CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 febbraio 2019, n. 4890
Stranieri – D.L. n. 113/2018, convertito nella L. n. 132/2018 – Domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari prima dell’entrata in vigore della nuova legge – Inapplicabilità
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Napoli ha rigettato le domande di protezione internazionale ed umanitaria proposte dal cittadino della Guinea B. A.
2. A sostegno della decisione ha affermato che dalle sue dichiarazioni è emerso che le ragioni dell’allontanamento dal suo paese sono state esclusivamente di natura economica e di conflitto con i propri genitori. Escluso, di conseguenza, rifugio e protezione sussidiaria ex art. 14, lettere a) e b), d.lgs n. 251 del 2007, il Tribunale ha escluso anche la lettera c), all’esito delle informazioni officiosamente assunte sulle condizioni politiche attuali del paese, caratterizzate dal 2014 in poi da una progressiva stabilizzazione politica e dall’adozione di misure per affrontare il problema della violazione dei diritti umani. Nei mesi di agosto e settembre 2016 si è avviato un dialogo positivo tra governo ed opposizione al fine di allentare i contrasti di natura politica.
3. Quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale di Napoli ha rilevato che le condizioni per il riconoscimento di tale tipologia di permesso possono essere individuati in situazioni soggettive connesse alla salute del richiedente, o a condizioni oggettive di natura socio politica, alimentare o sanitaria. Nella specie sì afferma testualmente nel provvedimento impugnato, non ricorrono le ipotesi prospettate.
4. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Non ha svolto difese il Ministero intimato.
Ragioni della decisione
5. Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 del d.lgs n. 251 del 2007 nonché degli artt. 8 e 27 comma 1 bis del d.lgs n. 25 del 2008 per avere, il Tribunale fondato il rigetto della domanda di rifugio politico esclusivamente sulla valutazione negativa della credibilità del richiedente senza attivare i poteri-doveri istruttori officiosi al fine di accertare i fatti rilevanti in relazione alla domanda proposta.
5.1. La censura è inammissibile in quanto non idonea a colpire la ratio decidendi posta a base dell’esclusione della sussistenza delle condizioni di riconoscimento dello status di rifugiato. Il Tribunale ha posto a base della decisione non il difetto di credibilità ma la ragioni di natura economica che avevano spinto il richiedente a lasciare il proprio paese.
6. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 7, 8, d.lgs n. 251 del 2007 e art. 2 d.lgs n. 25 del 2008 per avere il Tribunale di Napoli ritenuto estranee alle condizioni di riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria le dichiarazioni del richiedente, considerato che lo stesso non si era mai rivolto alle autorità statali per chiedere protezione. Al riguardo ha rilevato il ricorrente che il proprio racconto non è stato smentito da elementi di segno contrario ed inoltre i fatti narrati trovano conferma nella difficile situazione in cui versa il suo paese di origine. In particolare, egli si trova esposto al rischio di subire atti di violenza fisica e psichica dai quali i soggetti statuali non sono in grado di proteggerlo.
6.1. La censura è inammissibile non trovando riscontro nella decisione impugnata le affermazioni poste a base della censura. Come già osservato, non è stata contestata specificamente la credibilità del cittadino straniero ma la riconducibilità alle ipotesi tipizzate di protezione internazionale né si è fatto riferimento alla mancata protezione da parte delle autorità statuali, non essendo riferita alcuna forma di esposizione al rischio per la vita od incolumità fisica, né al riguardo vi è alcuna allegazione specifica nel ricorso. Deve precisarsi, al riguardo, che il riferimento, nell’esposizione sommaria dei fatti, alla partecipazione ad una manifestazione politica è meramente dedotta senza alcuna indicazione che consenta di ritenere che si tratti di un’allegazione specifica e preesistente oltre che documentata ex art. 369 cod. proc. civ.
