CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 maggio 2018, n. 12805
Licenziamento disciplinare – Processo logico seguito dai giudici merito – Accertamento del fatto, verifica che l’infrazione fosse astrattamente assumibile come giusta causa o giustificato motivo soggettivo, apprezzamento in concreto della gravità dell’addebito – Irrimediabile lesione del vincolo fiduciario tra le parti – Rilievo alla qualità e all’importanza delle mansioni proprie del lavoratore
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza nr. 347 del 2016, respingeva il reclamo proposto ai sensi della legge nr. 92 del 2012, art. 1, comma 58, avverso la sentenza del Tribunale di Lecce che, giudicando sull’impugnativa del licenziamento intimato in data 21.10.2014 dall’Istituto di vigilanza L.F. s.r.l. aveva respinto la domanda di S.D.I..
Per quel che rileva in questa sede, la Corte territoriale, premesse le contestazioni riportate nella lettera di recesso, osservava come già solo la condotta addebitata con la prima delle contestazioni (e consistente nel non avere il lavoratore informato il collega del turno di notte sulla necessità di operare un particolare controllo di un impianto fotovoltaico il cui sistema di allarme era stato parzialmente disinserito per un guasto e, durante la notte, ivi era stato perpetrato un furto) integrasse la fattispecie della giusta causa di licenziamento; le peculiarità che contraddistinguevano il servizio presso la centrale operativa (cui era addetto il lavoratore), il ruolo di coordinamento assegnato al dipendente, le ricadute negative che l’accaduto aveva avuto sull’immagine della società (tanto che alla vicenda era seguita la “sottrazione del bene vigilato”) avevano leso il vincolo fiduciario in quanto posto in dubbio la futura correttezza dell’adempimento.
A tali considerazioni che la Corte di merito riteneva sufficienti ai fini del giudizio di giusta causa, aggiungeva, poi, l’imputabilità al dipendente degli altri episodi indicati nella lettera di addebito.
La Corte territoriale escludeva, inoltre, qualsiasi violazione procedurale e la necessità della prova testimoniale; in merito al primo profilo, osservava che non vi era stata l’audizione del lavoratore in quanto lo stesso non si era presentato nei giorni e nelle ore indicate dalla parte datoriale con lettera del 17.9.2014; quanto alla prova orale, la reputava inutile, in considerazione della sostanziale ammissione di parte degli addebiti, del rispetto del procedimento dettato dall’art. 7 della legge nr. 300 del 1970 e della conferma scritta della guardia particolare giurata, incaricata del servizio presso l’impianto fotovoltaico, di non aver avuto disposizioni di sorveglianza particolari presso il bene presidiato.
La Corte di merito giudicava irrilevante anche la prova sul motivo di ritorsione; osservava, infatti, che, appurato l’inadempimento, l’accertamento della ragione ritorsiva, in quanto motivo non unico e determinante del recesso, diveniva superfluo; osservava, in ogni caso, che non sussisteva il motivo ritorsivo in considerazione del notevole lasso temporale trascorso tra la richiesta del ricorrente di assegnazione a mansioni differenti, che si assumevano non gradite al datore di lavoro e tuttavia necessitate dalle condizioni di salute, e la reazione datoriale.
2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.D.I. affidato a cinque motivi cui ha resistito con controricorso la società L.F. s.r.l.
Ragioni della decisione
3. Con il primo motivo si denuncia – in relazione all’art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge nr. 604 del 1966, dell’art. 2119 cod.civ. e dell’art. 101 del CCNL Dipendenti Vigilanza Privata.
Si critica la sentenza impugnata -che a giudizio del ricorrente ripercorre fondamentalmente le argomentazioni del Tribunale (cfr. pag. 7 del ricorso) – per aver omesso di considerare, nei termini esatti, il contenuto del documento “stampa eventi”. Si addebita alla Corte territoriale di non aver valutato la sequenza dei fatti annotati nel foglio, diversi da come ricostruiti in sentenza, e ci si duole della affermazione secondo cui anche i fatti oggetto delle ulteriori contestazioni erano imputabili al lavoratore; con riferimento a questi ultimi, parte ricorrente assume la loro pretestuosità, trattandosi di condotte che rientravano nella discrezionalità del singolo operatore, non avevano determinato alcun disservizio, né danni per l’azienda.
