CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 gennaio 2019, n. 2387
Tributi – Accertamento – Riscossione – Interessi su prestito – PVC – Contenzioso tributario
Fatti di causa
1. All’esito di verifica presso la sede dell’odierna ricorrente, veniva notificato processo verbale di constatazione in data 31 luglio 2007, con vari rilievi in materia di imposte dirette e di Iva, cui seguivano diversi avvisi di accertamento.
1.1 Nello specifico, un primo rilievo mosso dall’Ufficio erariale attiene agli interessi percepiti su un prestito che la MF C. s.r.l. ha concesso alla sua controllante X.F. s.a., società di diritto lussemburghese, che detiene il 99,40% capitale della MF. Trattasi di un prestito di complessivi €.4.070.000,00, erogato in tre rate fra il 1 dicembre 2003 ed il 4 maggio 2004 ad un tasso di interesse di circa il 2,3% (segnatamente 2,178% e 2,344% per il 2004), pari alla media annuale euribor, mentre l’Ufficio riteneva applicabile il tasso effettivo globale medio del singolo anno che per il 2003 era del 6,265%, per il 2004 era di 5,8725% e così via. Recuperava quindi a tassazione per ogni anno il maggior importo che MF avrebbe percepito applicando detto tasso di interesse.
1.2 Un secondo rilievo Ires riguarda la coerenza dei costi sostenuti da MF quale corrispettivo per la consulenza ricevuta dalla C.C. srl, costituita nel 1998 e specializzata in consulenza aziendale, che aveva curato l’analisi dei costi industriali, di organizzazione e gestione del personale. I costi sarebbero in parte indeducibili, in parte eccessivi in ragione dell’opera professionale, in parte indeterminati o incerti. Segnatamente le anomalie riguardavano:
– Il volume d’affari della C.C. per l’anno 2004 deriva dalla predetta consulenza a favore di MF;
– Non giustificabili le consulenze per il personale, i rapporti sindacali, i profili amministrativi e contabili, perché già dal 2003 la MF era dotata di struttura interna preposta a queste incombenze;
– Compensi eccessivi richiesti da C.C. rispetto ai prezzi praticati sul mercato da altri operatori, che dimostrano la antieconomicità dell’operazione;
– Identico centro di imputazione di volontà ed interessi di MF e C.C., poiché entrambe riferibili al dott. R.A.C., titolare dello 0,40% del capitale di MF, ma di cui era amministratore, mentre era contemporaneamente anche il socio di maggioranza ed amministratore di C.C., avendo come altro socio la sua stessa madre. Identica la sede delle due società e gestione dell’una società tramite la (consulenza dell’) altra.
1.3 Ulteriore rilievo mosso dall’Ufficio riguarda un’operazione finanziaria ritenuta fittizia o simulata. Il 30 dicembre 2003 MF cedeva a K. srl una partita di materiale tecnologico ritenuto obsoleto e depositato presso lo stabilimento di Maddaloni, di proprietà della stessa MF; il corrispettivo veniva fissato e pagato in €.50.000; nel corso del 2004 parte dello stesso materiale era rivenduto da K. a MF per la consistente cifra di €.483.106,52, annotando l’Ufficio che la merce non aveva mail lasciato il luogo ove era depositata e non aveva subito lavorazione o rigenerazione alcuna, tale da giustificarne un mutamento ed un incremento di valore, peraltro assai consistente.
1.4. Sulla scorta di quest’ultimo rilievo, veniva recuperata anche la detrazione iva, perché indebitamente operata su operazione ritenuta inesistente.
2. La sentenza in esame trova origine nell’avviso di accertamento in data 14 novembre 2008, ove l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milano 1, recuperava a tassazione per l’anno 2004 €.340.614 a titolo di Ires, €.43.867 a titolo di Irap ed €.96.622 a titolo di Iva, irrogando sanzioni per altri €.510.921.
2.1 Insorgeva la società contribuente avanti la CTP di Milano, svolgendo puntuali controdeduzioni ai predetti rilievi mossi dall’Ufficio in ordine alla gestione imprenditoriale, nonché sollevando una preliminare eccezione di regolarità procedimentale.
