiarazione in dogana comporti più articoli, le indicazioni relative a ciascun articolo sono considerate costituire una dichiarazione separata”, dovrebbe evincersi che l’avvenuto superamento della soglia del 5% prevista dalla disciplina interna vada verificato con riferimento alle singole operazioni di importazione, anche se contenute in una unica dichiarazione, e non alla somma dei tributi sottratti a imposizione come derivanti dalla somma di quanto recuperato a quel titolo dall’Erario sulla medesima dichiarazione. Dalla ritenuta sussistenza di violazioni distinte (una per ciascun singolo) deriverebbe anche l’inapplicabilità dell’istituto del cumulo giuridico.
4) I motivi, che sono fra loro connessi e possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
4.1) Va in premessa ricordato che la giurisprudenza del Giudice dell’Unione ha fornito, quanto all’applicazione di sanzioni previste dal diritto interno, alcune indicazioni precise; si è statuito che spetta al giudice nazionale valutare, tenuto conto degli articoli 242 e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, se, date le circostanze della controversia nel procedimento principale, segnatamente il termine entro cui l’irregolarità è stata rettificata, la gravità dell’irregolarità stessa e l’eventuale esistenza di una frode o di un’elusione della legislazione applicabile imputabili al soggetto passivo, l’importo della sanzione inflitta ecceda quanto necessario al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare la frode (CGUE, Rodopi, C-259/12, sent. 20 giugno 2013).
Sempre in tal senso si pone la giurisprudenza comunitaria, laddove – in una serie di recenti pronunce – mette in rilievo che, sebbene gli Stati membri possano adottare sanzioni per l’ipotesi di inosservanza di obblighi miranti a garantire la corretta riscossione dell’imposta e ad evitare la frode, queste ultime non devono, nondimeno, eccedere quanto necessario al raggiungimento dello scopo perseguito (C. Giust. 22.12.2010, C- 438/09, Dankow-ski, par. 37; C. Giust. 12.7.2012, C- 284/11, EMS-Bulgaria Transport, par. 67 e 75; C. Giust. 17.7.2014, C- 272/13, Equoland). In detti termini, analogamente, si è espressa questa Corte (Cass. 966/2015).
Ai fini della determinazione del carico punitivo, in presenza di una dichiarazione che includa – come nel presente caso – più partite di merci, e della verifica della sussistenza di una o più violazioni, vanno dunque applicate nel loro complesso disposizioni il cui risultato non sia di eccedere quanto necessario a costituire sanzione adeguatamente afflittiva e dissuasiva per il contribuente.
Non si tratta pertanto di privilegiare l’applicazione di una o dell’altra disposizione, quanto, piuttosto, di trovare (se esiste, salva quindi la remissione della questione al giudice delle leggi) quella relazione tra le stesse che consenta di colpire in modo adeguato un comportamento contrario a legge, senza peraltro eccedere al di là dei limiti che il legislatore unitario individua enunciando il criterio di proporzionalità. Tale proporzionalità, in concreto, dovrà esser valutata dal giudice in base agli effetti sanzionatori che per l’appunto concretamente originano dall’interpretazione adottata.
E’ quindi necessario determinare dapprima le modalità di identificazione della condotta contraria a legge e quelle di applicazione della sanzione alla stessa; successivamente, dovrà valutarsi l’applicazione o meno alla fattispecie così disciplinata del principio di cui all’art. 12 d. lgs. n. 472 del 1997, che introduce il c.d. “cumulo giuridico”.
4.2) Dal punto di vista generale, la sanzionabilità delle violazioni di cui all’art. 303, co. 1 del TULD trova ragione nella “riduzione quasi totale e nella semplificazione dei controlli doganali [e quindi] in una maggiore responsabilizzazione e accortezza degli operatori nel redigere le dichiarazioni” (così ancora, chiaramente, la Nota dell’Agenzia delle Dogane prot. n. 16407/R.U. del 9 febbraio 2015). Si tratta, insomma, di violazioni che possono essere sanzionate solo in quanto e nella misura in cui appaiano idonee a pregiudicare o comunque ostacolare l’attività di controllo dell’Ufficio; ad agevolare cioè l’evasione d’imposta (Cass. n. 14401 del 25 giugno 2014).
Con riguardo alle violazioni di cui all’art. 303, co. 1 del TULD non sembrano esserci ostacoli in ordine alla configurazione di un concorso formale omogeneo, dal momento che ogni violazione realizzata dall’operatore nella dichiarazione doganale è il risultato di un’unica azione, di una sola condotta materiale, ossia la presentazione della dichiarazione doganale.
Ne consegue che, in presenza di più violazioni ex art. 303, co. 1, nella medesima dichiarazione, deve essere comminata la sanzione unica ossia la sanzione prevista per la violazione più grave aumentata da un quarto al doppio in applicazione del regime del cumulo giuridico.
