CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2018, n. 15879
Imposte dirette – IRPEF – Assegno di confine – Natura retributiva
Rilevato che
1. i ricorrenti indicati in epigrafe ricorrono con sei motivi contro I’ Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 88/18/10 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione n.18, emessa il 27 settembre 2010, depositata il 29 settembre 2010 e non notificata, che ha rigettato l’appello dei contribuenti, in controversia concernente l’impugnativa dei provvedimenti di diniego del rimborso delle ritenute IRPEF sull’assegno di confine percepito dal 2001 dai ricorrenti in qualità di dipendenti della dogana di Chiasso residenti in Svizzera;
2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Lombardia, sul presupposto che la natura non retributiva dell’assegno di confine non lo esentasse dall’Irpef e che, anzi, ai sensi degli artt. 46 e 48 D.P.R. n. 917/86, fosse ricompreso nelle somme erogate in dipendenza del rapporto di lavoro, riteneva che lo stesso rientrasse nella base imponibile, richiamando anche una precedente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. sent. n. 13953/04), secondo cui l’assegno di confine non era assoggettabile ad imposta, non perché non avesse natura retributiva, ma perché lo escludeva espressamente l’art. 3, comma 3, lett. c) d.P.R. n. 917/86, come integrato dall’art. 5 D.Lgs. n. 314/97, che ne ha stabilito l’esenzione fino al 31 dicembre 2000;
concludeva, quindi, la C.T.R. nel senso che, a decorrere dal periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2000, gli assegni non godevano più dell’esenzione;
riteneva, infine, che gli assegni di confine, essendo erogati dall’amministrazione italiana in favore di propri dipendenti con nazionalità italiana, fossero imponibili in Italia, sia ai sensi dell’art.19 della Convenzione Italia Svizzera del 9/3/76, sia a norma dell’art. 2, comma 1, D.P.R. n. 917/86, escludendo che vi fosse una violazione del divieto di doppia imposizione o del principio costituzionale di eguaglianza rispetto ad assegni esenti percepiti da altre categorie professionali;
3. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 30 maggio 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
4. a seguito del ricorso dei contribuenti, l’Agenzia delle Entrate si è costituita, resistendo con controricorso;
5. l’Agenzia delle Entrate ha depositato memorie;
Considerato che
1.1. con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 L. n. 425/89 ed artt. 46 e 48 T.u.i.r., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.;
secondo i ricorrenti, il giudice di appello, nel riconoscere la natura non retributiva dell’assegno e la sua assoggettabilità all’Irpef, avrebbe violato sia la legge n. 425/1989, che espressamente esclude la natura retributiva dell’assegno, sia le norme citate del T.u.i.r. , che definiscono le componenti del reddito da lavoro dipendente, senza aver considerato che la disciplina speciale ha portata derogatoria delle norme di carattere generale;
con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano l’insufficiente motivazione su di un fatto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 34, comma 3, D.P.R. n. 601/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.;
secondo i ricorrenti, la C.T.R. della Lombardia avrebbe erroneamente escluso la natura assistenziale dell’assegno di confine, attenendosi ad un’interpretazione restrittiva del concetto di assistenza sociale recepito nell’art.38 della Costituzione;
sostengono, invece, i ricorrenti che, con norma di interpretazione autentica dell’art. 34 citato, l’art. 1 L. n. 272/91 ha disposto che le integrazioni corrisposte per differenza di cambio (tra cui dovrebbero ricomprendersi anche gli assegni di confine) si intendono corrisposte a titolo assistenziale;
1.2. i motivi possono essere trattati congiuntamente, involgendo l’esame di questioni connesse, sono infondati e vanno rigettati;
1.3. invero, il Collegio non ritiene che vi siano motivi per discostarsi dall’orientamento di questa Corte, secondo cui “in tema di imposte sui redditi, l’assegno di confine per lavoro prestato nelle zone di frontiera da residenti nel territorio dello Stato non è soggetto a tassazione, non per esclusione della natura retributiva, ma per applicazione della disciplina prevista dall’art. 3, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 917 del 1986, – che prevedeva l’esenzione per tutti i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato in via esclusiva e continuativa all’estero – estesa a quei soggetti dall’art. 38, comma 3, della I. n. 146 del 1998, a prescindere dalla finalità, indennitaria o assistenziale, per cui è corrisposto. Ciò, tuttavia, sino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2000, perché, per il periodo successivo, a seguito dell’abrogazione del citato comma 3 dell’art. 3 ad opera dell’art. 5, comma 1, lett. a), n. 1, del d.lgs. n. 314 del 1997, la fattispecie è regolata dall’art. 48 (ora art. 51, comma 8) del TUIR, secondo il quale gli assegni di sede e le altre indennità percepite per servizi prestati all’estero costituiscono reddito nella misura del 50 per cento, ed ove sia prevista la corresponsione di una indennità di base e di maggiorazioni ad essa collegate concorre a formare il reddito la sola indennità base, nella misura del 50 per cento” (Cass. sent. n. 10108/17; cfr. anche Cass. sent. n. 13053/04);