7. Nel terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 lettera c) d.lgs n. 251 del 2007, per non essere stato riscontrato, all’esito delle indagini officiose svolte, che in Guinea, come indicato nelle principali fonti d’informazione, la situazione politico sociale è caratterizzata da un conflitto interno in relazione al quale si sviluppano episodi di violenza ad opera di gruppi armati, oltre a potersi riscontrare gravi violazioni dei diritti umani,
7.1. La censura è inammissibile mirando, nonostante la formale qualificazione come violazione di legge, ad un riesame dei fatti così come accertati dal giudice del merito che, nella specie, ha svolto un esame officioso delle fonti, così come richiesto dall’art. 8 del d.lgs n. 251 del 2007, giungendo a conclusioni, insindacabilmente divergenti.
8. Ne! quarto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, c. 6 del d.lgs n. 286 del 1998 per non avere, il Tribunale, ritenuto sussistenti le condizioni per il rilascio di un permesso per ragioni umanitarie. Sul rigetto di questa domanda non vi è specifica motivazione. Il Tribunale doveva svolgere un apprezzamento giuridico diverso da quello riguardante le protezioni maggiori in relazione alle condizioni oggettive della Guinea con particolare riferimento al mancato rispetto dei diritti umani ed al l’instabilità politica, oltre che le condizioni di vita del tutto precarie, sotto il profilo della salute e dell’alimentazione.
8.1 Quest’ultima censura merita un esame più analitico. Viene i sostanzialmente dedotto dal ricorrente che è mancato uno scrutinio specifico delle condizioni di vulnerabilità che avrebbero potuto determinare il riconoscimento delle ragioni umanitarie, essendosi il tribunale limitato ad una generica negazione della sussistenza dei presupposti di esse, senza procedere ad una valutazione differenziata dei fatti narrati rispetto alle conclusioni assunte sulle protezioni tipiche (rifugio politico e protezione sussidiaria) oltre che della situazione generale. Le ragioni dell’allontanamento, sia sotto il profilo soggettivo (povertà e necessità economiche) che oggettivo (il perdurare di una situazione d’instabilità politica e di violazione dei diritti umani) avrebbero dovuto condurre ad una valutazione positiva della condizione di vulnerabilità del ricorrente secondo il parametro legislativo costituito dall’art. 5 c. 6 d.lgs n. 286 del 1998.
8.2 La prospettazione della censura impone l’individuazione preliminare del paradigma legislativo applicabile alla domanda relativa all’accertamento delle condizioni per il riconoscimento di un titolo di soggiorno sostenuto da ragioni umanitarie, essendo nel corso del giudizio, e più esattamente in pendenza del procedimento davanti la Corte di Cassazione, intervenuto il d.l. n. 113 del 2018 convertito con modificazioni nella l. n.132 del 2018 e in vigore dal 5 ottobre 2018, che ha mutato la disciplina legislativa previgente relativa alle condizioni per il riconoscimento del diritto ad un permesso per ragioni umanitarie.
8.3. Il legislatore, ha introdotto la categoria dei permessi di soggiorno “per casi speciali”, ed in particolare:
a) ha eliminato la norma, contenuta nell’art. 5 c. 6 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella quale era stabilito che ove ricorressero seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali od internazionali dello Stato italiano, doveva essere riconosciuto il diritto ad un permesso di soggiorno del contenuto e della durata stabiliti nel regolamento di attuazione (art. 28, c.2 lettera d) d.p.r. n. 394 del 1999). Dal 5/10/2018 è rimasta vigente soltanto la prima parte dell’art. 5 c. 6 che stabilisce:” il rifiuto o la revoca deI permesso di soggiorno, possono essere, altresì, adottati, sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili ad uno degli stati contraenti