Ciò vale anche nell’ipotesi di più violazioni realizzate in diverse dichiarazioni doganali a loro volta riconducibili ad un’unica dichiarazione (cd. dichiarazione cumulativa): anche tenendo conto che, ai sensi dell’art. 198 Reg. CE n. 3454/93 la dichiarazione in argomento, sebbene formalmente unica deve essere concepita come una serie distinta di dichiarazioni in ragione delle singole partite di merci, e che dunque ricorre una pluralità di violazioni ex art. 303, co. 1 TULD, il cumulo giuridico troverebbe ugualmente applicazione in quanto il risultato di più condotte omologhe integra un concorso materiale omogeneo (“è punito con ¡a sola sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi … commette anche con più azioni od omissioni diverse violazioni formali della medesima disposizione”). Tanto, peraltro, in linea con l’interpretazione dell’art. 303, co. 1 operata nel caso di specie dalla stessa Agenzia, che ha riconosciuto i presupposti per l’applicazione dell’art. 12, 1° comma, d.lgs. n. 472/97 per i due singoli in cui la differenza fra il dovuto e il dichiarato non superava il 5%.
4.3) Venendo all’esame dell’art. 303, co. 3 del TULD ( il quale prevede l’applicazione della sanzione in via progressiva, a seconda della gravità della violazione riscontrata, “se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza … supera il cinque per cento…”) occorre invece procedere alla distinzione tra la dichiarazione doganale unica recante una difformità tra dichiarato e accertato superiore al 5% (per la quale nulla quaestio) e la dichiarazione doganale unica che, come nella specie, riguardi più partite di merci (dichiarazioni doganale cumulativa o plurima): per quest’ultima occorre infatti dapprima stabilire se il superamento della soglia appena citata debba essere verificato con riguardo a ciascuna partita, e, successivamente, se in tal caso sussistano i presupposti per l’applicazione dell’art. 12 d. lgs. n. 472 del 1997 che prevede il cumulo giuridico.
La contraddizione da superare risiede nel fatto che, se da un lato l’espressione “i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento” milita, inequivocabilmente, nel senso di indicare una rilevanza unitaria della dichiarazione, anche cumulativa, ai fini del superamento della soglia del 5%, dall’altro la norma comunitaria di cui all’art. 198 Reg. CE n. 2454/93 impone di considerare ciascuna partita di merce quale autonoma dichiarazione.
In altri termini, il dato letterale dell’art. 303, co. 3 cit. porterebbe a concludere che la violazione con esso sanzionata possa ritenersi sussistente solo in presenza di una difformità complessiva tra dichiarato e accertato superiore al 5%, ancorché riferibile ad una dichiarazione doganale cumulativa, ossia a più partite di merci, ed a ciò conseguirebbe l’inapplicabilità, in radice, dell’art. 12 d. lgs. 472/97 per difetto di una pluralità di violazioni; tale interpretazione si porrebbe però in contrasto con la norma eurounitaria, che non consente di valutare unitariamente le singole partite.
E’ tuttavia innegabile che, accedendo alla tesi della ricorrente, ovvero considerando, in base ad un’interpretazione letterale dell’art. 198 DAC, ciascuna partita come a sé stante, ed escludendo sotto questo diverso profilo la possibilità di applicare l’istituto del cumulo giuridico, si potrebbe determinare un ingiustificato aggravamento del carico sanzionatorio, stante l’elevato importo delle sanzioni astrattamente irrogabili ex art. 303 comma 3 TULD: come correttamente rilevato in controricorso, l’ammontare dovuto per tale titolo potrebbe risultare del tutto spropositato a fronte di violazioni che hanno comportato un recupero assai contenuto di maggiori imposte.
Il caso in esame è, per l’appunto, espressione paradigmatica del verificarsi in concreto di tale situazione, posto che dall’accertato, mancato versamento di tributi per poche centinaia di euro è scaturita la determinazione di sanzioni per oltre 20.000 euro, ovvero per un importo talmente elevato da andare ben oltre la tutela (ancorché legittima e doverosa) degli interessi erariali e tale da non poter non essere ritenuto palesemente sproporzionato.
Il punto di frizione (apparentemente) sussistente fra ordinamento interno e ordinamento comunitario va allora risolto in modo tale che possa identificarsi un idoneo bilanciamento tra l’interesse a sanzionare e il diritto a non essere eccessivamente sanzionati.
Un’interpretazione armonica e rispettosa del testo e della ratio delle disposizioni in esame, oltre che delle relazioni tra diritto nazionale e diritto dell’Unione, porta dunque a ritenere che, pur in presenza di una dichiarazione cumulativa, il superamento della soglia del 5% vada verificato, secondo quanto previsto dall’art. 303, “complessivamente”, ovvero avuto riguardo all’insieme delle singole partite di merci contenute nell’ambito dell’unica dichiarazione, e non già rispetto a ciascuna partita.
