CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 ottobre 2019, n. 27507
Lavoro – Cessione dell’azienda – Obbligo, del datore di lavoro cedente, per la quota di TFR maturata durante il periodo di lavoro svoltosi fino al trasferimento aziendale
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Imperia rilevava che la domanda di C.F., che aveva chiesto la condanna della società O. s.r.l. e della cessionaria S.S. s.r.l. al pagamento in solido della complessiva somma di euro 41.644,72 a titolo di differenze retributive e t.f.r., non era provata quanto a mancato godimento di ferie e permessi e che doveva, invece, ritenersi sussistente il credito relativo alle mensilità di aprile e maggio 2013, alla 13° ed alla 14° mensilità del 2013, nonché all’indennità di preavviso, crediti che, tuttavia, essendo maturati dopo la cessione, non potevano essere posti solidalmente a carico della cedente.
1.1. Quanto al credito per t.f.r., il Tribunale osservava che la quota relativa a carico della cedente non potesse fare parte dei crediti cui faceva riferimento l’art. 2112 c.c., maturando la stessa alla cessazione del rapporto e che, in ogni caso, all’atto della cessione, la s.r.l. O. aveva incluso l’importo delle quote di t.f.r. maturato dai propri dipendenti tra le passività, sicché aveva sostanzialmente sostenuto nei confronti della cessionaria il relativo costo.
2. La Corte d’appello di Genova, con sentenza 21.7.2017, in parziale riforma della impugnata decisione, condannava anche la O. s.r.l. in liquidazione, in solido con la S.S. s.r.l., al pagamento, in favore della F., di euro 20.430,98 a titolo di t.f.r. maturato sino alla cessione dell’azienda, oltre accessori come per legge.
2.1. La Corte riteneva, in conformità ad orientamento giurisprudenziale di legittimità consolidatosi, che il datore di lavoro cedente rimanesse obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente per la quota di t.f.r. maturata durante il periodo di lavoro svoltosi fino al trasferimento aziendale, mentre il datore cessionario era obbligato per la stessa quota solo in ragione del vincolo di solidarietà e restava l’unico obbligato per la quota maturata successivamente alla cessione.
3. Di tale decisione domanda la cassazione la O. s.r.l. in liquidazione, affidando l’impugnazione ad unico motivo, illustrato in memoria. Le altre parti sono rimaste intimate.
Ragioni della decisione
1. La società O. denunzia violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2120 e 2112 c.c., sostenendo che erano stati ceduti alla società S.S. anche i debiti per TFR in base alla determinazione dei relativi importi ad opera di consulente tecnico e rileva come la Corte territoriale abbia applicato un orientamento giurisprudenziale che avalla l’impostazione della maturazione progressiva in ragione dell’accantonamento annuale della quote di t.f.r., il che sarebbe contrario al principio dell’esigibilità del relativo credito solo al momento della cessazione del rapporto, sicché l’obbligo del relativo pagamento non poteva che far capo al cessionario. Peraltro – secondo la prospettazione della ricorrente – al momento della cessione dell’azienda il valore del cespite era stato stimato includendo tra le passività anche le somme all’epoca maturate a titolo di t.f.r. in favore dei lavoratori in forza alla cedente.
1.1. La ricorrente richiama, poi, i CCNL settore Commercio che conforterebbero una tale opzione interpretativa e circolari dell’ INPS relative all’ipotesi di intervento del Fondo di Garanzia in caso di fallimento del cessionario, ma non anche se il datore di lavoro insolvente sia il cedente, dovendo il t.f.r. in tal caso essere corrisposto per intero dal cessionario.
2. Premesso che i CCNL non sono depositati e che le circolari non hanno valore interpretativo cogente, va rammentato, a sostegno dell’infondatezza del motivo, l’orientamento di questa Corte, secondo cui, in caso di cessione d’azienda assoggettata al regime di cui all’art. 2112 cod. civ., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto, che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di lavoro cessionario è obbligato nei confronti del lavoratore, il cui rapporto sia con lui proseguito, quanto alla quota maturata nel periodo anteriore alla cessione in ragione del vincolo di solidarietà e resta l’unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione, mentre il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale. Ne consegue che il lavoratore è legittimato a proporre istanza di fallimento del datore di lavoro che abbia ceduto l’azienda, essendo creditore del medesimo (cfr, ex multis, Cass. 22.9.2011 n. 19291, Cass. 14.5.2013 n. 11479, Cass. 11.9.2013 n. 20837, Cass. 8.1.2016 n. 164).
3. Né appare rilevante ai fini della decisione della questione dibattuta la circostanza che al momento della cessione dell’azienda la società O. avesse inserito tra le passività l’ammontare delle quote maturate dai dipendenti, rifluendo ciò nei rapporti tra le due società, ma non nei termini di una diversa soluzione della controversia che ritenga esonerato il cedente da ogni obbligo nei confronti del lavoratore ceduto in relazione alle quote di TFR maturate prima della cessione. Deve, infatti, ribadirsi la validità del principio sopra richiamato, reiteratamente affermato in sede di legittimità ed ampiamente giustificato dalle motivazioni allo stesso sottese, rispetto al quale non si ravvisano idonee e convincenti ragioni che inducano a discostarsene.
4. Alle svolte considerazioni consegue il rigetto del ricorso.
5. Nulla va statuito sulle spese, atteso che le parti intimate non hanno svolto alcuna attività difensiva.
6. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.
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