b) ha, coerentemente, modificato l’art. 32 c. 3 del d.lgs n. 25 del 2008 escludendo dalla cognizione delle Commissioni territoriali la valutazione della residua sussistenza di “gravi motivi umanitari” all’esito dello scrutinio negativo sul rifugio politico e la protezione sussidiaria. Le Commissioni alla luce della norma in vigore dal 5/10/2018 sono tenute a trasmettere gli atti al Questore solo se ricorrano i presupposti di cui all’art. 19, c. 1 ed 1.1 del d.lgs n. 286 del 1998 perché provveda al rilascio di un permesso di soggiorno che reca la dicitura “protezione speciale”, ha la durata di un anno, non è convertibile in permesso di lavoro ma consente di svolgere attività lavorativa. Le condizioni indicate nell’art. 19 c. 1. riguardano il rischio individuale di essere soggetti a persecuzioni per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Quelle indicate nel c. 1.1. (introdotte dall’art. 3 della l. n. 110 del 2017) consistono in “fondati motivi” di essere sottoposti a tortura;
c) ha introdotto una tipologia peculiare di permesso per cure mediche (art.19 c. 2 lettera d-bis d.lgs n. 286 del 1998) per cittadini stranieri che versano in condizioni di particolare gravità, della durata massima dì un anno, rinnovabile solo se persiste la condizione di partenza;
d) ha introdotto, con l’art. 20 bis del d.lgs. n. 286 del 1998, il permesso di soggiorno per contingente ed eccezionale calamità naturale che non consenta il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza della durata di sei mesi, rinnovabile di altri sei se permane la condizione di partenza, che consente lo svolgimento di attività lavorativa ma non è convertibile in permesso di lavoro;
e) ha introdotto, con l’art. 42 bis del d.lgs n. 286 del 1998, il permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile di durata biennale, con accesso allo studio e allo svolgimento di attività lavorativa, rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per lavoro subordinato ed autonomo;
f) ha conservato il permesso di soggiorno disciplinato all’art. 18 del d.lgs n. 286 del 1998, per motivi di protezione sociale nonché quello preesistente per le vittime di violenza domestica (art. 18 bis) e quello per particolare sfruttamento lavorativo (art. 22, comma 12 quater), precisando in tutte e tre le norme che attualmente tali permessi devono essere denominati “per casi speciali”. Si tratta di titoli di soggiorno variamente modulati quanto alla durata ma tutti convertibili in permessi di lavoro, (cfr. per il permesso relativo a ragioni di protezione sociale l’art. 27 comma 3 bis dei d.p.r. n. 394 del 1999, rimasto vigente; per il permesso per sfruttamento lavorativo il comma 12 sexies dell’art. 22; per il permesso riguardante le vittime di violenza domestica, il comma 1 bis dell’art. 18 bis).
8.4. Il nuovo quadro legislativo dei permessi introdotti dal d.l. n. 113 del 2018 e le modifiche dell’art. 32, terzo comma d.lgs n. 25 del 2008, pongono in luce la rilevante diversità, peraltro coerente all’affermata intentio legis declinata nella relazione illustrativa, tra il sistema della protezione umanitaria incentrato sull’art. 5 c. 6 d.lgs n. 286 del 1998 e l’attuale, fondato sulla specialità e tipizzazione dei permessi, che proprio dall’eliminazione di questa norma prende le mosse.
La comparazione evidenzia in particolare la predeterminazione delle ipotesi di riconoscimento di permessi denominabili come “speciali” attraverso specifici paradigmi normativi, fortemente conformati, in netta soluzione di continuità con la formulazione dei presupposti per il riconoscimento del permesso umanitario ex art. 5, c.6, d.lgs. n. 286 del 1998, articolati secondo la clausola generale dei “seri motivi di carattere umanitario, da individuare, secondo un catalogo “aperto” determinabile alla luce dell’evoluzione del quadro complessivo dei diritti umani desumibili dal sistema costituzionale interno, da quello convenzionale ed agli obblighi internazionali ai quali il nostro ordinamento è vincolato. L’effetto limitativo dell’intervento legislativo riguarda non soltanto la tipizzazione dei permessi sopra indicata ma anche la modifica dell’art. 32, c. 3, d.lgs. n. 25 del 2008. Alle Commissioni territoriali residua l’accertamento delle condizioni per l’applicazione del principio di “non refoulement” per le fattispecie descritte nell’art. 19 c. 1 ed 1.1., ovvero per ipotesi sostanzialmente sovrapponibili alle protezioni maggiori ed escluso l’accertamento di condizioni di vulnerabilità diverse. Prevedibilmente il permesso per ragioni di protezione speciale potrà essere riconosciuto quando difettano condizioni soggettive per il rifugio o la protezione sussidiaria o si versi in una situazione che ne legittimerebbe la revoca ma il rimpatrio è impedito dall’applicazione dei principio di “non refoulement”.
