CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 febbraio 2022, n. 4600
Tributi – Imposta di registro – Agevolazioni “prima casa” – Reiterazione a seguito di rinuncia all’agevolazione precedentemente fruita per altro immobile – Illegittimità
Ritenuto in fatto
1. G.Z. impugnava l’avviso del 10.04.2013 con cui l’Agenzia delle Entrate rettificava l’imposta di registro ed ipocatastali relativa alla compravendita di immobile, rogata il 10.06.2010, sul rilievo che il contribuente non aveva diritto di usufruire delle agevolazioni prima casa, avendo già usufruito della medesima agevolazione per l’acquisto del 25% di altro immobile sito nel Comune di Ercolano alla via P. 117.
Il contribuente si opponeva, assumendo di aver trasferito la residenza anagrafica entro il termine di 18 mesi presso l’abitazione sita nel Comune di Ercolano, ma di aver continuato ad abitare e risedere in Roma, sicché non avendone diritto versava all’Agenzia gli importi integrativi dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale relativa alla predetta abitazione, pagando anche le sanzioni a seguito di procedura finalizzata ad ottenere la revoca del beneficio.
La C.T.P. di Roma respingeva il ricorso, sul rilievo che l’atto impugnato era adeguatamente motivato in merito alle cause della revoca del beneficio, avendo il ricorrente dichiarato di possedere i requisiti di cui all’art. 1 tariffa allegata al d.p.r. 131/86 per l’immobile acquistato in Ercolano, non potendo egli rinunciare in un secondo momento al beneficio ottenuto.
Avverso tale sentenza proponeva appello il contribuente che reiterava le difese svolte in primo grado.
Con sentenza indicata in epigrafe, la CTR del Lazio rigettava l’appello, ritenendo legittimo l’operato dell’Agenzia delle Entrate e confermando le argomentazioni addotte dai giudici di primo grado.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il contribuente sulla base di otto motivi.
L’Agenzia replica con controricorso.
Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in diritto
2. Le otto censure sono state articolate dal ricorrente mescolando il vizio di violazione di disposizioni di legge, genericamente indicate con detta espressione, con il vizio di “omesso esame circa diversi fatti decisivi per il giudizio” individuati – con il primo mezzo – nell’omessa considerazione dell’eccepito mancato trasferimento di domicilio in Ercolano; con le successive doglianze, invece, i fatti decisivi per il giudizio sono stati indicati ora nell’intervenuta decadenza dal primo beneficio per l’omesso trasferimento di residenza denunciato dal medesimo contribuente; – ovvero nell’omesso esame dell’eccepita residenza di fatto stabilita in Roma (nonostante il trasferimento della residenza anagrafica in Ercolano), che secondo l’orientamento della Corte di legittimità prevarrebbe su quella anagrafica, tanto che in caso di acquisto di immobile da parte dei coniugi ha ritenuto determinante non tanto la comune residenza anagrafica quanto la coabitazione;- nell’omesso esame della inadeguatezza del primo immobile acquistato in Ercolano in quanto ubicato in comune lontano da quello ove il ricorrente prestava attività lavorativa e avendone acquistato solo una quota pari al 25% del totale, lamentando che il primo cespite aveva una metratura di soli 100 mq, di talché, risultando del tutto inadeguata alle sue esigenze personali, la Regionale avrebbe dovuto confermare la legittimità della rinuncia al beneficio; – o ancora nell’omesso esame del pagamento delle imposte dovute – al netto delle agevolazioni prima casa – oltre sanzioni, che avrebbe dovuto indurre il decidente ad “una adeguata motivazione”; – nonché nell’omesso esame dell’eccepito silenzio-assenso della Pubblica amministrazione, la quale non ha contestato la validità e la congruità del versamento disposto dal ricorrente per rinuncia volontaria alle agevolazioni prima casa, il che dimostrerebbe un implicito accordo con l’ente sulla definizione della questione: la condotta dell’Agenzia avrebbe ingenerato nel contribuente un vero e proprio affidamento circa la regolarità della propria posizione fiscale, con la conseguente cristalizzazione della revoca dei benefici precedentemente invocati dallo stesso.; – ora, nell’omessa valutazione della legittima condotta del contribuente che dopo un anno dal conseguimento del certificato di congruità da parte dell’Agenzia provvedeva al nuovo acquisto, sicché l’argomentazione offerta dal giudicante secondo cui la revoca era finalizzata ad un successivo risparmio di spesa risulterebbe del tutto irrilevante, come confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 100/2010;- o ancora nell’aver omesso di scrutinare le critiche opposte nel ricorso alle argomentazioni dell’Ufficio, avendo il contribuente, invero, dedotto che l’atto unilaterale – la rinuncia al beneficio – si inseriva in un procedimento in cui si introducevano ulteriori atti-condotte, quali la convenzione di fatto con l’amministrazione, il calcolo dovuto per la regolarizzazione, il rilascio della certificazione di congruità, il silenzio assenso confermato dall’omesso rimborso delle somme versate, l’assenza di atti di dinieghi che avrebbero realizzato una ipotesi di silenzio-assenso avente ad oggetto la decadenza dal beneficio prima casa.
