CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 ottobre 2018, n. 25653
Imposte indirette – IVA – Vendita di spazi pubblicitari – Fatturazione – Omessa regolarizzazione – Omessa dichiarazione
Fatti di causa
Si legge nella sentenza impugnata che all’epoca dei fatti S. era, in virtù di una convenzione, la concessionaria esclusiva della pubblicità radiofonica e televisiva della R., la quale ne deteneva l’intero capitale sociale. In particolare, la convenzione prevedeva la facoltà di S. di procedere alla vendita di spazi pubblicitari ricevendone come corrispettivi cc.dd. cambi merce, fino alla percentuale pari all’1% dell’obiettivo pubblicitario stabilito.
L’Agenzia delle entrate qualificò come permutative queste operazioni, sicché ritenne che la S. avrebbe dovuto fatturare ai clienti committenti la pubblicità le prestazioni pubblicitarie eseguite, per l’intero importo, e che i clienti committenti avrebbero dovuto fatturare alla S. le operazioni aventi a oggetto i cc.dd. cambi merce. Le operazioni successive relative alla merce o ai servizi ricevuti da S. e da questa effettuate nei confronti di propri dipendenti o di terzi, di norma dipendenti della R., secondo l’Ufficio erano imponibili ai fini dell’iva e generavano correlativi ricavi di esercizio.
L’Agenzia contestò l’omessa fatturazione di operazioni imponibili concernenti le cessioni ai dipendenti dei beni o dei servizi ricevuti in permuta, la tardiva emissione delle fatture relative alle operazioni permutative con le società clienti, l’omessa regolarizzazione delle fatture dovuta all’omessa fatturazione delle operazioni eseguite dai fornitori e l’omessa dichiarazione di elementi positivi di reddito e del valore della produzione netta concernenti l’ammontare dei ricavi non contabilizzati per effetto delle operazioni concernenti quanto ricevuto in permuta, in particolare dalla C..
A tanto l’Ufficio aggiunse il rilievo riguardante l’illegittimità della detrazione dell’iva relativa alle fatture passive ricevute dalla R. per le prestazioni pubblicitarie eseguite tramite R.I., che ritenne indebitamente assoggettate a imposta, perché prive del requisito della territorialità.
Infine l’Agenzia recuperò l’iva che aveva assunto indebitamente detratta, perché relativa ad acquisti di beni, ossia di autoveicoli e telefoni cellulari, per i quali l’art. 19-bis 1 del d.P.R. n. 633/72 prevedeva limiti alla detrazione.
La società impugnò il relativo avviso di accertamento, ma la Commissione tributaria provinciale di Torino respinse il ricorso;
quella regionale ha parzialmente accolto l’appello che la contribuente ha successivamente proposto, con riguardo ai rilievi concernenti gli elementi positivi non dichiarati ai fini dell’irpeg e dell’irap, alla detrazione dell’iva relativa alle fatture passive ricevute dalla R. e alla detrazione dell’iva concernente i telefoni cellulari e la somministrazione di beni e di servizi.
In particolare, il giudice d’appello ha considerato che:
– quanto ai corrispettivi delle prestazioni pubblicitarie, il momento impositivo delle prestazioni delle società clienti s’identifica con la scelta del bene o con l’individuazione del pacchetto turistico; scelta e individuazione che nel caso in esame secondo il giudice d’appello non erano state identificate in concreto;
– quanto alle successive operazioni di cessioni delle merci o dei servizi ricevuti dalla S., fino al momento della scelta la contribuente non poteva cedere alcunché e comunque anche in questo caso è mancata l’attività di accertamento dell’ufficio;
– con particolare riguardo ai rapporti S.-C., invece, la S. avrebbe dovuto regolarizzare gli acquisti della merce non fatturata da C. ai fini irpeg e irap, perché, allorquando i dipendenti S. e R. procedevano alla scelta delle merci, C. non incassava alcun corrispettivo, giacché era S. a trattenere i relativi importi dalle buste paga dei dipendenti;
– in relazione all’affermata indetraibilità dell’iva relativa alle prestazioni pubblicitarie, le prestazioni in questione, diffuse tramite R.I., erano eseguite al di fuori del territorio comunitario, sicché risultavano non imponibili, in base all’art. 7, 4° comma, lett. d), del d.P.R. n. 633/72.
