CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 febbraio 2020, n. 4196
Rideterminazione della pensione di anzianità – Termine di decadenza triennale ex art. 47 D.P.R. n. 639/1970 – Azioni giudiziarie volte ad ottenere la riliquidazione di una prestazione pensionistica parzialmente riconosciuta – Giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell’art. 38, co. 4, del D.L. n. 98/2011
Fatti di causa
1. Con sentenza del 16 gennaio 2014 numero 4551/2013, la Corte d’appello di Lecce, in riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi, respingeva la domanda proposta da S.C.S., nei confronti dell’Inps, per l’accertamento del diritto alla rideterminazione della pensione di anzianità di cui fruiva in ragione dell’accredito di contribuzione, relativa al periodo 10 marzo 1997 – 20 giugno 2000, su retribuzioni pari a quelle denunciate ed ammesse al passivo del fallimento dell’azienda presso la quale aveva lavorato.
La ricorrente aveva precisato di aver proposto istanza amministrativa in data 10 aprile 2002 per cui chiedeva il pagamento delle differenze dovutele a decorrere dal 121° giorno successivo alla presentazione della domanda.
2. A fondamento della decisione, la Corte territoriale osservava essere maturata la decadenza di cui all’art. 47 d.p.r. n. 639/1970 come successivamente modificato, posto che la domanda giudiziale di rideterminazione della pensione risaliva il 13 ottobre 2004, mentre la pensione aveva avuto decorrenza dall’aprile 2001; pertanto, risultava decorso il termine di decadenza triennale di cui all’articolo 47 d.p.r. 639/1970.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso C.S.S., articolato in tre motivi, cui non ha opposto difese I’ INPS, limitatosi a depositare procura speciale.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce omesso esame di un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma n. 5 c.p.c.), in relazione alla circostanza che <fatto decisivo> sarebbe il verificarsi o meno della decadenza e che tale fatto era stato senza dubbio discusso tra le parti, posto che aveva formato oggetto del motivo d’appello proposto dall’INPS. In particolare, la ricorrente deduce di aver esposto già in fase d’appello, iniziata prima che Corte Cost. n. 69 del 2014 dichiarasse l’incostituzionalità dell’art. 38, comma 1, lett. d), d.l. n. 98 del 2011 con. in l. n. 111 del 2011 con riferimento all’applicazione della decadenza alle azioni giudiziarie relative all’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte ai giudizi pendenti in primo grado, l’erroneità della tesi che individuava il dies a quo del termine di decadenza dalla data di decorrenza della pensione senza considerare che la pensione era stata richiesta in data 31 marzo 2001 e, da tale data, andavano calcolati i 300 giorni per la formazione del silenzio rifiuto dal cui decorso avrebbe avuto inizio quello triennale di decadenza.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970 come modificato dall’art. 38, comma 1 lett. d), d.l. n. 98 del 2011 (successivamente dichiarato incostituzionale nella parte in cui se ne prevedeva l’applicazione ai giudizi pendenti in primo grado alla data di pubblicazione del decreto legge). Espone la ricorrente che la detta novella non è, comunque, applicabile alla fattispecie concreta, oltre che in ragione della pronuncia della Corte Costituzionale n. 69 del 2014, anche per la ulteriore ragione della impossibilità di ravvisare il dies a quo del termine di decadenza da epoca anteriore al momento della liquidazione della prestazione erogata in modo parziale, per l’impossibilità di avere contezza di eventuali errori o omissioni commessi dall’Istituto erogante. Ciò è reso evidente dal disposto testuale del citato articolo 47 DPR n. 639 del 1970 come modificato dall’art. 38 d.l. n. 98 del 2011 cit. che indica quale dies a quo per il calcolo del termine di decadenza il momento in cui si ottiene il riconoscimento parziale della prestazione ovvero il pagamento della sorte. Nel caso di specie, è accaduto che il 17 settembre 2002 (come riferito dal modello TE/08 riportato in ricorso) la pensione è stata liquidata per cui al momento di deposito del ricorso giudiziario (13 ottobre 2004) non erano decorsi i tre anni e 300 giorni previsti a pena di decadenza per l’esercizio dell’azione.