3. Il sesto motivo deduce, in particolare, la violazione di norme amministrative e di diritto, assumendo il ricorrente che la Regionale avrebbe deciso in contrasto con le Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate n. 105/2011, n. 112/2012, che prevedono la decadenza dal beneficio trascorsi 18 mesi dall’acquisto senza che si sia disposto il trasferimento della residenza; nonché violazione del d.P.R. 131/86 che prevede la possibilità di rinunciare al beneficio qualora il contribuente – impegnatosi a trasferire la residenza entro 18 mesi – non abbia ottemperato a detto obbligo.
4. Le censure -ad eccezione della sesta – per come formulate, sono per lo più inammissibili; esse contengono promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di disposizioni di legge, disposizioni amministrative (Circolari) oltre alla doglianza della “omessa valutazione dei fatti di causa”, senza adeguata indicazione di quale errore, tra quelli contemporaneamente dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 della disposizione richiamata, così non consentendo un’adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; 26874 del 2018; N. 26790 del 2018; N. 11603 del 2018 ;Cass. n. 3141 del 2019; Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019; n. 36881/2021).
In particolare, le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 16990 del 2017) hanno avuto modo di affermare: “la sovrapposizione di censure di diritto, sostanziali e processuali, non consente alla Corte di cogliere con certezza le singole doglianze prospettate” (Cass. SS.UU. n. 9100 del 2015; conf. Cass. n. 3554 del 2017).
La tipizzazione dei motivi di ricorso comporta, infatti, che il generale requisito della specificità di moduli, in relazione all’impugnazione di legittimità, nel senso particolarmente rigoroso e pregnante, sintetizzato con l’espressione della cd. duplice specificità, essendo onere del ricorrente argomentare la sussunzione della censura formulata nella specifica previsione normativa alla stregua della tipologia dei motivi di ricorso tassativamente stabiliti dalla legge; ” la tendenziale promiscuità della formulazione delle censure in esame avviluppa in taluni punti gli assenti vizi strutturali della motivazione, ma anche l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge sostanziale e processuale mai individuata se non nella illustrazione del sesto motivo. Si tratta, dunque, di mezzi d’impugnazione difficilmente sovrapponibili e cumulabili in riferimento al medesimo costrutto argomentativo che sorregge la sentenza impugnata ”; analogamente, nella specie, parte ricorrente richiama indistintamente plurimi vizi di cui all’art. 360 c.p.c., per di più invocando una rivalutazione dei fatti di causa, come è reso palese dal riferimento a tutte le circostanze dedotte nel giudizio di merito quali il mancato trasferimento di fatto in Ercolano, il ravvedimento operoso, la condotta dell’Agenzia, valutata sotto il profilo della non debenza delle sanzioni – peraltro già esaminate dalla regionale, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso per cassazione, – che rende le censure in radice inammissibili.
4.1 L’esame delle predette censure relative all’omesso esame delle allegazioni difensive è peraltro precluso dalla disposizione di cui all’art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile al procedimento per essere stato il giudizio d’appello introdotto dopo l’11.9.2012. Invero, tale disposizione – in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado che confermano la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”) – presuppone che nei due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni” (cfr. comma quarto dell’art. 348 ter cit.); ciò che è avvenuto nel caso di specie, dove entrambi i collegi hanno attribuito la qualificazione di abitazione di lusso, inglobando nella superficie di mq 240 anche la soffitta ed il piano seminterrato ritenuti locali utili all’uso abitativo indipendentemente dal requisito dell’abitabilità (29222 del 12/11/2019; n. 28174/2018).
Spetta, del resto, al ricorrente in cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui al nr. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., indicare le ragioni di fatto poste a base / della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( Cass. nr. 5528 del 2014; n. 6544/2019).
4.2 I motivi di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. presentano altresì ulteriori profili di inammissibilità.
La denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio non presenta neppure i requisiti richiesti dall’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. nella nuova formulazione finendo con il lamentare non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica ( e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) bensì l’omessa o carente valutazione di deduzioni difensive.
Vale osservare, in primo luogo, che l’esame delle allegazioni difensive, nonché la valutazione delle risultanze della prova, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., tra le tante, Cass. 12362/2006 e, più recentemente, Cass. 21. 7.2010, n. 17097; Cass. nn 16986/2013; Cass. Sez. U. n. 24148 del 2013, Cass. n. 8008 del 2014).
4.3 Deve, peraltro, aggiungersi che la denuncia del vizio legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., non è configurabile, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo ( Cass. n. 17761/2016; 21152 del 2014).
5. Quanto al sesto motivo, va premesso che non è configurabile il vizio di violazione di legge ex art. 360, n.3), c.p.c. rispetto alle circolari dell’Agenzia. Le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, non è esonerato dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, essendo esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dall’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000 (Cass. n. 4913/2021; 18618/2019; n.37072019; n. 10195 del 2016).