Infine, la Commissione ha escluso l’inerenza all’attività d’impresa degli acquisti dei telefoni cellulari e delle somministrazioni di bevande e di alimenti, mentre ha disapplicato l’art. 19-bis 1 del d.P.R. n. 633/72, là dove prevede l’indetraibilità dell’iva concernente l’acquisto degli autoveicoli, in base alle indicazioni desumibili dalla sentenza della Corte di giustizia in causa C-228/05, Stradasfalti.
Contro questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a tredici motivi, di cui l’ultimo articolato in due subcensure, che illustra con memoria, cui l’Agenzia replica con controricorso e ricorso incidentale, articolato in cinque motivi, cui ribatte con controricorso la contribuente.
Ragioni della decisione
1.- Il tema concernente il trattamento impositivo delle prestazioni pubblicitarie svolte da S. si articola in due sottotemi.
Il primo riguarda un fascio di tre operazioni:
a.- quelle intercorse tra S. e i suoi clienti committenti le prestazioni;
b.- quelle di c.d. cambio merce rese a S. dai clienti;
c.- le successive operazioni aventi a oggetto beni e servizi ottenuti da S. e da questa ceduti ai propri dipendenti oppure ai dipendenti della R..
Vanno quindi esaminati congiuntamente i primi quattro motivi del ricorso incidentale e i primi quattro di quello principale, con i quali si aggrediscono le statuizioni della sentenza impugnata concernenti il rapporto sub a. (primo motivo del ricorso incidentale), quello sub b. (primo motivo del ricorso incidentale) e quello sub c. (secondo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale, quanto all’iva i e primo, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principale quanto al reddito d’impresa e all’irap).
1.1.- Anzitutto, diversamente da quanto argomentato dalla società in controricorso, il ricorso incidentale dell’Agenzia è pienamente ammissibile, perché censura adeguatamente la sentenza impugnata, facendo derivare dalla ricostruzione in diritto alternativamente proposta conseguenze di segno opposto a quelle scaturenti dalla decisione della Commissione tributaria regionale.
2.- Il giudice d’appello ha ritenuto che S. e i suoi clienti abbiano «pattuite due obbligazioni, una di trasmettere messaggi pubblicitari…e l’altra di mettere a disposizione dei capi di abbigliamento (C.) o dei pacchetti turistici (A.)».
La Commissione ha quindi escluso che a queste pattuizioni si possano adattare lo schema della permuta o quello della datio in solutum, perché ha ritenuto applicabile l’ampio modello delle operazioni permutative regolate ai fini dell’iva dall’art. 11 del d.P.R. n. 633/72; inoltre, pur sulla premessa in diritto che le due prestazioni in base a questa norma debbano essere fatturate separatamente, ha stabilito che il momento impositivo delle operazioni oggetto dei rapporti sub a. e sub b. coincida e che si debba identificare col momento in cui il bene sia stato scelto tra quelli messi a disposizione dai clienti.
Sicché, ha concluso, «prima di tale momento la prestazione non può considerarsi effettuata, in quanto non definita nei suoi contenuti, anche se la controprestazione convenuta sia stata già resa dalla S.» e ha aggiunto che «le medesime considerazioni valgono anche per l’omessa fatturazione da parte di S. ai dipendenti ai quali viene ceduta la merce o i servizi ricevuti in pagamento della pubblicità». Ciò perché soltanto la scelta della merce da parte dei dipendenti, in luogo del pagamento del corrispettivo, concretizzerebbe l’obbligazione alternativa posta in capo ai committenti la pubblicità, consentendo alla prestatrice S. di divenirne proprietaria e quindi di poterla a propria volta cedere a terzi.
In definitiva, in base al ragionamento della Commissione, il momento impositivo ai fini iva delle tre operazioni sarebbe il medesimo, e andrebbe a coincidere con la scelta del bene o del servizio oppure col pagamento del corrispettivo da parte dei clienti.
A ogni modo, il giudice d’appello ha accertato che sia la committente C., sia S. non hanno fatturato rispettivamente le vendite delle merci cedute in cambio delle prestazioni e le successive rivendite ai clienti, nonché che «S. ha certamente incassato i corrispettivi della vendita dei prodotti tramite le ritenute operate in busta paga senza che i medesimi venissero, però, riportati nel conto economico».