la Corte ha, quindi, affermato che il principio secondo cui, in tema di imposte sui redditi, l’assegno di confine non è assoggettabile ad imposta, non già perché non abbia natura retributiva, bensì perché l’art. 3, comma 3, lett. c), d.P.R. n. 917 del 1986 ne stabiliva in ogni caso, l’esenzione, così come per tutti i redditi «derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto», a prescindere dalla finalità – assistenziale o indennitaria – per cui sono corrisposti;
l’esenzione per gli assegni di confine, come chiaramente evidenziato dalla citata giurisprudenza, opera solo fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2000, essendo stato l’art. 3, comma 3, lett. c), d.P.R. n. 917 del 1986, abrogato dall’art. 5, comma 1, lett. a), num. 1, d.lgs. 2 settembre 1997, n. 314, con «effetto a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2000»;
per il periodo successivo trova invece applicazione la norma di cui all’art. 48, comma 8 (ora 51, comma 8) t.u.i.r., a mente della quale «gli assegni di sede e le altre indennità percepite per servizi prestati all’estero costituiscono reddito nella misura del 50 per cento. Se per i servizi prestati all’estero dai dipendenti delle amministrazioni statali la legge prevede la corresponsione di una indennità base e di maggiorazioni ad esse collegate concorre a formare il reddito la sola indennità base nella misura del 50 per cento»;
i motivi di ricorso sono quindi infondati, perché la sentenza impugnata risulta aver adottato una decisione conforme a tali principi;
2.1. con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano l’insufficiente motivazione su di un fatto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 T.u.i.r., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.;
secondo i ricorrenti, il giudice di appello avrebbe erroneamente applicato l’art. 3 T.u.i.r., trascurando la circostanza che i ricorrenti avessero tutti la residenza all’estero e che i redditi non fossero prodotti in Italia;
con il quarto motivo, i ricorrenti denunziano la violazione della Convenzione italo – svizzera ratificata dalla L. n. 943/78 (art. 19 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.);
secondo i ricorrenti, l’art. 19 della convenzione, nel prevedere che le remunerazioni pagate da uno Stato contraente (o una sua suddivisione politica o amministrativa) ad una persona fisica che ha nazionalità di detto Stato sono imponibili unicamente nello Stato contraente da dove provengono dette remunerazioni, tende unicamente ad evitare le doppie imposizioni;
nel caso in esame, i ricorrenti ritengono che proprio in base alle norme dell’ordinamento italiano non sussisterebbero i presupposti oggettivi e soggettivi dell’imposizione;
2.2. i motivi vanno esaminati insieme, perché connessi, sono infondati e vanno rigettati;
2.3. invero, gli stessi ricorrenti affermano che, sulla base dell’art. 19 della Convenzione italo – svizzera ratificata dalla L. n. 943/78, al caso in esame devono applicarsi le norme dell’ordinamento italiano;
per quanto già detto in ordine al rigetto del primo e del secondo motivo di ricorso, questa Corte ritiene che, per il periodo successivo al 31 dicembre 2000, a seguito dell’abrogazione del comma 3 dell’art. 3 D.P.R. n.917/86 ad opera dell’art. 5, comma 1, lett. a), n. 1, del d.lgs. n. 314 del 1997, la fattispecie è regolata dall’art. 48 (ora art. 51, comma 8) del TUIR, secondo il quale gli assegni di sede e le altre indennità percepite per servizi prestati all’estero costituiscono reddito nella misura del 50 per cento, ed ove sia prevista la corresponsione di una indennità di base e di maggiorazioni ad essa collegate concorre a formare il reddito la sola indennità base, nella misura del 50 per cento (come avvenuto nel caso in esame);
3.1. con il quinto motivo, i ricorrenti denunziano l’insufficiente o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., in merito alla decadenza delle domande di rimborso per gli anni 2001 e 2002;
secondo i ricorrenti la decadenza, il cui esame è stato ritenuto assorbito dalla C.T.R., riguarderebbe, il solo Inches Sabatino e si sarebbe verificata limitatamente all’anno di imposta 2002, posto che per il 2001 il contribuente aveva presentato una prima istanza di rimborso in data 10/12/2001;
3.2. tale motivo, atteso il rigetto dei precedenti, non è ammissibile, poiché ha ad oggetto circostanze, relative alla decadenza delle domande di rimborso, per le quali la parte non ha più interesse, una volta escluso il diritto al rimborso e la legittimità degli atti di diniego;
4.1. con il sesto motivo, i ricorrenti eccepiscono l’illegittimità costituzionale degli artt. 51, commi 5 e 8, T.u.i.r. in relazione agli artt. 3, 35, 36 e 53 Cost. per l’inammissibile disparità di trattamento con il personale delle F.S. (ora T.) residente a Chiasso, ove si ritenesse che le citate norme del T.u.i.r. si riferiscano anche agli assegni di confine;
4.2. il motivo è inammissibile;
4.3 in primo luogo “la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata” (Cass. sent. 3708/14);
nel caso in esame, i ricorrenti lamentano l’esclusione da parte dei giudici di appello della rilevanza della questione di illegittimità costituzionale, ma non sollevano in questa sede istanza di rimessione della stessa alla Corte Costituzionale;
comunque, la doglianza appare manifestamente infondata, perché estremamente generica e poco argomentata, sia per quanto riguarda la natura degli assegni percepiti dai dipendenti di T. e la loro assimilabilità agli assegni di confine dei dipendenti degli uffici doganali, sia in relazione all’asserita esenzione degli assegni percepiti dal personale ferroviario;
2.1. per quanto fin qui detto il ricorso va rigettato ed i ricorrenti devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
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