CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 aprile 2019, n. 11352
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Indennità risarcitoria – Riorganizzazione aziendale non attuata – Intento ritorsivo
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 31.3.2016, pronunciando in merito all’impugnativa di licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad A.P. dalla A.G. spa, ai sensi dell’art. 1, commi 51 e ss, della legge nr. 92 del 2012, dichiarava illegittimo il recesso ed, in applicazione della tutela ex art. 18, comma 5, della legge nr.300 del 1970, dichiarato risolto il rapporto alla data del licenziamento, condannava la parte datoriale al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 22 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
2. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 16.11.2016 nr. 5457, in accoglimento parziale del reclamo principale del lavoratore, respinto quello incidentale del datore di lavoro, dichiarava nullo il recesso perché ritorsivo ed applicava la tutela di cui al comma 1 dell’art. 18 cit.
2.1. La Corte territoriale escludeva la sussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del recesso (soppressione del posto di lavoro), osservando come la riorganizzazione aziendale, solo programmata e delineata, non fosse stata, nei fatti, attuata, come dimostrava il lasso temporale tra la comunicazione formale della soppressione della (funzione di) direzione risorse umane (con ordine aziendale nr. 1 del 2011) ed il provvedimento di licenziamento (del 2015).
2.2. I giudici di merito osservavano, altresì, come, dopo il licenziamento, la funzione svolta dal P. venisse assegnata ad altro lavoratore e ciò a conferma dell’insussistenza della ragione organizzativa posta a base del recesso.
2.3. L’intento ritorsivo era, invece, dimostrato, tra l’altro, dalla cadenza temporale degli eventi rilevanti in causa; fra questi, la richiesta di rivendicazioni economiche connesse ad un diverso inquadramento e la manifestata volontà di usufruire di un periodo di malattia che precedevano la determinazione di recesso.
3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.G. spa, affidato a sette motivi.
4. Ha resistito con controricorso A.P..
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod.proc.civ.
Ragioni della decisione
1. I primi cinque motivi denunciano tutti -ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 e dell’art. 4 della legge nr. 604 del 1966 e dell’art. 18, comma 1, e 15 della legge nr. 300 del 1970.
1.1. Nello specifico, si imputa alla Corte di appello di aver omesso di esaminare:
– con primo motivo, i fatti accaduti tra l’inizio del 2014 e l’epoca del licenziamento; la sentenza impugnata, sarebbe incorsa in due errori: il primo, rappresentato dal fatto di aver posto il licenziamento in collegamento causale con la riorganizzazione del 2011, mentre vi era stata una seconda riorganizzazione, avviata, all’inizio del 2014, dal nuovo direttore generale, del tutto pretermessa in sentenza; un secondo errore, originato appunto dalla prima confusione, e consistito nel non aver valutato che, all’interno della seconda organizzazione generale ve ne era stata una specifica, avviata nel settembre del 2014, che aveva coinvolto in particolare la funzione delle risorse umane nell’ambito della quale era occupato il P. con compiti di «coordinatore operativo»; tale processo organizzativo aveva portato alla istituzione della nuova «Direzione Risorse Umane ed organizzazione» con competenze diverse rispetto alla Direzione Risorse Umane soppressa nel 2010; anche l’esame di tale riorganizzazione specifica era del tutto omesso dalla Corte di appello, nonostante la documentazione prodotta – doc. 11, 11bis, 12,13,14 giudizio di appello- e l’offerta di prova testimoniale; la Corte distrettuale avrebbe, invece, attribuito alla ricorrente fatti («acquisizioni o costituzioni di società nel periodo in cui esisteva la crisi») mai affermati e/o riconosciuti;
– con il secondo motivo, la riduzione del numero complessivo del personale occupato e, in particolare, delle unità in forza all’ufficio amministrazione del personale, per effetto delle disposte riorganizzazioni; la società aveva allegato che l’ufficio amministrazione del personale, prima della riorganizzazione, contava circa 7 unità lavorative che, successivamente, scendevano a quattro; ciò a dimostrazione che il licenziamento impugnato non era isolato e ad personam ma si inseriva nel contesto della riorganizzazione medesima;
– con il terzo motivo, le mansioni svolte dall’ingegnere P. dopo il licenziamento del P.; diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la collega (id est: l’ingegnere P.) avrebbe continuato a svolgere sempre le stesse mansioni, mutando solo la Direzione di riferimento, e non invece sostituito il P.;
– con il quarto motivo, la soppressione del posto di «coordinatore operativo delle risorse umane»; secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe sottovalutato la differenza tra il «posto di lavoro» e le «funzioni lavorative»;
– con il quinto motivo, il particolare contesto in cui il P. si determinava a rivendicare un superiore inquadramento (come dirigente) e cioè nel momento in cui aveva intuito che la riorganizzazione «specifica» delle funzioni afferenti alle risorse umane avrebbe potuto coinvolgere la sua posizione lavorativa; la sentenza impugnata neppure valutava la circostanza che il trattamento economico riconosciuto al P., nonostante il suo inquadramento come quadro, già fosse di molto superiore al minimo di garanzia stabilito per i dirigenti (sicché doveva ridimensionarsi il significato, invece, attribuito dai giudici di merito alla proposizione della domanda di superiore inquadramento).