Lamenta ancora il ricorrente che la Corte avrebbe ritenuto il licenziamento proporzionato ai fatti contestati ed assume che il codice disciplinare stabilisce, a titolo esemplificativo, una serie di condotte diverse da quelle oggetto di contestazione.
4. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
4.1. Quanto al vizio motivazionale, osserva la Corte che, ai sensi dell’articolo 348 ter cod. proc. civ., commi 4 e 5, allorquando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado, il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1-2-3 e 4 del primo comma dell’articolo 360 cod. proc. civ.
Questa Corte ha già affermato (sentenza nr. 23021 del 2014), con indirizzo cui si intende dare in questa sede continuità, la applicabilità della disposizione di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. alla sentenza che definisce il procedimento di reclamo ex art. 1 legge Fornero.
A tale riguardo ha evidenziato come la normativa di riferimento non disciplini il contenuto dell’atto di reclamo, introduttivo del giudizio di secondo grado e che vi è dunque integrazione della disciplina – pur spedale – dettata dalla legge nr. 92 del 2012, art. 1, commi 58 e 61 con quella dell’appello nel rito del lavoro; dalla integrazione deriva la applicazione anche dell’art. 348 ter cod. proc. civ., ed in particolare – per quanto in questa sede rileva- della modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia cd. “doppia conforme”.
A tenore dell’articolo 348 ter co. 5 cod. proc. civ. il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. “doppia conforme”, come nella fattispecie di causa.
La disposizione è applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dall’11 settembre 2012 (articolo 54 co. 2 D.L. 83/2012); nel presente giudizio il reclamo è stato depositato in data 29.7.2015.
4.2. Quanto alla dedotta violazione di legge, non si rinvengono nella sentenza impugnata statuizioni in contrasto con le norme richiamate nella rubrica del motivo o con l’interpretazione che di esse ha fornito, la giurisprudenza.
In particolare, i giudici di merito, investiti della domanda di invalidazione del licenziamento disciplinare, hanno seguito gli insegnamenti di questa Corte, procedendo, in primo luogo, ad accertare il fatto; hanno quindi verificato che l’infrazione contestata fosse astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso ed infine hanno apprezzato in concreto la gravità dell’addebito.
La condotta del lavoratore, dipendente di una società di vigilanza, che aveva omesso di comunicare al collega del turno successivo l’avvenuto disinserimento del dispositivo di allarme di un impianto fotovoltaico – informazione che avrebbe implicato la necessità di un differente controllo del luogo presidiato – correttamente è stata inquadrata come giusta causa in quanto integrante la violazione dei fondamentali doveri di diligenza e collaborazione scaturenti dal contratto di lavoro.
Quanto all’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario tra le parti, nel caso concreto essa è stata adeguatamente motivata in ragione dell’adibizione del dipendente alla centrale operativa con funzioni di coordinatore, dando così rilievo alla qualità e all’importanza delle mansioni proprie del lavoratore (sulla valutazione della gravità dell’illecito in rapporto alla posizione lavorativa del lavoratore, cfr. Cass. nr. 4328 del 1996); i giudici di merito, inoltre, hanno considerato il danno, anche in termini di immagine, derivato alla parte datoriale; nella sentenza impugnata, si dà atto che alla condotta negligente del lavoratore conseguiva la “sottrazione del bene vigilato” e, dunque, la perdita del cliente.
Le censure, in parte qua, sono pertanto infondate.
4.3 Inammissibile è la censura in punto di violazione del codice disciplinare. Quando sia denunziata in ricorso la violazione di norme del contratto collettivo la deduzione della violazione deve essere accompagnata dalla trascrizione integrale della clausola, al fine di consentire alla Corte di individuare la ricorrenza della violazione denunziata (cfr. Cass. nr. 25728 del 2013; nr. 2560 del 2007; nr. 24461 del 2005) oltre che dal deposito integrale della copia del contratto collettivo (Cass. SU nr. 20075 del 2010) o dalla indicazione della sede processuale in cui detto testo è rinvenibile (Cass. SU nr. 25038 del 2013).
Nella fattispecie di causa l’art. 101 del CCNL di cui si denunzia la violazione è riportato per sintesi del contenuto, sicché non è consentito alla Corte alcun esame del suo effettivo ed integrale tenore testuale; il contratto collettivo non risulta prodotto.