Più precisamente, la contribuente affermava la violazione dell’art. 12, comma quinto, d.lgs. n. 212/2000 nel testo vigente all’epoca dei fatti, lamentando la durata dell’ispezione condotta nei locali della contribuente accertata. Lamentava infatti che l’ispezione avesse avuto inizio con il primo accesso il 19 febbraio 2007 per concludersi il giorno 31 luglio 2007, identificando la chiusura dell’ispezione con la notifica del processo verbale di constatazione. Ne deduceva una durata di calendario per 163 giorni, di cui 113 lavorativi, a fronte di una durata di 30 giorni, estensibili a 60, che la contribuente afferma doversi calcolare in forma continuativa a far data dal primo accesso. Ne deriva la violazione del termine di durata massima del procedimento che ne inficia il conseguente provvedimento conclusivo, cioè il pvc e, a cascata, il verbale di accertamento invalido (recte, annullabile) per illegittimità derivata.
2.2 Nel merito, la contribuente contestava i recuperi a tassazione, controdeducendo alla ricostruzione degli Uffici.
2.2.1 Quanto al prestito, affermava che il tasso di favore trovava applicazione proprio perché operazione senza intermediari finanziari, meramente infragruppo, su fondi nella disponibilità di MF, dotata di un capitale sottoscritto e versato per €.5.000.000, quindi più che congruo per prestarne €.4.070.000 alla propria controllante. Fuorviante quindi l’applicazione del tasso fra operatori commerciali o interbancari del 5,8725% per lo scopo speculativo che li caratterizza e qui assente. In subordine afferma che la disapplicazione del tasso convenzionale ritenuto fittizio comporti in generale e sussidiaria l’applicazione del tasso legale, che nel periodo in esame era del 2,5%, cioè assai vicino al 2,3% praticato nell’operazione de qua.
2.2.2 Quanto alla consulenza prestata da C.C., rammentava che MF era stata oggetto di intensa ristrutturazione aziendale, acquistando lo stabilimento di Maddaloni, con 186 dipendenti, strutturato per la produzione di componenti, ma privo di unità organizzative e manageriali, che venivano svolte dal precedente proprietario A.I. spa nella propria sede di Vimercate. Riteneva più che giustificato quindi che lo scarso personale di C.C. fosse pressoché integralmente assorbito nel lavoro per MF, ricavandone la gran parte del fatturato di quel periodo.
2.2.3 MF contestava anche la finzione della vendita a K. e riacquisto del materiale depositato a Maddaloni, con perizia giurata in data 31 dicembre 2003 che ne giustificava il valore del riacquisto.
2.2.4 Dall’ultimo, appunto, deduceva anche la bontà della detrazione Iva operata e, in generale, la correttezza di quanto a suo tempo versato come Ires, Irap ed Iva.
2.3 La CTP accoglieva l’eccezione preliminare relativa alla regolarità del procedimento ed annullava tutti gli atti conseguenti che riposano sulla -troppo lunga- ispezione. Interponeva appello l’Ufficio finanziario proponendo diverso calcolo dei giorni di ispezione. Per l’effetto devolutivo dell’appello, a sua volta la contribuente riproponeva tutti i vizi già sollevati in primo grado, sia quello procedimentale, sia quelli di merito che erano stato assorbiti per l’effetto dell’accoglimento del primo motivo sul vizio procedimentale.
2.4 La CTR Lombardia – Milano accoglieva l’appello dell’Ufficio, annullava la sentenza di primo grado, respingendo nel merito tutte le doglianze della contribuente e nello specifico affermava un calcolo non continuativo dei giorni di Ispezione, ma basato sulla somma dei giorni lavorativi di effettiva presenza dei verificatori nella sede aziendale della contribuente accertata. Nel merito, riteneva applicabile figurativamente il tasso di interesse medio globale del 5,8725% in luogo del tasso legale o di quello convenzionale pattuito dalle parti, proprio perché funzionale ad evitare gli effetti distorsivi del c.d. transfer price, cioè l’imposizione di un prestito da controllante a controllata, residenti in Stati diversi, all’unico scopo di ottenere le agevolazioni connesse al diverso regime impositivo cui sono sottoposte.
La CTR dava poi credito alla ricostruzione degli Uffici finanziari che dipingevano la C.C. quale vero centro direzionale della MF, suo unico cliente, con un trasferimento di ricchezza in danno alla società dove il dott. R.A.C. era socio allo 0,40%, ed a tutto vantaggio della C. &. Co. srl, ov’egli era socio assieme alla madre e che sarebbe stata chiusa dopo la fine della consulenza, passando anche a MF il proprio dipendente, assunto per svolgere il lavoro che MF affidava.