2.1.- Secondo l’Agenzia, di contro, l’emissione di fattura per una delle due prestazioni che compongono la complessiva operazione permutativa innesca l’obbligo di fatturazione anche dell’altra, senza che occorra verificare il momento in cui ciascuna sia stata eseguita (primo motivo del ricorso incidentale, col quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 11 e 21 del d.P.R. n. 633/72, e dell’art. 2697 c.c.); inoltre, aggiunge, le rivendite della merce da parte di S. ai propri dipendenti o a quelli della R. sono autonome vicende negoziali, che si sono tradotte, sul piano fiscale, nell’omessa fatturazione delle vendite, che in questo modo non hanno scontato l’iva (secondo motivo del ricorso incidentale, col quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 11 e 21 del d.P.R. n. 633/72, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale, coi quali si affronta la medesima questione rispettivamente sotto l’aspetto dell’ultrapetizione e quello dell’omessa motivazione sul fatto controverso e decisivo dell’individuazione del momento impositivo).
2.2.- A tanto la contribuente aggiunge, in relazione alle imposte dirette e all’irap, che le cessioni eseguite da S. in favore dei propri dipendenti avrebbero avuto come oggetto crediti, che non si prestano a essere trattati fiscalmente come ricavi da indicare in conto economico (primo motivo del ricorso principale, col quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1285 c.c., in relazione all’art. 1260 c.c.) ed evidenzia l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo dell’individuazione del momento impositivo, diversamente e contraddittoriamente articolata in relazione all’iva e alle imposte dirette e all’irap (secondo motivo del ricorso principale).
Lamenta inoltre che i proventi delle vendite a terzi compiute da S. non concernono beni alla produzione o allo scambio dei quali era diretta l’attività d’impresa della contribuente (terzo motivo del ricorso principale, col quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 86 del d.P.R. n. 917/86) e che dovesse essere tassato il reddito netto e non già i proventi lordi conseguiti (quarto motivo del ricorso principale, col quale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, 4° comma, lett. b), del d.P.R. n. 917/86).
3.- Diversamente da quanto sostenuto dal giudice d’appello con la sentenza impugnata, al fascio delle tre operazioni evocato in incipit non può essere applicato il medesimo trattamento.
Da un canto vi sono le operazioni intercorse tra la prestatrice S. e le committenti le prestazioni di pubblicità; dall’altro, in rapporto di dipendenza, vi sono le successive operazioni intercorse tra S. e terzi. E i terzi nessuna relazione giuridica hanno con le committenti la pubblicità, che sono controparti di S. e non già degli acquirenti da essa.
Né le operazioni tra S. e i clienti ne costituiscono un’unica complessa: e ciò «alla luce della reciprocità delle prestazioni tra le … società e della duplice qualità di ciascuna parte nell’ambito del loro rapporto giuridico, in quanto fornitore, da un lato, e beneficiario, dall’altro», sicché «le due operazioni devono essere distinte» (Corte giust. 13 giugno 2018, causa C-421/17, Polfarmex Spóika Akcyjna w Kutnie).
3.1.- In questo contesto, corretto è l’inquadramento dell’operazione S./clienti committenti in seno a quelle permutative regolate dall’art. 11 del d.P.R. n. 633/72.
Questa norma, che reca la rubrica “operazioni permutative e dazioni in pagamento”, stabilisce che «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni e prestazioni di servizi, o per estinguere precedenti obbligazioni, sono soggette all’imposta separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono state effettuate».
3.2.- Le operazioni permutative rilevanti ai fini dell’iva hanno quindi oggetto più ampio rispetto a quello del contratto di permuta disciplinato dall’art. 1552 c.c., in quanto, oltre che agli scambi di cosa con cosa e di diritto con diritto, si estendono agli scambi di beni e servizi e di servizi con altri servizi (Cass. 23 dicembre 2000, n. 16173 e ord. 30 novembre 2017, n. 28723).
E, nel caso in esame, la ricostruzione dei fatti offerta in sentenza, che non è oggetto di contestazione fra le parti, evidenzia che le prestazioni pubblicitarie, ossia i servizi prestati da S., sono state fronteggiate, fino a un importo pari all’1°/0 dell’obiettivo pubblicitario stabilito, dall’impegno dei committenti a fornire beni e servizi.