3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione e o falsa applicazione dell’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970 nella formulazione precedente alle modifiche introdotte con l’art. 38 d.l. n. 98 del 2011, in relazione alla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione espressa da SS.UU. nn. 12718 e 12720 del 2009, secondo cui alla disciplina dell’adeguamento del trattamento pensionistico non si applica la decadenza triennale ma il solo termine decennale di prescrizione.
4. Vanno, preliminarmente e congiuntamente, esaminati il secondo ed il terzo motivo di ricorso, in quanto connessi e relativi alla individuazione della disciplina applicabile alla concreta fattispecie. I motivi sono fondati e vanno accolti.
5. E’ pacifico che nel caso in esame si discute di ricalcolo di un trattamento di pensione già riconosciuto; in relazione a tale ricalcolo, la Corte territoriale ha ritenuto di dover applicare la nuova disciplina di cui all’art. 38 del D.L. n. 98 del 2011 (che ha modificato l’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970) ritenendo che la stessa avesse inciso sul principio affermato da questa Corte a sezioni unite della sentenza n. 12720 del 29/5/2009 la quale aveva statuito che: “La decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate intercettazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria Prescrizione decennale“).
6. I rilievi della ricorrente sono incentrati sulla considerazione che una decadenza non sarebbe ipotizzabile a fronte della disposizione di cui al citato art. 38 il quale ha stabilito che il termine di decadenza inizia a decorrere dal riconoscimento parziale della prestazione.
7. Questa Corte ha già affermato che in tema di decadenza delle azioni giudiziarie volte ad ottenere la riliquidazione di una prestazione pensionistica parzialmente riconosciuta, la novella dell’art. 38, comma 1, lett. d), del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge 15 luglio 2011, n. 111 – che prevede l’applicazione del termine decadenziale di cui all’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 anche alle azioni aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito – detta una disciplina innovativa che, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 69 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del predetto d.l. n. 98 del 2011, non trova applicazione ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, per i quali vale il generale principio dell’inapplicabilità del termine decadenziale (cfr. Cass. 21 gennaio n. 2015, n. 1071; 19 giugno 2013, n. 15375; Cass. 8 maggio 2012, n. 6959; Cass. n. 31389 del 2019).
8. Nella specie, trattandosi di un ricorso depositato in primo grado in data 13/10/2004, non era applicabile la normativa invocata dall’Istituto ricorrente ma la disciplina previgente nell’interpretazione data dalla citata decisione di questa Corte a SS.UU. n. 12720/2009 (nella quale era stato anche precisato che: “il D.L. n. 103 dd 1991, art. 6, può trovare applicazione non nelle fattispecie in cui si richieda – come nel caso di specie – il ricalcolo di una prestazione pensionistica, già in precedenza riconosciuta e di cui si domanda la rideterminazione, ma nella diversa ipotesi di mancato o omesso riconoscimento proprio del diritto a detta prestazione, avendo il legislatore con la norma scrutinata inteso evidenziare come a fronte di un diritto non soggetto a prescrizione né suscettibile di essere vanificato attraverso l’istituto della decadenza – come avviene per il diritto ad ottenere la pensione in presenza dei presupposti richiesti per legge – i singoli ratei invece sono sottoposti ad una diversa disciplina per essere assoggettati a propri termini di decadenza sì da potere essere rivendicati con una decorrenza mobile in relazione al tempo della domanda giudiziaria“).
9. Accolti il secondo ed il terzo motivo, resta assorbito il primo che propone un vizio di motivazione il cui esame è divenuto inutile in ragione dell’accoglimento dei motivi relativi alla violazione di legge.
10. La sentenza impugnata va, dunque, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bari che provvederà ad esaminare la domanda proposta dalla ricorrente, oltre che a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata quanto ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Bari cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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