La CTR non riteneva degna di fiducia la perizia giurata, resa ad 1 ” un giorno dalla vendita del materiale obsoleto per €.50.000, che ne attestava il valore in uno spettro tra €.390.000 e €.500.000; né riteneva che una società strutturata come Alcatei avesse improvvisamente bisogno del materiale poco prima ceduto da MF come obsoleto. Le predette argomentazioni si riverberano anche sul conteggio Iva e la ripresa a tassazione delle altre imposte.
Propone ricorso per cassazione la contribuente, affidandosi a cinque motivi di censura.
Ha notificato rituale controricorso l’Avvocatura generale.
In prossimità dell’udienza non sono state presentate memorie.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo si lamenta violazione dell’art. 12 I. 212/00 in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
1.1 Quale lesione del diritto di difesa, lamenta infatti la ricorrente di aver subito un’ispezione nei luoghi aziendali protratta oltre ogni termine di legge ed oltre ogni ragionevolezza. Argomenta che il télos della norma – esplicitato fin dai primi articoli – sia quello di ridurre l’aggravio dell’attività del contribuente ispezionato, che si ottiene, primieramente, con una fissazione certa della delimitazione temporale in cui l’accesso può esplicarsi. Osserva come, per i lavoratori autonomi e le imprese in contabilità semplificata, la novella del 2011 abbia precisato che il periodo di permanenza non possa superare un determinato numero di giorni lavorativi nell’arco di un più ampio delimitato periodo, per dedurne a contrariis come, per gli altri contribuenti, i giorni di permanenza massima coincidano con il numero di giorni lavorativi fissati dalla legge, computati secondo il decorso naturale. Conclude affermando che individuare il termine massimo di ispezione come somma dei giorni di effettiva presenza dei militari in sede significhi rimettere all’Ufficio la discrezione sulla durata dell’ispezione, potendosi dilatare oltre ogni misura, ove tra un accesso e l’altro intercorra un lungo periodo.
1.2 La questione è stata già affrontata da questa Corte, con orientamento cui il Collegio intende dare continuità, non ravvisandosi, negli atti versati in giudizio, ragioni per discostarsene. La violazione dell’art. 12, comma 5, della L. 212/2000 – il quale, nella versione vigente all’epoca dei fatti, così recita: La permanenza degli operatori (…), dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni” – non comporta la nullità dell’accertamento, né l’inutilizzabilità dei dati acquisiti – trattandosi di effetti non previsti dall’ordinamento (in termini, Cass. civ., sez. trib., 15-04-2015, n. 75841, secondo cui “il protrarsi della presenza dei verificatori nella sede del contribuente oltre i termini previsti dall’art. 12, 5° comma, dello statuto del contribuente (I. n. 212/2000) non preclude, in assenza di una specifica norma sanzionatoria, l’utilizzo degli elementi acquisiti oltre la scadenza dei predetti termini e per l’effetto non determina l’invalidità del conseguente avviso di accertamento”. Questa Corte ha altresì rilevato che l’art. 12, comma 5, L. 212/2000 si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta dagli operatori del fisco presso la sede del contribuente, escludendo, quindi, dal computo quei giorni impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi (Cass. civ., sez. trib., 21-05-2014, n. 11183), sicché non si può fare riferimento al decorso naturale del tempo, per cinque giorni lavorativi ogni settimana, ma guardare alle giornate di effettiva presenza in sede.
Il motivo è quindi infondato e va disatteso.
2. Con il secondo motivo si lamenta illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
2.1 Nella sostanza si lamenta che la sentenza d’appello abbia ritenuto legittima la rideterminazione degli interessi attivi, per l’anno di competenza, che ha operato l’Ufficio in ordine al finanziamento infragruppo, da controllata a controllante. Avrebbe errato la CTR e, prima ancora, l’Ufficio ritenendo non plausibile un prestito infragruppo ad un tasso del 2,3% assolutamente fuori mercato rispetto al 5,87% corrente. Si afferma che la CTR sarebbe incorsa in un errore di fatto, ritenendo che il prestito non poteva essere sostenuto a quel tasso, in ragione delle spese che MF stava sostenendo nel periodo per le acquisizioni, le trasformazioni societarie e V. per l’attività gestionale delle nuove acquisizioni che non erano all’uopo strutturate. L’errore della CTR sarebbe nel legare le dichiarazioni rese dalla contribuente sulle operazioni societarie (ampiamente riprese e descritte da pag. 24 a 28 del ricorso per cassazione), i relativi costi (da cui l’incarico a CenCo per il reperimento di linee di credito) con il prestito alla controllante X.F. s.a., che sarebbe operazione completamente diversa.