Sotto il profilo applicativo della sanzione (e non su quello genetico, che resta in disparte, in quanto riferito alla sussistenza del comportamento sanzionato, non alla dosimetria della sanzione da irrogare), e nel rispetto dell’art. 198 DAC, si avranno invece tante violazioni per quante sono le partite che hanno concorso a determinare l’eccedenza. Coerentemente con tale lettura, si configura una fattispecie di concorso formale omogeneo, sicché il regime del cumulo giuridico di cui all’art. 12 d. lgs. n. 472 del 1997 (anch’ esso previsto e disciplinato dal diritto interno, come il sistema eurounitario consente salvo il giudizio sulla proporzionalità) torna pienamente applicabile, dovendo la fattispecie, in buona sostanza, ricondursi a quella disciplinata dal 1° comma dell’art. 303 (commissione di diverse violazioni formali della medesima disposizione che, nel loro complesso, non eccedono la differenza del 5%).
Detto regime costituisce del resto, quanto alla ratio della disposizione che lo enuncia, la garanzia per il contribuente trasgressore di un trattamento sanzionatorio più favorevole (anche se non in via automatica e garantita) in presenza di una pluralità di violazioni dell’articolo citato.
Ragionando diversamente, secondo una lettura meramente letterale del disposto dell’art. 198 D.A.C. espunto dal sistema, il predetto regime troverebbe un’applicazione limitata, non cogliendo così l’esatta portata del dato comunitario, e determinerebbe l’emersione di profili di incompatibilità comunitaria anche dell’art. 303 TULD rispetto al principio di proporzionalità, determinati dall’elevato importo della sanzioni astrattamente irrogabili.
Tale visione, sistematicamente orientata ha trovato conferma – per quanto possa rilevare – anche nella prassi dell’Agenzia delle Dogane relativa alla corretta applicazione del cumulo giuridico alle ipotesi di dichiarazione doganale infedele ex art.303 TULD; le indicazioni operative da questa formulate e sopra richiamate appaiono utili e opportune proprio nel dare consistenza ed efficacia all’attuazione del principio di proporzionalità che diversamente risulta non applicato.
In definitiva, in presenza di un concorso formale eterogeneo come omogeneo, ovvero di un concorso materiale omogeneo, si configura in capo all’Amministrazione un vero e proprio obbligo in ordine all’applicazione della sanzione unica secondo lo schema del cumulo giuridico.
Detta obbligatorietà si giustifica in ragione della precipua funzione accordata al cumulo giuridico e cioè quella di attenuare, come già detto, il maggior rigore del cumulo materiale delle sanzioni, che debbono risultare in concreto rispettose del principio comunitario di proporzionalità.
La disciplina del cumulo giuridico ex art. 12 citato configura infatti un trattamento sanzionatorio più favorevole al contribuente, la cui applicazione consente di rispettare il sopra richiamato e sovrano principio.
Non osta a quanto sopra la considerazione, che pure questa Corte non ignora, relativa al fatto che la materia sanzionatoria sia sempre stata considerata un’area dove il legislatore gode di una discrezionalità particolarmente ampia, sia in punto individuazione delle condotte punibili, sia in relazione alla quantificazione delle relative sanzioni; essa risulta recessiva di fronte all’ orientamento che si rintraccia a più riprese anche nelle sentenze della Corte costituzionale concernenti questioni di legittimità costituzionale afferenti la materia delle sanzioni, posto che il giudice delle leggi ha più volte affermato che uno scrutinio che investa direttamente il merito delle scelte sanzionatone del legislatore è possibile laddove l’opzione normativa contrasti con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’arbitrarietà o della manifesta irragionevolezza (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364 e 18 luglio 1989, n. 409; Corte cost., ord. 11 giugno 2003, n. 206).
E alla, luce di tale orientamento, l’opzione interpretativa qui propugnata trova ulteriore e autorevole conforto, tenuto altresì conto che, secondo la Consulta, “le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (Corte Cost. 22 ottobre 1996, n. 356) e, allo stesso modo, che “una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima perché può essere interpretata in un senso che la ponga in contrasto con parametri costituzionali, ma soltanto se ne è impossibile una interpretazione conforme alla Costituzione (Corte Cost. 16 maggio 2008, n. 147)”.
Conclusivamente, quindi, poiché nel caso di specie, all’esito dei controlli eseguiti sulle singole partite della dichiarazione cumulativa presentata dalle contribuenti, la somma dei tributi complessivamente sottratti a imposizione non superava la soglia del 5%, la CTR ha correttamente pronunciato applicando la sanzione di cui all’art. 303 comma 1 TULD maggiorata ai sensi dell’art. 12 d. lgs. n. 472/97.
La complessità e la novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
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