8.5 II quadro comparativo cosi delineato è del tutto coerente con l’ampia ed univoca elaborazione giurisprudenziale riguardante il permesso umanitario e la sua intima connessione con il diritto d’asilo costituzionale. La qualificazione giuridica di diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale, è stata affermata e mantenuta costante dalle S.U. di questa Corte a partire dall’ordinanza n. 19393 del 2009 fino alle più recenti (ex multis S.U.5059 del 2017; 30658 del 2018; 30105 del 2018; 32045 del 2018; 32177 del 2018). Tale peculiare natura, del tutto coerente con il richiamo al rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali indicati nell’art. 5, c. 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, ha avuto un notevole rilievo nella ricognizione dei presupposti per l’accertamento del diritto al permesso umanitario, svolta dalla giurisprudenza di legittimità. Si è ritenuto che essi fossero diversi da quelli posti a base delle protezioni maggiori e che la protezione umanitaria avesse carattere residuale (Cass. 4131 del 2011; 15466 del 2014), dal momento che le condizioni di vulnerabilità suscettibili di integrare i “seri motivi umanitari” non possono che essere correlati al quadro costituzionale e convenzionale al quale sono ancorati (Cass. 28990 del 2018).Tale peculiarità, unitamente alla qualificazione giuridica del diritto, fornita dalle S.U. di questa Corte, ha svolto un’incidenza determinante sull’intervento nomofilattico della giurisprudenza di legittimità in relazione al contenuto e razionabilità del diritto d’asilo, (ex multis Cass. 10636 del 2012 e 16362 del 2016, il principio è richiamato anche nella recente pronuncia n. 4455 del 2018). Secondo tale costante orientamento, il diritto d’asilo costituzionale è integralmente compiuto attraverso il nostro sistema pluralistico della protezione internazionale, anche perché non limitato alle protezioni maggiori ma esteso alle ragioni di carattere umanitario, aventi carattere residuale e non predeterminato, secondo il paradigma normativo aperto dell’art. 5, c. 6, d.lgs. n. 286 del 1998.
9. La corretta qualificazione giuridica del diritto contenuto nella norma eliminata, alla luce della stretta correlazione con l’attuazione del diritto d’asilo costituzionale costituisce una premessa ineludibile per l’esame dell’applicabilità ai giudizi in corso della nuova disciplina legislativa.
9.1 L’esame comparativo svolto in relazione alla natura giuridica ed alla collocazione ne! sistema dei diritti fondamentali della persona, della situazione giuridica soggettiva di cui è titolare chi, alla luce del sistema legislativo, fondato sull’art. 5, c. 6 del d.lgs n. 286 del 1998, abbia richiesto l’accertamento del diritto ad un titolo di soggiorno per seri motivi umanitari, evidenzia la natura meramente ricognitiva dell’accertamento da svolgere in sede di verifica delle condizioni previste dalla legge. La stretta correlazione con il diritto d’asilo costituzionale conferma tale ricostruzione. Al riguardo, deve rilevarsi, che fin dalle prime pronunce delle S.U. sulla giurisdizione e sulla precettività dell’art. 10, terzo comma, Cost. (S.U. n. 4674 del 1997) è stata affermata la natura dichiarativa dei provvedimenti assunti in relazione all’accertamento del diritto d’asilo (per questa peculiare caratteristica S.U. n. 907 del 1999) di cui la protezione umanitaria ha costituito parte integrante.
10. E’ necessario, pertanto, verificare come opera, sulla base della ricostruzione del diritto sopra illustrato, l’intervento legislativo nei procedimenti e nei giudizi in corso, alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla concreta operatività del principio d’irretroattività della legge contenuto nell’art. 11 delle preleggi, tenuto conto della qualificazione giuridica del diritto sopra indicata. Unitamente a tale indagine è necessario verificare se il legislatore abbia introdotto una disposizione dì carattere intertemporale applicabile ai giudizi in corso. Si deve rilevare, al riguardo, che l’art. 1 del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, contiene due disposizioni di carattere intertemporale, il comma 8 ed il comma 9.
