CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 maggio 2018, n. 12438
Licenziamento – Per giustificato motivo soggettivo – Contestazione disciplinare – Tempestività – Grave inadempimento agli obblighi contrattuali
Fatto
Con sentenza 13 gennaio 2016, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da P. A. De S. e, in via incidentale, anche da Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto le domande del primo di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli per giusta causa, con lettera del 19 gennaio 2010, dalla datrice e di sue condanne ripristinatoria nel posto di lavoro e risarcitoria, ma, in accoglimento della domanda subordinata del ricorrente, qualificato il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e condannato la medesima al pagamento, in favore del lavoratore a titolo di indennità di mancato preavviso, della somma di € 10.199,00, oltre accessori di legge.
A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva tempestiva la contestazione disciplinare (con lettera del 7 gennaio 2010 per avere il lavoratore, in qualità di venditore addetto al settore di “vendita diretta”, favorito la conclusione di contratti di vendita irregolari nel periodo da giugno 2008 a luglio 2009 con cinque società clienti, comportanti un danno complessivo alla datrice superiore a € 5 milioni), per la congruità, in ragione della complessa organizzazione aziendale e della ricostruzione dei fatti nell’arco temporale suindicato, della durata di circa quattro mesi della fase istruttoria del procedimento disciplinare.
Essa ravvisava altresì la legittimità del licenziamento intimato, anche se non per giusta causa, bensì per giustificato motivo soggettivo, in riferimento al tenore della contestazione e alla prova acquisita di un comportamento (non già preclusivo della prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto di lavoro tra le parti, quanto piuttosto) di grave inadempimento agli obblighi contrattuali e segnatamente delle direttive aziendali ricevute sulle procedure di vendita, con particolare riguardo alla previa verifica di solvibilità delle società acquirenti inadempienti.
Con atto notificato il 13 luglio 2016, il lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, cui resisteva la società datrice con controricorso contenente ricorso
incidentale con unico motivo, cui il primo replicava con controricorso; la società comunicava altresì memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 I. 300/1970, 1375 c.c., per inosservanza del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, attesa l’incongruità della durata (circa quattro mesi dalla denuncia anonima di irregolarità alla sua formulazione con lettera del 7 gennaio 2010) stimata adeguata dalla Corte territoriale, in relazione alla complessità dell’organizzazione aziendale datoriale ed alla ricostruzione dei fatti nell’arco temporale da giugno 2008 a luglio 2009, al cospetto della “palmare evidenza” degli abusi ed irregolarità contestati, secondo la stessa memoria difensiva in appello di Telecom Italia s.p.a.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per violazione del giudicato implicito formatosi tra le parti, in virtù della sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 1221/2013 (di rigetto dell’appello di Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Pescara n. 1180/2012, che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento di tale Falzarano, superiore gerarchico dell’odierno ricorrente, dal predetto chiamato in causa, insieme con altri sottoposti, per esserne manlevato, in riferimento a contratti irregolarmente stipulati e gestiti oggetto anche dell’odierno giudizio), sulla prassi aziendale (inerente la validazione del credito e le garanzie richieste dalla società datrice) applicata ai lavoratori in deroga delle disposizioni scritte, a base della contestazione formulata e del licenziamento intimato al medesimo ricorrente e pertanto premessa necessaria della decisione della controversia in esame.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 2697 c.c. e 48 CCNL per le imprese esercenti servizi di telecomunicazione, per mancanza di prova della gravità dell’inadempimento, alla luce dell’irrilevanza dei fatti contestati e delle risultanze istruttorie, in assenza pure di proporzionalità tra gli addebiti e la sanzione espulsiva comminata, in difetto di un danno correlabile eziologicamente ad essi.
4. Con unico motivo, la società controricorrente a propria volta deduce, in via di ricorso incidentale, violazione dell’art. 2119 c.c. e falsa applicazione dell’art. 3 I. 604/1966, per un non corretto apprezzamento della gravità delle infrazioni contestate, integranti giusta causa e non giustificato motivo soggettivo.
5. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 7 I. 300/1970, 1375 c.c., per inosservanza del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, è inammissibile.
5.1. Secondo principio di diritto consolidato presso questa Corte, meritevole di continuità per convinta adesione, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa, fermo restando che la valutazione delle suddette circostanze è riservata al giudice del merito (Cass. 1 luglio 2010, n. 15649; Cass. 10 settembre 2013, n. 20719; Cass. 12 gennaio 2016, n. 281).
5.2. Qualora pertanto, come nel caso di specie (per le ragioni esposte sub p.to 5 di pg. 4 della sentenza), la Corte territoriale abbia accertato il rispetto del principio di immediatezza della contestazione, a tutela del diritto di difesa del lavoratore (art. 7 I. 300/1970), secondo la sua corretta applicazione in senso conforme al richiamato insegnamento giurisprudenziale, una tale valutazione è insindacabile in sede di legittimità.
6. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per violazione del giudicato implicito tra le parti (Corte d’appello di L’Aquila n. 1221/2013) sulla prassi aziendale applicata ai lavoratori in deroga delle disposizioni scritte, a base della contestazione formulata e del licenziamento intimato al lavoratore, è infondato.
