CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 maggio 2018, n. 12558
Licenziamento – Assenza ingiustificata – Contestazione disciplinare – Impugnazione – Termine di decadenza
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 478/2016 la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia n. 508/2012 emessa dal Tribunale di Avellino, ha respinto le domande formulate da M.T., nei confronti della SI.DI.GAS (…) spa, volte ad ottenere l’illegittimità del licenziamento irrogatole in data 13.11.2008 (con nota ricevuta il 18.11.2008) per assenza ingiustificata a decorrere dal 31.8.2007.
2. A fondamento della decisione i giudici di secondo grado hanno rilevato che: 1) l’eccezione preliminare di decadenza ex art. 32 legge n. 183/2010 era infondata tenuto conto che il licenziamento era stato irrogato prima dell’entrata in vigore della legge n. 183/2010; 2) non era ravvisabile alcuna condotta concludente ai fini di ritenere una risoluzione del rapporto per mutuo consenso; 3) l’avere agito in sede monitoria per il recupero del TFR, con riserva di agire in separata sede per l’impugnativa del licenziamento, non determinava alcun giudicato sull’avvenuta risoluzione del rapporto; 4) la contestazione disciplinare non era tardiva, non essendo collegabile il tempo nelle more trascorso ad un comportamento in malafede della parte datoriale né avendo esso determinato una lesione del diritto di difesa della lavoratrice; 5) sussisteva il fatto contestato e la sanzione era proporzionata alla condotta posta in essere, idonea a ledere il vincolo fiduciario.
3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione M.T. affidato a tre motivi.
4. La SI.DI.GAS. spa ha resistito con controricorso formulando ricorso incidentale sulla base di due motivi cui ha a sua volta resistito con controricorso M.T.
5. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale M.T. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, dello Statuto dei lavoratori in relazione all’art. 360 n. 3 cpc nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 cpc, per avere la Corte di merito ritenuto irrilevante la mancata affissione del codice disciplinare (circostanza solo genericamente contestata dal datore di lavoro che però non aveva provato niente al riguardo) pur trattandosi di un licenziamento intimato ai sensi di una precisa disposizione contrattuale (art. 21 del CCNL di settore).
2. Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, l’omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 cpc nonché la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale ritenuto tempestiva la contestazione di addebito sebbene la stessa, in relazione ad una fattispecie (assenza ingiustificata) immediatamente apprezzabile senza alcuna necessità di particolari accertamenti o indagini conoscitive, fosse intervenuta a distanza di ben 14 mesi dal fatto contestato e, in violazione dell’art. 2119 cc, per avere ritenuto la ricorrenza della giusta causa, che per definizione non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, nonostante il lasso di tempo lasciato trascorrere dall’azienda tra il fatto posto a base del licenziamento e l’adozione di quest’ultimo.
3. Con il terzo motivo la ricorrente principale lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, nonché l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 cpc, per avere la Corte distrettuale ritenuto proporzionata la sanzione del licenziamento e sussistente la giusta causa omettendo, peraltro, la valutazione di tutti quegli elementi (intensità dell’elemento intenzionale, grado di affidamento richiesto dalle mansioni, precedenti modalità di attuazione del rapporto, durata dello stesso, assenza di pregresse sanzioni) il cui esame era invece indispensabile al fine di stabilire la congruità della sanzione espulsiva.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società si duole della violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, dell’art. 6, 1° e 2° comma legge n. 604/1966, così come modificato dall’art. 32 della legge n. 183/2010, per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che il regime decadenziale introdotto dalla citata legge n. 183/2010 non fosse applicabile ai licenziamenti intimati anteriormente al 31.12.2011, individuando, nella data di ricezione del provvedimento di licenziamento, da parte del lavoratore, il momento di perfezionamento del recesso dal quale far dipendere la normativa applicabile in tema di decadenza.
5. Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, dell’art. 2909 cc, per non avere i giudici di secondo grado accolto l’eccezione di giudicato sull’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro, tempestivamente sollevata, costituita dal decreto ingiuntivo relativo al trattamento di fine rapporto.
6. Preliminarmente, per questioni di pregiudizialità logicogiuridica, deve essere esaminato il primo motivo del ricorso incidentale presentato dalla Società.
7. Va evidenziato che in modo corretto, a parere del Collegio, la questione sulla applicazione al caso di specie dei termini di cui all’art. 6, 1° e 2° comma, legge n. 604/1966, così come modificato dall’art. 32 della legge n. 183/2010, anche ai licenziamenti intimati prima della entrata in vigore della suddetta legge, è stata posta nelle forme del ricorso incidentale.