11. Nel comma 8 è stabilito: “Fermo restando i casi di conversione, ai titolari del permesso di soggiorno per motivi umanitari già riconosciuto ai sensi dell’art. 32 c. 3 d.lgs n. 25 del 2008, in corso di validità alla data di entrata in vigore del presente decreto, è rilasciato, alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 32, comma 3, del d.lgs n. 25 del 2008, come modificato dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione
territoriale, sulla sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 19 c. 1 ed 1.1. del d.lgs n. 286 del 1998″. Con questa disposizione il legislatore stabilisce, da un lato, l’intangibilità dei permessi umanitari validi ed efficaci alla data di entrata in vigore della nuova legge, indicando, tuttavia, come dies ad quem, la scadenza legale del titolo di soggiorno. Dall’altro, prescrive che, dopo tale scadenza, operi il nuovo regime giuridico che esclude l’applicazione dell’art. 5, c. 6, d.lgs. n. 286 del 1998, e, “fermo restando i casi di conversione”, affida alle Commissioni la più limitata cognizione della sussistenza delle condizioni relative ai permessi per protezione speciale fondati sul parametro di cui all’art. 19 c. 1 ed 1.1. del d.lgs n. 286 del 1998.
11.1 Nel comma 9 è stabilito: “Nei procedimenti in corso, alla data di entrata in vigore del presente decreto, per i quali la commissione territoriale non ha accolto la domanda di protezione internazionale ed ha ritenuto sussistenti i gravi motivi di carattere umanitario allo straniero è rilasciato un permesso di soggiorno recante la dicitura “casi speciali” ai sensi del presente comma, della durata di due anni, convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo e subordinato. Alla scadenza del permesso di soggiorno di cui al presente comma, si applicano le disposizioni di cui al comma 8″. La disposizione regola, in forma esplicita, la sorte dei provvedimenti con i quali la Commissione territoriale abbia accertato la sussistenza dei presupposti per il permesso umanitario ed abbia emesso il provvedimento di trasmissione degli atti al questore ma il procedimento di rilascio (a carattere meramente vincolato) non sia temporalmente concluso. In questa peculiare ipotesi, il legislatore ha introdotto un’ulteriore categoria di permesso per “casi speciali” che tuttavia ha un contenuto ed una durata ben più ampi di quelli tipizzati con la nuova legge e può essere convertito in permesso di lavoro.
Non vi è una espressa disciplina legislativa di carattere intertemporale riguardante i giudizi in corso che seguano ad un accertamento positivo od ad un diniego delle Commissioni territoriali o espressamente rivolta ai procedimenti amministrativi in itinere alla data di entrata in vigore della nuova legge. L’unica regola inequivoca che si può cogliere dall’art. 1, comma 9, riguarda il segmento conclusivo dell’accertamento positivo del diritto che, anche ove accertato alla stregua del parametro legislativo applicabile prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, non può che assumere la denominazione ed il contenuto indicati nella norma non essendo più legislativamente previsto il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
12. E’ necessario, pertanto, stabilire, se la disposizione, oltre al contenuto prescrittivo espresso, possa contenere anche la regola dell’applicabilitá immediata della nuova disciplina legislativa ai giudizi ed ai procedimenti amministrativi in itinere. In questa lettura la previsione esplicita costituirebbe una deroga parziale all’applicazione immediata del nuovo assetto legislativo dei permessi di soggiorno.
13. Quest’ultima soluzione, tuttavia, contrasta con la natura giuridica della situazione giuridica soggettiva di cui il cittadino straniero ha richiesto l’accertamento e con i principi costantemente seguiti dalla giurisprudenza di legittimità, peraltro coerenti con le soluzioni prospettate dalla dottrina costituzionalistica, in relazione a fattispecie analoghe.
13.1. Il principio stabilito nell’art. 11 delle preleggi (“la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”) non gode di copertura costituzionale e, conseguentemente, può essere derogato dal legislatore nei limiti che verranno illustrati. La giurisprudenza di legittimità, con orientamento del tutto costante ne ha modulato l’ambito applicativo, anche in mancanza di una disciplina normativa puntuale, affermando: ” In tema di successione delle leggi nel tempo, il principio dell’irretroattività, fissato dall’art. 11 delle preleggi, comporta che la norma sopravvenuta è inapplicabile, oltre che ai rapporti giuridici esauriti, anche a quelli ancora in vita alla data della sua entrata in vigore, ove tale applicazione si traduca nel disconoscimento di effetti già verificatisi ad opera del pregresso fatto generatore del rapporto, ovvero in una modifica della disciplina giuridica del fatto stesso (ex multis Cass. 3845 del 2017). Il principio è stato ulteriormente precisato: “(…) la legge nuova può essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore (S.U. n. 2926 del 1967; 2433 del 2000; 14073 del 2002; Cass.16620 del 2013).
