CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2018, n. 30281
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Natura disciplinare del recesso – Accertamento
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 23 dicembre 2016, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto le domande proposte da G.G. nei confronti della B. Spa volte a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato in data 19 aprile 2011 per giustificato motivo oggettivo, la condanna della datrice di lavoro al pagamento di differenze retributive per le mansioni superiori di Quadro asseritamente svolte nonché il rimborso del pagamento di biglietti aerei.
La Corte territoriale ha ritenuto innanzitutto che il licenziamento era stato intimato nella sussistenza di un giustificato motivo oggettivo rappresentato dalla guerra civile scoppiata in Libia che aveva determinato “la chiusura di tutti gli impianti” della B., anche quello ove operava l’ing. G., mentre non ricorreva la natura disciplinare prospettata dal ricorrente.
Ha confermato la valutazione delle risultanze istruttorie già effettuata dal primo giudice circa il mancato espletamento di mansioni superiori, anche “alla luce delle declaratorie contrattuali del livello di inquadramento e della qualifica rivendicata”.
Infine, in merito al motivo di appello concernente il “rimborso delle spese sostenute per l’acquisto del biglietto aereo del 23 settembre 2010”, la Corte lo ha disatteso argomentando che il contratto individuale intercorso tra le parti prevedeva il diritto ad un “biglietto aereo in classe turistica da o per l’aeroporto più vicino all’abituale luogo di residenza” (nella specie Pavia) mentre il luogo di destinazione del biglietto in questione era Malta.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il G. con 4 motivi, cui ha resistito la B. Spa con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo del ricorso denuncia “violazione o falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 300/1970”, sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, “dalla lettera di licenziamento emerge con chiarezza come la vera causa dello stesso sia di natura disciplinare e concerna il rifiuto da parte del ricorrente di accettare la proposta formulata dall’azienda in data 14.3.2011”.
Con il secondo mezzo si denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto riferita all’art. 3 l. n. 604/1966 in relazione all’obbligo di ripescaggio”, criticando la sentenza impugnata per avere ritenuto che la proposta del 14 marzo 2011 non costituisse, come prospettato dal G., “la proposta di nuovo contratto fra le parti, bensì semplicemente una proposta di prosecuzione del rapporto di lavoro con trasferimento al Ruolo Italia alla luce dell’impossibilità di mantenere il lavoratore nel Ruolo Estero Libia in cui era stato assunto e con il mantenimento dell’inquadramento nel settimo livello nonché nel rispetto del contenuto delle mansioni svolte dal lavoratore”.
I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto investono il capo di sentenza relativo all’impugnativa di licenziamento e sono inammissibili.
Entrambi, infatti, nonostante l’invocazione solo formale dell’errore di diritto di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., nella sostanza tendono a provocare una diversa valutazione della vicenda storica rispetto a quella effettuata dai giudici cui spetta la competenza esclusiva sul merito; si insiste, infatti, nella tesi secondo cui il licenziamento sarebbe stato determinato dal motivo disciplinare rappresentato dal rifiuto di aderire alla proposta del 14 marzo 2011, mentre la Corte, anche attraverso l’interpretazione della lettera di licenziamento, è giunta a diversa conclusione, ravvisando la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento rappresentato dalla chiusura degli impianti per la crisi libica.
Si tratta di un accertamento, che attiene tipicamente ad una quaestio facti, certamente sottratto al sindacato di legittimità, tanto più nel vigore dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. novellato, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, di cui parte istante non tiene alcun conto.
2. Parimenti inammissibile il terzo motivo, con cui si denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in relazione alle risultanze istruttorie concernenti le mansioni realmente svolte dal ricorrente”.
La stessa formulazione del motivo con il riferimento alle risultanze istruttorie rende palese come il ricorrente, anche attraverso il riferimento a deposizioni testimoniali estesamente riprodotte, critichi la valutazione del materiale probatorio che ha indotto entrambi i gradi di merito ad escludere che il G. abbia in concreto svolto le mansioni di Quadro.
Non di errore di diritto si tratta, bensì di diversa ricostruzione dei fatti inibita a questa Corte, anche perché, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, rispetto ad un appello promosso come nella specie dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), opera la preclusione per il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014).
3. Con l’ultimo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 4 contratto di lavoro in relazione al rimborso del biglietto aereo del settembre 2010”; si lamenta che il G. aveva richiesto il rimborso del biglietto relativo alla tratta Tripoli-Malta-Milano e non, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, della tratta Tripoli-Malta.
La censura è palesemente inammissibile perché denuncia la violazione e la falsa applicazione di una disposizione di un contratto individuale e non un errore di diritto concernente una norma di legge o di contratto collettivo nazionale, per cui esorbita dal catalogo dei vizi denunciabili in cassazione ex art. 360 c.p.c.
4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettario al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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