3.3.- Il fatto che all’esecuzione di una prestazione di servizi corrisponda l’impegno a eseguire una cessione di beni oppure a eseguire una prestazione di servizi non è d’ostacolo alla configurazione dell’operazione permutativa: è il risultato traslativo, consistente nell’attribuzione dell’utilità derivante dalla futura prestazione di servizi o dalla futura cessione di beni una determinata opera da realizzare, coincidente col bene futuro, a essere assunto come termine di scambio con la prestazione di servizi già eseguita, corrispondente al bene presente (in termini, con riguardo alla permuta, Cass. 22 dicembre 2005, n. 28479 e 25 ottobre 2013, n. 24172).
3.4.- A norma dell’art. 11 del d.P.R. n. 633/72 le due operazioni che compongono la complessiva operazione permutativa vanno tassate separatamente.
Contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, allora, le prestazioni di servizi eseguite da S. sono da ritenere imponibili al momento della loro esecuzione, e non già, come vorrebbe il giudice d’appello, «solamente nel momento in cui il bene è stato scelto tra i tanti messi a disposizione (caso C.) o il viaggio sia iniziato (caso A.)».
Le sezioni unite di questa Corte hanno difatti fatto chiarezza (con sentenza 21 aprile 2016, n. 8059; conf., tra varie, ord. 7 dicembre 2017, n. 29371) su concetti centrali dell’iva, distinguendo tra fatto generatore dell’imposta, da cui scaturisce l’obbligazione tributaria, esigibilità, ossia attitudine attuale dell’imposta ad essere pretesa da parte dell’erario e pagamento. Il fatto generatore di norma coincide con l’esigibilità, ma ne rimane ontologicamente distinto, giacché esso in realtà s’identifica col materiale espletamento dell’operazione. È questo a determinare l’insorgenza del presupposto impositivo e, quindi, la rilevanza fiscale dell’attività ai fini dell’iva. Se ne legge conferma nella giurisprudenza unionale:
«conformemente all’articolo 63 di tale direttiva – ossia della direttiva n. 2006/112 – , il fatto generatore dell’imposta si verifica, e l’imposta diviene esigibile, nel momento in cui viene effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi» (Corte giust. 31 maggio 2018, cause C-660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 38).
3.5.- Rispetto al materiale espletamento dell’operazione, sia essa cessione di beni oppure prestazione di servizi, il rilascio della fattura o l’incasso del corrispettivo sono presupposti di esigibilità, il verificarsi dei quali al più può determinare l’anticipazione del momento impositivo, qualora gli Stati membri nell’esercizio della loro discrezionalità l’abbiano previsto, giammai la sua posticipazione.
Questa ricostruzione trova conferma nell’art. 26 del d.P.R. n. 633/72, il quale prevede che l’omessa riscossione del corrispettivo non comporta la caducazione dell’obbligazione tributaria, della quale il presupposto impositivo si sia già verificato e rinviene copertura costituzionale negli artt. 3 e 53 Cost., in particolare nell’esigenza di non trattare differentemente situazioni uguali, in dipendenza di eventi correlati a scelte (quelle concernenti la fatturazione o il pagamento del corrispettivo) casuali e soggettive.
4.- Nel contempo, tuttavia, l’esecuzione della prestazione pubblicitaria, oltre a determinarne l’imponibilità e l’esigibilità, funge altresì da adempimento del corrispettivo previsto per la futura cessione o la futura prestazione di servizi che i clienti committenti si sono impegnati a eseguire.
Ai fini della valutazione di rilevanza di un tale anticipato adempimento, giova considerare che l’art. 10, 2° comma, n. 2, della sesta direttiva (corrispondente all’art. 65 della direttiva n. 2006/112, nonché, nell’ordinamento interno, all’art. 6, 4° comma, del d.P.R. n. 633 del 1972), si discosta dall’ordine cronologico consueto, là dove prevede che, nel caso di versamento di un acconto, l’iva diventa esigibile senza che la cessione o la prestazione siano state ancora eseguite. Affinché in tal caso l’imposta possa diventare esigibile, occorre, peraltro, che tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, siano già noti alle parti e, in particolare, che, nel momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati (Corte giust. in causa C-419/02, punto 48; 31 maggio 2018, in causa C-660/16, cit.).