Con riferimento alla dedotta violazione del d.P.R. 131/86 che prevede la decadenza dal beneficio per l’omesso trasferimento della residenza nel Comune ove è ubicata l’abitazione acquistata con le agevolazioni, si osserva che essa risulta priva di pregio.
La norma citata si riferisce al potere dell’amministrazione finanziaria di revocare il beneficio nell’ipotesi di omesso trasferimento da parte del contribuente della residenza anagrafica entro il termine di 18 mesi dall’acquisto, non prevedendo affatto una decadenza ex lege dall’agevolazione correlata automaticamente all’indicato presupposto, ma sempre subordinata all’esercizio del potere dell’amministrazione finanziaria.
5.1 Tanto premesso, questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui non è possibile fruire dell’agevolazione prevista per l’acquisto della prima casa, previa rinunzia a un precedente analogo beneficio, conseguito in virtù della medesima disciplina, in conseguenza del divieto di reiterazione interna derivante dalla legge e del carattere negoziale, non revocabile per definizione, della precedente dichiarazione di voler fruire del beneficio (Sez. 5″, Sentenza n. 8784 del 28/06/2000, Rv. 538112; conf. Sez. 5″, Sentenze n. 9607 del 21/07/2000, Rv. 53864621, e n. 229 del 10/01/2003, Rv. 559585, nonché Ordinanza n. 21671 del 19/10/2011, in motivazione).
5.2 Nel caso di specie, la dichiarazione abdicativa è stata formalizzata in prossimità del nuovo acquisto (in Roma) e a distanza di quasi dieci anni rispetto al primo acquisto immobiliare (in Ercolano) per il quale il ricorrente aveva fruito del beneficio. Q Ciò è avvenuto quando il fatto generatore dell’agevolazione si era da anni consolidato riguardo al primo immobile in Ercolano e il relativo rapporto tributario si era definitivamente estinto.
Del resto, il principio di buonafede che il ricorrente fa discendere dal rilascio della certificazione da parte dell’Agenzia che confermava la congruità del versamento nulla ha a che vedere con quella che, in concreto, si configura come l’inammissibile rinuncia a un beneficio già fruito da oltre un decennio.
A nulla rileva che il contribuente abbia, molti anni dopo, dichiarato di aver (illegittimamente) usufruito dell’agevolazione e sostanzialmente di rinunciarvi e che l’amministrazione abbia accettato i versamenti.
Manca, infatti, ogni ragionevole apparenza della legittimità e coerenza dell’operazione, anche sul piano amministrativo.
Il legislatore individua, difatti, i presupposti per richiedere i benefici in esame, al contrario, non prevede la possibilità di rinunciare su base volontaria alle agevolazioni “prima casa”. In linea generale, il rapporto giuridico-tributario che sorge a seguito della dichiarazione resa in atto dal soggetto acquirente e avente ad oggetto il possesso dei requisiti prescritti dalla norma di cui alla Nota II-bis) deve ritenersi perfezionato laddove dette condizioni risultino effettivamente sussistenti.
Pertanto, conseguita l’agevolazione “prima casa”, questa non sarà più revocabile dalla parte salvo, il caso in cui la dichiarazione resa dal contribuente atteneva l’impegno a trasferire entro diciotto mesi la propria residenza. In tale ipotesi, infatti, essendo il requisito in esame rimesso ad una condotta del contribuente, egli può, ma solo in pendenza del relativo termine, revocare la dichiarazione di intenti formulata nell’atto di acquisto dell’immobile. A tal fine, l’acquirente che non intende adempiere all’impegno assunto in atto è tenuto a presentare una apposita istanza all’ufficio presso il quale l’atto è stato registrato, con la quale revoca la dichiarazione d’intenti espressa in atto di volere trasferire la propria residenza nel comune nel termine di diciotto mesi dall’acquisto e richiede la riliquidazione dell’imposta assolta in sede di registrazione (cfr. Risoluzione Agenzia delle entrate del 31 ottobre 2011 n. 105). Decorso il termine di diciotto mesi dalla data dell’atto senza che il contribuente abbia provveduto a trasferire la residenza o a presentare all’ufficio dell’Agenzia una istanza con la quale revoca la dichiarazione di intenti di cui sopra, si verifica la decadenza dall’agevolazione “prima casa” fruita in sede di registrazione dell’atto. (Cass. n. 27836/2020 17294 del 30/07/2014, secondo la quale “non è possibile fruire dell’agevolazione prevista per l’acquisto della prima casa, previa rinuncia a un precedente analogo beneficio, conseguito in virtù della medesima disciplina, in conseguenza del divieto di reiterazione interna derivante dalla legge e dal carattere negoziale, non revocabile per definizione, della precedente dichiarazione di voler usufruire del beneficio“.)
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese sostenute dall’Agenzia che liquida in euro 2.900,00, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012, ave dovuto il pagamento.
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