14. Alla luce del chiaro paradigma conformativo dell’operatività del principio d’irretroattività della legge sostanziale, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità si può affermare:
a) l’applicazione del principio non riguarda soltanto i cd. diritti quesiti (S.U. 5939 del 1991) ma anche le situazioni giuridiche soggettive sottoposte ad un procedimento di accertamento ove la nuova disciplina legislativa modifichi il fatto generatore del diritto o le sue conseguenze giuridiche attuali o future;
b) il principio esposto è una diretta conseguenza del parametro del cd. “fatto compiuto”, elaborato dalla dottrina costituzionalistica al fine dì evitare effetti pregiudizievoli sulla tutela di diritti, dettati dall’insorgenza di un nuova norma che ne limiti o comprima la titolarità, il contenuto e l’esercizio, in virtù di un paradigma diverso rispetto a quello applicabile al momento in cui se ne è chiesto l’accertamento, così da creare disparità ingiustificate ed irragionevoli di trattamento dovute esclusivamente ad un fattore, del tutto estrinseco ed accidentale quale la durata del procedimento di accertamento. La nuova legge, ove non si applicasse il principio sopra illustrato “finirebbe per sconvolgere le situazioni giuridiche sorte durante il periodo di vigenza della vecchia legge, solo perché non esaurite al momento dell’entrata in vigore della nuova (in quanto svolgentesi nell’ambito di un durata ancora in corso) e perché tuttora oggetto di accertamento giudiziale” (S.U, n. 5939 del 1991; 4327 del 1998; Cass. 2433 del 2000; 16395 del 2007; 3845 del 2017);
c) l’applicazione del paradigma sopraindicato al diritto soggettivo del cittadino straniero che ne ha richiesto l’accertamento nella vigenza dell’art. 5, c. 6 del d.lgs. n. 286 del 1998 e che non ha avuto una risposta definitiva all’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, è, alla luce dei canoni sopraindicati, agevole. La qualificazione giuridica del diritto sopra illustrata e la natura meramente ricognitiva del giudizio di accertamento cui esso è assoggettato nella fase amministrativa e giudiziale dell’esame dei presupposti, inducono univocamente a ritenere che la nuova disciplina legislativa incida direttamente sul fatto generatore del diritto e sui suoi effetti e conseguenze giuridiche così da non poter esse applicabile ai procedimenti in corso, come paradigma valutativo;
d) il diritto soggettivo, nella specie, è preesistente alla verifica delle condizioni cui la legge lo sottopone, mediante il procedimento amministrativo ed eventualmente giudiziale. Il risultato positivo o negativo dell’accertamento, dipende dal quadro allegativo e probatorio posto a base della domanda ma non incide sulla natura giuridica della situazione giuridica soggettiva azionata e sulla incontestata natura dichiarativa della verifica amministrativa e giudiziale. Il cittadino straniero (sulla base del complessivo paradigma legislativo anteriore all’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018) ha il diritto ad un titolo di soggiorno fondato su “seri motivi umanitari” desumibili dal quadro degli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dallo Stato, che sorge contestualmente ai verificarsi delle condizioni di vulnerabilità, delle quali ha richiesto l’accertamento con la domanda. La domanda, di conseguenza, cristallizza il paradigma legale sulla base del quale, per la richiamata qualificazione giuridica del diritto azionato e per la natura ricognitiva dell’accertamento statuale, deve essere scrutinato.
Non incide sull’esattezza di tale conclusione la previsione legislativa di cui all’art. 8, c. 3, d. Igs. n. 25 del 2008, che, imponendo la cosiddetta “valutazione all’attualità” dei fatti dedotti a fondamento della domanda, attiene alla disciplina degli oneri di allegazione della parte e dell’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice e, quindi, alle modalità di conformazione dell’istruttoria, ma non concerne la configurazione giuridica dei presupposti del diritto azionato.