4.1.- Anche la circostanza che la data futura di esecuzione della cessione o della prestazione non sia conosciuta con precisione al momento del versamento dell’acconto o del corrispettivo non consente di concludere che gli elementi rilevanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, non sono noti. Inoltre, l’assenza di tale precisione non è tale, di per sé, da rimettere in discussione la certezza della cessione o della prestazione (Corte giust. in causa C-660/16, punto 45).
Ciò in quanto, ha chiarito questa Corte, nel caso di anticipato pagamento (come in quello di anticipata fatturazione dell’acquisto), il contenuto economico dell’operazione si considera già -in tutto o in parte – realizzato, dando vita al presupposto fiscalmente sufficiente per la sua imponibilità, sia pure limitatamente all’importo pagato o fatturato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27141 e 22 maggio 2015, n. 10606).
4.2.- In definitiva, come rilevava la Commissione a motivazione della proposta della sesta direttiva, «quando vengono incassati acconti anteriormente al fatto generatore, il loro incasso rende esigibile l’imposta, poiché i contraenti dimostrano in tal modo di voler trarre anticipatamente tutte le conseguenze finanziarie legate alla realizzazione del fatto generatore».
E questa disciplina, benché non riferita espressamente alla permuta, va comunque anche a essa applicata in virtù del principio di parità di trattamento che presidia il sistema dell’iva, poiché le operazioni di permuta, in cui il corrispettivo è per definizione in natura, e le operazioni per le quali il corrispettivo è in danaro sono, dal punto di vista economico e commerciale, due situazioni identiche (Corte giust. 19 dicembre 2012, causa C-549/11, Orfey Bulgaria EOOD, punti 35-36 e 26 settembre 2013, causa C-283/12, Serebryannay vek EOOD, punto 39).
4.3.- Qualora al momento del pagamento anticipato non siano compiutamente individuati i beni o i servizi, le relative operazioni non saranno immediatamente imponibili, ma lo diverranno non appena le cessioni o le prestazioni saranno eseguite.
E al riguardo s’innestano la deduzione del vizio di motivazione proposto dall’Agenzia, la quale ha riferito che a fondamento dell’avviso di accertamento, riprodotto in controricorso, era stato elaborato un elenco analitico che riporta i singoli dipendenti che hanno fruito dei pacchetti turistici e gli estremi delle relative lettere di addebito (data, numero, importo, imponibile e IVA non indicata), nonché la deduzione del vizio di ultrapetizione, col quale l’Agenzia si duole del fatto che la S. non abbia né col ricorso introduttivo, anch’esso riprodotto in controricorso, né con l’appello, parimenti richiamato, contestato la circostanza dell’omessa fatturazione delle cessioni di merci e delle prestazioni di servizi turistici.
Il che implicherebbe inesorabilmente la non contestazione dei fatti storici dell’esecuzione delle cessioni e delle prestazioni, utili ai fini dell’esigibilità della relativa iva.
4.4.- Sono quindi erronee le statuizioni della sentenza impugnata, in virtù delle quali la Commissione tributaria regionale ha escluso in radice l’esigibilità e della prestazione eseguita da S. e di quelle comunque eseguite dalle clienti committenti.
4.5.- Per derivazione è erronea anche la statuizione concernente «l’omessa fatturazione da parte di S. ai dipendenti ai quali viene ceduta la merce o i servizi ricevuti in pagamento della pubblicità», della quale il giudice d’appello ha escluso l’illegittimità per il «mancato accertamento del momento impositivo».
5.- Ne deriva l’accoglimento dei primi quattro motivi del ricorso incidentale proposto dall’Agenzia.
5.1.- Ne risulta assorbito il primo motivo del ricorso principale della società.
La necessità di accertamenti indotta dall’accoglimento del terzo e del quarto motivo del ricorso incidentale si riverbera sull’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, giacché occorre verificare, ai fini del rispetto del principio di competenza previsto dal testo unico sulle imposte dirette, l’epoca in cui sono state eseguite le prestazioni e le cessioni nei confronti dei dipendenti della S. o di quelli della R. e l’epoca alla quale risale l’incasso dei relativi corrispettivi, corrispondenti, in base all’accertamento contenuto in sentenza, alle ritenute operate in busta paga.
6.- Va, invece, respinto il terzo motivo del ricorso principale, in base all’orientamento di questa Corte (Cass., ord. 11 gennaio 2018, n. 450 e ord. 31 maggio 2018, n. 13902), secondo il quale, in tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 75, 5° comma, del d.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109, 5 0 comma, del medesimo d.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo soltanto quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa.