6.1. In proposito è noto come il giudicato sia individuato dalla sequenza norma, fatto ed effetto (Cass. 4 febbraio 2016, n. 2217; Cass. 16 maggio 2017, n. 12202) e la sua formazione postuli un accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso: e pertanto su ciò che abbia costituito oggetto della decisione, ricomprendendosi in esso anche gii accertamenti di fatto che abbiano rappresentato le premesse necessarie ed il fondamento logico-giuridico per l’emanazione della pronuncia, precludendo l’esame di quegli stessi elementi in un successivo giudizio quando l’azione ivi proposta abbia identici elementi costitutivi (Cass. 20 aprile 2017, n. 9954), estendendosi anche a tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscano precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (Cass. 23 febbraio 2016, n. 3468). Ne risulta pertanto chiaro l’oggetto, ossia l’accertamento di una situazione giuridica ovvero di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune a cause relative al medesimo rapporto giuridico (Cass. 12 aprile 2010, n. 8650; Cass. 9 dicembre 2016, n. 25269).
6.2. Ma ciò non si verifica nel caso di specie, nel quale il giudicato viene invocato, non già in riferimento all’accertamento di un fatto avente le suindicate caratteristiche, ma in merito alla valutazione di circostanze (quale appunto in particolare la derogabilità o meno di una prassi aziendale), che, apprezzate insieme con altri elementi probatori, integrano il ragionamento argomentativo alla base del processo decisionale, senza alcun vincolo preclusivo nei diversi giudizi. E per tale ragione deve esserne esclusa la formazione, infondatamente dedotta.
7. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 2697 c.c. e 48 CCNL per le imprese di telecomunicazione per mancanza di prova della gravità dell’inadempimento, è inammissibile.
7.1. Oltre che per l’evidente mancanza dei suoi appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984), la violazione denunciata non sussiste.
7.2. Essa non ricorre in relazione all’art. 2697 c.c., posto che la norma riguarda l’attribuzione dell’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche l’errore del giudice nel ritenere, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, che la parte onerata abbia assolto tale onere. In questo caso, infatti, vi è soltanto un erroneo apprezzamento dell’esito della prova, eventualmente sindacabile in séde di legittimità solo per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 5 dicembre 2006, n. 19064; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107), per giunta nei più circoscritti limiti devolutivi introdotti dal suo testo novellato (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), applicabile ratione temporis.
Peraltro, nel caso di specie esso neppure ricorre, per la congrua ed esauriente argomentazione della Corte in merito (per le ragioni esposte al p.to 6 a pgg. 4 e 5 della sentenza).
7.3. Ma neppure si configura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (nel che, per le ragioni dette, si risolve nella sostanza il motivo scrutinato), ma soltanto allorché si alleghi che il giudice medesimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 12 aprile 2017, n. 9356).
7.4. Sicché, in via conclusiva, il mezzo consiste nella sostanziale contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti detti (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), eccedenti per le ragioni illustrate il caso di specie.
8. L’unico motivo incidentale, relativo a violazione dell’art. 2119 c.c. e falsa applicazione dell’art. 3 I. 604/1966, per un non corretto apprezzamento della gravità delle infrazioni contestate, è infine inammissibile.
8.1. La censura non attinge la correttezza della sussunzione della fattispecie nel precetto normativo operata dal giudice di merito, secondo (con più specifico riguardo alla ricorrenza della giusta causa) gli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 24 marzo 2015, n. 5878; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095), avendo la Corte territoriale correttamente applicato (per richiamo al p.to 7, dall’ultimo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 6 della sentenza) i principi regolanti la materia.
8.2. Essa riguarda piuttosto l’accertamento in concreto della gravità e della proporzionalità della sanzione comminata. Ma, da una parte, la Corte territoriale ha correttamente qualificato il tipo di licenziamento disciplinare, posto che le gravi violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro integrano una valida ragione di intimazione del recesso del datore di lavoro per giustificato motivo soggettivo, ai sensi dell’art. 3 I. 604/1966: essi stanno, infatti, alla base della stessa esistenza del rapporto, nella modulazione dei doveri imposti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., in particolare derivanti dalle direttive aziendali: Cass. 8 giugno 2001, n. 7819). Dall’altra parte, un tale accertamento spetta in via esclusiva al giudice di merito (Cass. 10 dicembre 2007, n. 25743; Cass. 22 marzo 2010, n. 6848; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280) e ad esso la Corte capitolina ha provveduto dandone argomentato e puntuale conto (per le ragioni esposte al p.to 7 a pg. 7, anche in riferimento al secondo e terzo capoverso di pg. 5, in fine del p.to 6 della sentenza).
Sicché, esso è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), tanto più nel regime di applicabilità, ratione temporis, del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., preclusivo nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
9. Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilità dell’incidentale, con la compensazione integrale delle spese tra le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale; compensa interamente le spese del giudizio tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma I quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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