2. I cinque motivi possono essere congiuntamente esaminati, per evidenti ragioni di connessione.
2.1. Osserva la Corte come le censure riconducibili ai predetti motivi, al di là della formale enunciazione delle rubriche, si risolvano tutte, anche nella parte in cui denunciano vizi di violazione di legge, in una richiesta di revisione delle valutazioni di merito espresse dalla Corte di appello, inammissibile ed estranea alla natura ed alla finalità del presente giudizio, tanto più alla stregua del testo dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., ratione temporis applicabile.
2.2. Esse ( id est: le censure) non investono in alcun modo il significato e la portata applicativa delle norme indicate in rubrica ma sono integralmente volte a criticare la ricostruzione della fattispecie concreta operata dalla Corte territoriale laddove ha ritenuto, in primo luogo, insussistente la ragione organizzativa posta a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, accertato, sulla base di ulteriori elementi di giudizio, un «quid pluris» ovvero l’intento ritorsivo, sotteso alla decisione datoriale di espulsione del lavoratore.
2.3. Nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi dell’art. 54, comma 3 del D.L. nr. 83 del 2012) il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, nr. 5 cod.proc.civ., in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, sicché il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
2.4. Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., nr 19881 del 2014; Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014) la riformulazione dell’art. 360, primo comma, nr. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. nr. 83 del 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione.
2.5. Il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, nr. 5 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
2.6. Al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
2.7. Nella fattispecie, le circostanze di fatto che si assumono non esaminate, per un verso, risultano tutt’altro che omesse dalla Corte di appello di Roma, salvo condurre ad un esito diverso da quello auspicato dalla parte ricorrente, per altro, non sono decisive.
2.8. Va, infatti, esclusa la decisività del fatto quando, come nel caso di specie, si imputa al giudice di merito l’omissione di una pluralità di fatti, nessuno dei quali – evidentemente – ex se risolutivo, nel senso dell’idoneità a determinare il segno della decisione (Cass. nr. 21439 del 2015).
3. Con il sesto motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ – è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e dei principi e delle regole in tema di diritto alla prova e di diritto alla difesa.
3.1. Si censura la scelta della Corte di appello di aver fondato il decisum sulla base di elementi documentali, senza ammettere le altre richieste istruttorie, volte a dimostrare quali competenze avesse la nuova Direzione Risorse Umane ed Organizzazione e come la stessa fosse stata organizzata; le richieste istruttorie, secondo la parte ricorrente, avrebbero altresì confermato la soppressione del posto di lavoro del P., l’assenza di posizioni in cui ricollocarlo, le mansioni svolte, prima e dopo il licenziamento, dall’ingegnere P..
4. Il motivo è inammissibile.
4.1. Spetta al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento ed, in proposito, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., sez. un., nr. 8053 del 2014 e nr. 19881 del 2014, sopra citate).
5. Con il settimo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.- l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 e dell’art. 4 della legge nr. 604 del 1966 e dell’art. 18, comma 1, e 15 della legge nr. 300 del 1970.
5.1. Si critica la sentenza per aver «laconicamente» respinto il reclamo incidentale.
6. Il motivo è inammissibile.
6.1. Le norme richiamate in rubrica non sono conferenti rispetto ai contenuti della censura che, carente anche sotto il profilo degli oneri di deduzione e specificazione di cui all’art. 366 nr. 6 cod.proc.civ., appare comunque priva di riferibilità al decisum.
6.2. La sentenza impugnata, con riferimento al rigetto del reclamo incidentale, ha fatto applicazione della regola dell’assorbimento; ritenuta l’insussistenza della ragione organizzativa posta a base del licenziamento ha giudicato superflua la necessità di valutare il profilo del repechage, oggetto dell’impugnazione in via incidentale (sulla regola dell’assorbimento, cfr., ex multis, Cass. 28663 del 2013).
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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