7.- Parimenti dev’essere respinto il quarto motivo del ricorso principale, giacché l’onere di provare i costi deducibili dal reddito d’impresa incombe su chi invochi la deduzione, ossia sul contribuente (tra varie, Cass. 26 aprile 2017, n. 10269).
8.- Il secondo tema pertinente al trattamento impositivo delle prestazioni pubblicitarie concerne il loro carattere di extraterritorialità, quanto a quelle diffuse tramite R.I. fuori dal territorio dell’allora Comunità europea.
Il giudice d’appello ha ravvisato l’extraterritorialità facendo leva sull’art. 7, 4° comma, lett. d), del d.P.R. n. 633/72, e in conseguenza ha escluso che possa essere detratta la relativa iva addebitata alla S. dalla R..
Col quinto, col sesto e col settimo motivo del ricorso principale, che vanno esaminati congiuntamente, appunto perché riguardano tale questione, la S. censura la statuizione del giudice, sostenendo che:
– sia insufficiente e contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata là dove il giudice d’appello ha identificato, così confondendole, la prestazione pubblicitaria svolta dalla S. e quella derivante dalla concessione di spazi radiofonici e televisivi eseguita dalla R. (quinto motivo);
– sia insufficiente e contraddittoria la motivazione, là dove la Commissione ha applicato al contratto atipico di concessione di spazi radiofonici e televisivi la disciplina propria del mandato senza rappresentanza (sesto motivo);
– risulti violato l’art. 7 del d.P.R. n. 633/72, là dove il giudice ha trascurato che dal contratto di concessione di spazi radiofonici e televisivi scaturisce una prestazione di fare, da ritenere imponibile in base all’art. 3 del d.P.R. n. 633/72 (settimo motivo).
8.1.- In fatto, emerge dalla sentenza impugnata che S. e la R. hanno stipulato un contratto atipico col quale la concedente, ossia la R., ha affidato alla concessionaria, ossia alla S., «l’acquisizione e la gestione della pubblicità da diffondere tramite i mezzi del concedente» e che «le prestazioni oggetto del rapporto tra S. e R. sono esattamente le medesime rese da S. ai terzi utilizzatori localizzati in paesi extra UE…».
Quindi, le prestazioni pubblicitarie sono state rese da S., società ubicata in Italia, per mezzo dello strumento televisivo di R., parimenti ubicata in Italia, a clienti stabiliti in paesi extracomunitari.
8.2.- Va premesso che la nozione di prestazione pubblicitaria implica quella di pubblicità, che, in base alla definizione che ne ha fornito la Corte di giustizia (in particolare con sentenza 17 novembre 1993, causa C-68/92, Commissione c. Francia), comporta necessariamente la diffusione di un messaggio destinato a informare il consumatore dell’esistenza e delle qualità di un prodotto o di un servizio, allo scopo di incrementarne le vendite; e tale diffusione in genere avviene mediante parole, scritti o immagini via stampa, radio o televisione (punto 36).
La circostanza, pacifica in fatto, che la trasmissione del messaggio sia avvenuta col mezzo televisivo gestito dalla R. conduce all’applicabilità alla catena di rapporti R./S. e S./clienti committenti la pubblicità delle regole stabilite dalla giurisprudenza unionale (Corte giust. 19 febbraio 2009, causa n. 1/2008, Soc. Athesia Druck, resa su pregiudiziale proposta da questa Corte).
8.3.- La Corte di giustizia ha chiarito che, per un verso, l’art. 9, n. 2, lett. e), secondo trattino, della sesta direttiva dev’essere interpretato nel senso che esso si applica non soltanto alle prestazioni pubblicitarie fornite direttamente e fatturate dal prestatore di servizi a un committente di pubblicità soggetto passivo, ma anche a prestazioni fornite indirettamente al committente di pubblicità e fatturate a un terzo che le fattura a sua volta al committente (punto 23 della sentenza, in cui si richiama giurisprudenza conforme).
Per conseguenza, il carattere indiretto delle prestazioni, dovuto al fatto che esse sono state fornite o fatturate da un primo prestatore, ossia nel nostro caso dalla R., a un destinatario intermedio, ossia nell’ipotesi in questione alla S., a sua volta incaricata di svolgere servizi pubblicitari (prestazioni che, secondo il giudice d’appello, si è visto, corrispondono a quelle poi rese ai terzi), prima di essere fatturate da quest’ultima al committente di pubblicità, non osta all’applicazione dell’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva.