15. Le indicazioni sopra illustrate, risultano, peraltro, coerenti con i principi elaborati dalla Corte Costituzionale in relazione alla disciplina del rapporto tra legge nuova e sistema preesistente. E’ stato affermato, a! riguardo che non è astrattamente vietata l’applicazione immediata di una nuova norma salvo che ciò non contrasti con interessi costituzionalmente protetti (Corte Cost. 41 del 2011; nella specie si trattava di norma autoqualificata d’interpretazione autentica, ma dalla Corte ritenuta di portata innovativa e irragionevolmente retroattiva) e non si ponga in contrasto “con principi costituzionali e di altri valori di civiltà giuridica tra i quali sono ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che si riflette nel divieto d’introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni riservate all’ordinamento giudiziario”(Corte Cost. n. 78 del 2012; 209 del 2010). La qualificazione giuridica del diritto all’accertamento dell’esistenza di seri motivi umanitari al fine di poter usufruire del corrispondente titolo di soggiorno che si è consolidata in virtù degli orientamenti soprarichiamati, attrae, indubitabilmente nell’alveo degli “interessi costituzionalmente protetti” la situazione giuridica soggettiva tutelata dall’art. 5, c. 6, del d.lgs. n. 286 del 1998.
16. Anche per il diritto dell’Unione Europea relativo al diritto del cittadino straniero agli status di protezione internazionale, l’accertamento amministrativo e giudiziale ha natura ricognitiva (Considerando n. 21 della Direttiva 2011/95/UE) e, di recente, la Corte di Giustizia (sentenza del 12 aprile 2018 causa C-559/16) ha ribadito tale principio con riferimento alla domanda di protezione internazionale proposta da un minore non accompagnato che intenda esercitare il diritto al ricongiungimento familiare e che si trovi a raggiungere la maggiore età in corso di giudizio. Ha affermato la Corte che la diversità dell’esito fondata esclusivamente sulla durata dell’accertamento del diritto, viola il principio della parità di trattamento e della certezza del diritto con la conseguenza che, attesa la natura ricognitiva dell’accertamento stesso, si deve considerare la posizione giuridica del richiedente al momento della proposizione della domanda, essendo la durata delle procedure dovuta a fattori del tutto indipendenti dalla volontà del richiedente stesso (carico di lavoro; complessità delle questioni; maggiore afflusso delle domande in una particolare contingenza politica). I principi esposti si pongono in consequenziale linea di coerenza con gli orientamenti sopra illustrati in tema di corretta applicazione del principio d’irretroattività, contenuto nell’art. 11 delle preleggi. Deve aggiungersi che il permesso di soggiorno sostenuto da ragioni di carattere umanitario costituisce parte integrante del sistema pluralistico di protezione internazionale, come ampiamente evidenziato (Cass. 10636 del 2012 e 16362 del 2016) e come risultante dalla norma (art. 32, c. 3, d.lgs. n. 25 del 2008, nella formulazione vigente fino all’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018) che ha introdotto nel procedimento di riconoscimento del diritto alla protezione internazionale, il potere – dovere delle Commissioni territoriali di accertare le ragioni di carattere umanitario che possano residuare al diniego delle protezioni cd. maggiori. Tale potere di accertamento, ancorché rimodulato, alla luce della significativa compressione delle ragioni umanitarie realizzata dal d.l. n. 113 del 2018, è rimasto in capo alle Commissioni, limitatamente ai requisiti contenuti nell’art. 19, c. 1 ed 1.1, d.lgs. n. 286 del 1998. Pertanto, l’accertamento del diritto al riconoscimento di un titolo di soggiorno per ragioni umanitarie, interferisce con il diritto dell’Unione Europea, potendo costituire parte integrante del sistema legislativo della protezione internazionale degli Stati membri. Ne consegue che i principi affermati dalla Corte dì Giustizia in relazione alla natura giuridica delle situazioni giuridiche soggettive riconducibili alla protezione internazionale e alle regole intertemporali che ne governano le procedure di accertamento, costituiscono un canone ermeneutico rilevante anche ai fini della corretta applicazione delle norme che si succedono all’interno dei singoli ordinamenti.