5. Con il secondo motivo si censura – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulla ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Si critica, in particolare, il giudizio espresso dai giudici di merito di irrilevanza delle prove richieste a dimostrazione del carattere ritorsivo del licenziamento.
6. Il motivo è inammissibile.
Osserva la Corte che il richiamo all’art. 112 cod. proc. civ. è inconferente; una violazione della predetta norma processuale è configurabile se il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato; non in relazione al giudizio di valutazione del materiale probatorio – seppure erroneo – espresso dal giudice di merito.
La mancata ammissione dei mezzi istruttori per difetto di rilevanza – come nel caso di specie – costituisce un giudizio di fatto, inerendo ai fatti materiali da provare in causa, sindacabile davanti a questa Corte nei limiti dell’art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. (Cass. SU nr. 8077 del 2012).
La deducibilità, come vizio di motivazione, è preclusa per le medesime ragioni esposte in relazione ai precedenti motivi; in ogni caso, non è indicato, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo del predetto art. 360 nr.5 cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis) il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). Parte ricorrente riporta tutti i capitoli di prova formulati nei precedenti gradi di giudizio e ne afferma la rilevanza ai fini di una diversa ricostruzione della fattispecie concreta.
7. Con il terzo motivo si censura – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge nr. 300 del 1970 nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Assume la parte ricorrente che, diversamente da quanto affermato in sentenza, la mancata audizione ai sensi dell’art. 7 della legge nr. 300 del 1970 scaturiva dal difetto di informazione dell’incontro fissato dalla società e che, dunque, vi era stata la violazione del procedimento di contestazione dell’addebito.
8. La censura, ancora una volta, seppure, in parte, prospettata in termini di violazione di legge, presuppone un diverso accertamento dei fatti operata dal giudice di merito ed è, pertanto, inammissibile. Valgono le considerazioni precedenti.
9. Con il quarto motivo si censura – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 comma 5 nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. – l’omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.
Si critica la decisione per non aver, quanto meno, riconosciuto la tutela risarcitoria di cui al comma 5 dell’art. 18 legge nr. 300 del 1970; pur in presenza del fatto contestato, la Corte di merito avrebbe dovuto valutare la tenuità della condotta ed applicare il regime sanzionatorio del quinto comma del predetto art. 18.
10. Il motivo è assorbito dalle argomentazioni espresse in relazione alle precedenti censure.
Una questione di regime sanzionatorio ai sensi dell’art. 18 legge nr. 300 del 1970 può porsi solo in caso di illegittimità del licenziamento e non nella specie in cui resta accertata la giusta causa di recesso.
11. Con il quinto motivo, si censura – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – la violazione dell’art. 15 della legge nr. 300 del 1970, in relazione all’art. 3 della legge nr. 108 del 1990 nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Parte ricorrente critica la sentenza perché – nel confermare anche, in relazione a tale profilo, l’impianto motivazionale del giudice di primo grado – omette di considerare che il lavoratore era stato vittima di un comportamento discriminatorio (recte ritorsivo) da parte del datore di lavoro che gli assegnava, dopo la presentazione di certificazione medica nel 2011, sempre il medesimo turno di lavoro (dalle ore 17,15 alle ore 00,30), durante il quale era l’unico operatore in servizio, con maggiori difficoltà anche in termini di stress; inoltre, come giorno di riposo settimanale, gli assegnava sempre la giornata del martedì ed a nulla valevano le richieste di modifica di orari e turni.
12. Il motivo è inammissibile anche per difetto di interesse.
Alle argomentazioni espresse in relazione ai precedenti motivi, configurando le censure, al di là della formale rubricazione, vizi di motivazione, si aggiunge la considerazione che la Corte di merito, stante l’accertato inadempimento del lavoratore, ha escluso la sussistenza di un motivo ritorsivo, in quanto non motivo unico e determinante del recesso; ha poi, comunque, escluso che vi fosse una ragione vendicativa alla base della determinazione datoriale di recesso.
La prima ratio, distinta ed autonoma, è divenuta definitiva ed è, giuridicamente e logicamente, sufficiente a sorreggere il decisum; la censura relativa alla seconda valutazione espressa dai giudici di merito non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza ( ex plurimis, Cass. nr. 3386 del 2011, Cass. nr. 24540 del 2009).
In conclusione, il ricorso va complessivamente respinto.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali oltre agli esborsi liquidati in euro 200,00, alle spese forfettarie del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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