Sicché, soltanto se il destinatario intermedio della prestazione sia stabilito fuori del territorio dell’Unione, il luogo della prestazione va anch’esso fissato fuori, ossia dove ha sede detto destinatario, senza che assuma rilevanza il fatto che questo non sia il committente finale di pubblicità.
8.4.- A tanto la Corte ha aggiunto, per altro verso, che, in deroga alla regola generale stabilita dall’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva, il successivo art. 9, n. 3, lett. b) consente a uno Stato membro di considerare il luogo di prestazione dei servizi situato al di fuori della Comunità a norma di detto articolo come se fosse situato all’interno del paese quando l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego hanno luogo all’interno del paese.
Facoltà che nel caso in esame è stata esercitata dallo Stato italiano, il quale con l’art. 7, 4 0 comma, lett. d), nel testo vigente ratione temporis, ha stabilito che «le prestazioni pubblicitarie…, di radiodiffusione e di televisione, le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici…, nonché le prestazioni di intermediazione inerenti alle suddette prestazioni o operazioni e quelle inerenti all’obbligo di non esercitarle…si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all’estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all’estero, a meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica europea».
8.4.1.- Ebbene, la Corte di giustizia ha chiarito «che, per paese all’interno del quale hanno luogo l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego, in base all’art. 9, n. 3, lett. b), della sesta direttiva, s’intende, in materia di prestazioni pubblicitarie, il paese dal quale vengono diffusi i messaggi pubblicitari» (punto 29 della sentenza in causa Soc. Athesia Druck). E, giustappunto con riguardo alla diffusione in Italia, ha soggiunto che «indipendentemente dalla circostanza che i destinatari di tali prestazioni possano essere distribuiti in tutto il mondo, è certo che i media italiani sono diffusi soprattutto in Italia. Pertanto, l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego di messaggi pubblicitari devono essere considerati, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, effettuati in Italia» (punti 30 e 31 della medesima sentenza).
8.5.- Erronea è, quindi, la statuizione di segno contrario della sentenza impugnata, con la quale, invece, si è sostenuto che «le prestazioni pubblicitarie diffuse tramite R.I. avvenivano fuori dalla Comunità europea», perché «rese da S. ai terzi utilizzatori localizzati in paesi extra UE».
8.6.- La complessiva censura va accolta e in conseguenza cassata per i profili corrispondenti la sentenza impugnata giacché, da un canto, la destinataria intermedia S. ha sede in Italia e, d’altro canto, l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego di messaggi pubblicitari irradiati dalla R. vanno considerati effettuati in Italia.
9.- Con l’ottavo, il nono e il decimo motivo del ricorso principale, che vanno esaminati insieme, perché concernenti la medesima censura, nonché congiuntamente al quinto motivo del ricorso incidentale, che concerne questione connessa, si lamenta:
– l’omissione della motivazione in ordine alle ragioni, espresse soltanto per relationem ad altra pronuncia, per le quali si è esclusa la detraibilità dell’iva concernente la somministrazione di alimenti e bevande e l’acquisto di telefoni cellulari (ottavo motivo);
– la violazione e falsa applicazione dell’art. 19-bis 1 del d.P.R. n. 633/72, là dove si è esclusa la detraibilità dell’iva in questione benché le operazioni in questione rientrassero nell’attività propria della contribuente (nono motivo);
– la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata in relazione all’affermata mancanza di prova che gli alimenti e le bevande costituissero oggetto di un contratto di fornitura e non già di somministrazione (decimo motivo);
– la violazione e falsa applicazione dell’art. 17 della sesta direttiva, degli artt. 19 e 19-bis 1 del d.P.R. n. 633/72, dell’art. 30 I. n. 388/00 e dell’art. 2697 c.c., là dove la Commissione tributaria regionale ha affermato la piena detraibilità dell’iva concernente gli acquisti di autoveicoli, senza considerare se fossero, o no, inerenti all’attività d’impresa (quinto motivo del ricorso incidentale).
9.1.- Le censure rispettivamente proposte dalla società e dall’Agenzia sono fondate.