17. In conclusione, deve escludersi che dalle norme transitorie sopra illustrate possa desumersi il principio dell’applicabilità immediata alle procedure in itinere della nuova disciplina legislativa incentrata sull’eliminazione del diritto aIl’accertamento di un titolo di soggiorno sostenuto da ragioni umanitarie, (art. 5, c. 6, d.lgs. n. 286 del 1998).
18. L’art. 1, comma 9, contiene, tuttavia, una rilevante indicazione in relazione al provvedimento concretamente emesso dal questore. Al fine di determinare una condizione di rigorosa parità di trattamento di situazioni omogenee, deve ritenersi che anche nelle ipotesi in cui l’accertamento del diritto, al momento dell’entrata in vigore della nuova legge, sia in itinere, il provvedimento del questore, in caso di positivo accertamento delle condizioni di legge, dovrà avere il contenuto e la durata stabiliti dal comma 9. Così come nell’ipotesi prevista espressamente dalla disposizione richiamata, il paradigma legislativo sulla base del quale verrà accertata l’esistenza del diritto sarà quello delineato dall’art. 5, c. 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, trattandosi di situazioni giuridiche soggettive che, per le ragioni ampiamente svolte, non possono essere scrutinate alla luce di un fatto generatore mutato rispetto al momento in cui è stato chiesto l’accertamento del diritto. Il titolo di soggiorno rilasciato dal Questore, tuttavia, sarà conformato al paradigma contenuto nel comma 9, dell’art. 1, del d.l. n. 113 del 2018. La disposizione regola le modalità esecutive del diritto (ove) positivamente accertato dalle commissioni territoriali o in sede giudiziale e, conseguentemente, entro questi limiti trova immediata applicazione.
Deve infatti tenersi conto che, necessitando il rilascio del permesso di soggiorno dì una conseguente e necessaria fase attuativa successiva al provvedimento della commissione territoriale o a quello emesso in sede giudiziale, la stessa non può che esplicarsi sulla base della nuova normativa vigente, che non riconosce più per il futuro, dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, il rilascio di un permesso umanitario disciplinato, quanto a contenuto e durata, dall’art. 5 c. 6 del d.lgs. n. 286 del 1998 e dal relativo regolamento di attuazione (art. 28, c.2, lettera d), d.p.r. n. 394 del 1999).
E’ lo stesso legislatore che, nel prevedere la disciplina dell’art. 1 c. 9 del d.l. n. 113 del 2018, limitatamente alla conformazione del provvedimento dei questore, ha indicato un principio di diritto intertemporale che, indipendentemente dalla portata letterale della disposizione, non può non essere applicato a tutte le situazioni soggettive omogenee, secondo una interpretazione sistematica che ne assicuri la tutela in termini di sostanziale parità.
19. Deve essere, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: <<La normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dall’art. 5, c. 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione.
Tuttavia in tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura “casi speciali” e soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, c.9, di detto decreto legge>>.
20. Stabilito il parametro legislativo alla luce del quale va esaminato il quarto motivo di ricorso, deve rilevarsi che esso non può trovare accoglimento. Nel provvedimento impugnato si rinviene una motivazione del rigetto della domanda sintetica ma non apodittica, come affermato nella censura. Il Tribunale di Napoli ha escluso l’esistenza di condizioni di vulnerabilità, legate a fattori soggettivi, specificamente indicate, o desumibili dalle condizioni politico-sociali del paese di origine le quali peraltro sono state oggetto di puntuale esame nella valutazione della domanda riguardante la protezione sussidiaria. La valutazione della domanda è stata svolta in modo autonomo, tenendo conto dei riscontri complessivamente acquisiti al processo, dei fatti allegati, e delle informazioni officiosamente assunte. Non si riscontra, pertanto, neanche il deficit di approfondimento istruttorio, indicato nella censura, essendo il rigetto della domanda fondato su di un accertamento positivamente svolto e non sulla mancanza di elementi di fatto acquisibili officiosamente.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato.
In mancanza della difesa della parte intimata non si deve provvedere in ordine alle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater, del d.lgs n. 115 del 2002.