8. Infatti, se è vero che la parte vittoriosa in appello non ha l’onere di proporre ricorso incidentale per fare valere in sede di legittimità le domande e le eccezioni non accolte dal giudice di merito, ma solo di quelle rispetto alle quali siano pregiudiziali o preliminari o alternative le questioni sollevate con il ricorso principale, in quanto l’accoglimento di quest’ultimo ricorso, ancorché in mancanza di una norma analoga a quella di cui all’art. 346 cpc, comporta la possibilità che tali domande siano riproposte nel giudizio di rinvio (Cass. 25.5.2010 n. 12728; Cass. n. 5.1.2017 n. 134), tuttavia, nel caso in esame, in ordine alla citata questione vi è stata una pronuncia espressa del giudice di appello che l’ha respinta; la società, in ordine alla stessa è virtualmente soccombente e ha, quindi, un interesse concreto ed attuale ad ottenere una pronuncia di rigetto della originaria domanda per l’accoglimento dell’eccezione decadenziale, onde evitare sia il formarsi di un giudicato su tale punto che precluderebbe la riproposizione della questione sia il verificarsi di una presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo di acquiescenza.
9. E ciò perché l’eccezione ed il suo rigetto, secondo quanto affermato da questa Corte sia pure in una fattispecie parzialmente diversa (Cass. Sez. Un. 12.5.2017 n. 11799), sono entrate nel tessuto motivazionale della sentenza, acquistando rilevanza proprio perché oggetto concreto della decisione, con conseguente necessità di proporre una critica articolata alla decisione per il tramite del ricorso incidentale.
10. Ciò posto, l’ultimo problema ostativo all’esame del motivo della società potrebbe essere quello della sua subordinazione all’eventuale accoglimento del ricorso principale, non prospettandosi una questione di giurisdizione (cfr. Cass. 10.6.2008 n. 15362).
11. Ma, anche a tale proposito, soccorre il principio della cd. “ragione più liquida” (cfr. Cass. Sez. Un. 18.11.2015 n. 23542), traducendosi, per quanto appresso si dirà, l’esame del ricorso principale in una attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e potenzialmente lesiva del principio della ragionevole durata del processo.
12. Orbene, il primo motivo del ricorso incidentale è fondato.
13. Questa Corte (Cass. 4.7.2016 n. 13598, Cass. n. 24258/2016) ha affermato che il termine decadenziale di duecentosettanta giorni, di cui all’art. 6, comma 1, legge n. 604 del 1966, come modificato dall’art. della legge n. 183 del 2010, si applica anche ai licenziamenti intimati prima dell’entrata in vigore della legge n. 183/2010, che non ha posto delimitazioni temporali – ad eccezione di quanto disposto al comma 1 bis dell’art. 32 – per l’applicazione del nuovo regime di impugnativa del licenziamento, e non ha, inoltre, portata retroattiva, in quanto disciplina “status”, situazioni e rapporti che, pur derivando da un pregresso fatto generatore, ne sono ontologicamente distinti e, quindi, suscettibili di nuova regolamentazione mediante esercizio di poteri e facoltà non consumati nella precedente disciplina; né l’introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia “ex nunc” determina violazione dell’art. 24 Cost., dell’art. 47 della carta dei diritti fondamentali della UE e degli artt. 6 e 13 CEDU, perché quantitativamente congruo per la conoscibilità della nuova disciplina, attesa anche la proroga disposta “in sede di prima applicazione” dal citato comma 1 bis.
14. Ne consegue che ai licenziamenti individuali, intimati ed impugnati prima del 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore della legge n. 183/2010) è applicabile il termine di decadenza sostanziale connesso al deposito del ricorso giudiziario, ma solo con decorrenza dal 1° gennaio 2012, risultando tale disciplina, come integrata dal DL. n. 225 del 2010, conv. con modific. dalla legge n. 10 del 2011, conforme al principio di eguaglianza e di ragionevolezza.
15. Nella fattispecie in esame la dipendente ha impugnato il licenziamento, intimatole il 13.11.2008, con raccomandata del 29.12.2008, mentre ha poi depositato il ricorso solo in data 4.9.2013, palesemente oltre il termine di decadenza di cui all’art. 6 legge n. 604/1966, come modificato dall’art. 32 legge n. 183/2010 decorrente appunto dall’1.1.2012.
16. La Corte di merito, nel rigettare invece l’eccezione riproposta in appello, non si è attenuta a tali principi incorrendo, pertanto, nella denunziata violazione di legge.
17. L’accoglimento di tale censura rende superflua la trattazione del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale.
18. Ne consegue che la gravata sentenza deve essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda formulata in prime cure da T.M. per intervenuta decadenza in ordine alla possibilità di impugnare il licenziamento.
19. Quanto alle spese di lite, l’andamento processuale induce a confermare le statuizioni adottate al riguardo dai giudici del merito. Quelle del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
20. Nulla va disposto ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR n. 115/2002 essendo stato dichiarato assorbito l’esame del ricorso principale e non, invece, rigettato integralmente ovvero dichiarato inammissibile o improcedibile.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo ed il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande formulate in prime cure da T.M.. Conferma le statuizioni sulle spese dei giudici di merito e condanna T.M. al pagamento, in favore della SI.DI.GAS – (…) spa, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
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