In relazione all’acquisto dei telefoni cellulari, questa Corte ha già chiarito (con sentenza 25 marzo 2015, n. 5958; conf., tra varie, 9 agosto 2016, n. 16726 e 31 maggio 2018, n. 13897) che il principio espresso dalla Corte di giustizia con la sentenza 14 settembre 2006 in causa C-228/05, Stradasfalti, secondo cui le autorità tributarie nazionali non possono applicare le disposizioni con cui uno stato membro abbia escluso alcuni beni dal regime delle detrazioni senza previa consultazione del comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto, in violazione dell’art. 17, 7° comma, della sesta direttiva 17 maggio 1977 n. 77/388/Cee, sicché il soggetto passivo deve poter ricalcolare il suo debito d’imposta senza tenerne conto della misura derogatoria illegittimamente adottata, è applicabile, per identità di ratio, anche relativamente all’art. 19-bis 1, 1 0 comma, lett. g), del d.P.R. n. 633/72, vigente ratione temporis, nella parte in cui limita la detraibilità delle spese per l’acquisto e l’uso dei telefoni cellulari nella misura del 50 per cento.
9.2.- Ma sia per tali acquisti, sia per le operazioni concernenti alimenti e bevande, indipendentemente dal titolo che le sorregga, sia per l’acquisto di autoveicoli, occorre pur sempre la verifica relativa alla loro inerenza all’attività d’impresa.
Di contro, il giudice d’appello nei primi due casi ha escluso in maniera anapodittica l’inerenza e nel terzo caso in modo altrettanto assertivo l’ha affermata.
9.3.- Occorre quindi che la valutazione sia operata in maniera concreta, previa cassazione della sentenza in relazione ai profili accolti.
10.- Infondato è il dodicesimo motivo, da esaminare per priorità logica prima dell’undicesimo, col quale la contribuente si duole della violazione degli artt. 346 c.p.c. e 56 del d.lgs. n. 546/92 perché l’Agenzia non avrebbe contestato, sul piano sanzionatorio, nel giudizio di secondo grado, l’applicabilità dell’esimente dell’obiettiva incertezza.
L’affermazione della legittimità della pretesa impositiva, difatti, da parte dell’Agenzia, implica e assorbe ogni contestazione in ordine ai profili, derivati e dipendenti, riguardanti il piano sanzionatorio.
11.- Infondati sono, infine, l’undicesimo e il tredicesimo motivo del ricorso principale, in entrambe le subcensure in cui quest’ultimo è articolato, che coinvolgono sotto diversi aspetti l’esimente dell’obiettiva incertezza, utile a esentare da sanzioni in relazione alle riprese concernenti irpeg e irap.
E ciò in applicazione del consolidato orientamento di questa Corte (vedi, per tutte, Cass. 23 novembre 2016, n. 23845), secondo il quale in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, 3 0 comma, della I. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, postula una condizione d’inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.
11.1.- Il che è da escludere nel caso in esame, in base alle circostanze di fatto acclarate in sentenza, delle quali si è dato dinanzi conto.
12.- In definitiva, in accoglimento del ricorso incidentale, nonché del secondo, del quinto, del sesto, del settimo, dell’ottavo, del nono e del decimo motivo di quello principale, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai profili accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, che si atterrà ai seguenti principi di diritto:
“In tema di iva, il momento impositivo della prestazione pubblicitaria remunerata col diritto al c. d. cambio merce, ossia alla futura cessione di beni o alla futura prestazione di servizi da parte del committente la pubblicità, che s’inquadra nel novero delle operazioni permutative, coincide con l’effettuazione della prestazione, la quale, costituendo a sua volta il corrispettivo anticipato del c. d. cambio merce, determina al contempo l’imponibilità anche di questa prestazione, purché ne sia già noto l’oggetto alle parti”.
“In tema di iva, la prestazione pubblicitaria eseguita mediante diffusione del messaggio pubblicitario per il tramite di mezzo radiotelevisivo ubicato in Italia a un’impresa, anch’essa ubicata in Italia, a sua volta incaricata di svolgere servizi pubblicitari, prima di essere fatturata da quest’ultima al committente di pubblicità, è munita del requisito della territorialità, benché sia indirizzata e giunga a utenti ubicati fuori dal territorio dell’Unione europea”.
P.Q.M.
Accoglie il secondo, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo motivo del ricorso principale, assorbito il primo e respinti i restanti, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.
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