2.2 Dal capo di sentenza censurato non si evince l’errore, da cui l’illogicità lamentata. Nei capoversi quarto, quinto e sesto di pag. 6, dove si tratta di questo profilo, la CTR rileva la coincidenza temporale di un prestito alla controllante per complessivi €.4.070.000,00 (su un capitale di €.5.000.000,00) e di rilevanti operazioni finanziarie per acquisizioni, ristrutturazioni aziendali, consulenze gestionali etc. per le quali era necessario il ricorso al credito sul mercato, donde l’insostenibilità di prestare denaro ad interesse più che dimezzato rispetto al mercato e, contestualmente, svolgere attività per cui era necessario finanziarsi, tanto che risultava aver conferito apposito incarico professionale per il reperimento delle linee di credito. La contestualità delle operazioni denota e dimostra l’insostenibilità del tasso dichiarato, cui consegue l’affermazione di legittimità della ripresa a tassazione sul maggior tasso, coerente con quello di mercato.
Il motivo è quindi infondato e va disatteso.
3. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma settimo, e 45, comma secondo, del d.P.R. 917/1986, in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ..
3.1 Nel particolare si afferma che la violazione della precitata norma di riferimento per il finanziamento infragruppo (all’epoca dei fatti, art. 76, comma quinto, d.P.R. n. 917/1986) comporta la nullità della pattuizione di interesse distonico, per contrarietà a norma imperativa, e sostituzione automatica del saggio illegittimamente fissato con quello del tasso legale, in allora fissato del Ministero del Tesoro proprio in misura simile a quello in concreto convenuto fra controllata e controllante. Conclude che, quand’anche si dovesse ritenere nullo il tasso di interesse pattuito fra le parti, questo andrebbe sostituito con il tasso legale, peraltro assai simile a quello pattuito, piuttosto che a quello di mercato. In buona sostanza, la CTR avrebbe avvallato la violazione di legge dell’Ufficio, non applicando il meccanismo della sostituzione automatica di clausole nulle (secondo il modello dell’art. 1419 cod. civ.), bensì individuando e determinando il tasso nel più elevato saggio di interesse corrente sul mercato in quel momento.
3.2 La questione attiene al c.d. transfer pricing, disciplinata dal più volte citato art. 110, comma settimo, d.P.R. n. 917/1986 che, nel testo vigente all’epoca dei fatti, dispone: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che direttamente o indirettamente, controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale” – la cui definizione è fornita dall’art. 9 tuir – “dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito;
Il requisito soggettivo per l’applicazione di tale regime si identifica nella circostanza che tra i due soggetti – la società estera e l’impresa residente – deve esistere un rapporto di controllo, diretto od indiretto, di cui, tuttavia, non viene fornita una definizione, ma nel caso che ci occupa tale rapporto di controllo non è in discussione.
La definizione di valore normale è contenuta nell’art. 9 del medesimo testo, ove al comma terzoni fa riferimento al prezzo praticato per analoghi beni o servizi, in regime di libera concorrenza e nel tempo e nel luogo -o in quello più prossimo – in cui i beni o servizi sono stati acquistati. Risulta corretto quindi il riferimento dell’Ufficio al prezzo di mercato e scevra dalla censura mossa la sentenza impugnata, non dovendosi chiedere all’Ufficio nessuna ulteriore prova o accertamento.
Secondo l’indirizzo che può dirsi ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in caso di operazioni infragruppo intercorse con società estere controllate o controllanti di cui all’art. 76 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (ora 110, comma 7), l’onere probatorio gravante sull’Amministrazione finanziaria si esaurisce nel fornire la prova della esistenza della operazione infragruppo e della pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore normale di mercato; il contribuente che intende contrastare la pretesa impositiva deve invece fornire la prova che il corrispettivo convenuto ovvero la mancanza di un corrispettivo per l’operazione infragruppo, corrisponde ai valori economici che il mercato attribuisce a tali operazioni. Non è invece necessario che l’Amministrazione finanziaria fornisca ulteriormente la prova che l’operazione infragruppo sia priva di una valida giustificazione economica ed abbia comportato un concreto risparmio di imposta, trattandosi di presupposti costitutivi della fattispecie generale di operazione antielusiva disciplinata dall’art. 37-bis d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, presupposti non richiesti nel caso in cui venga contestata la violazione della regola del «valore normale» dei componenti reddituali prevista nella specifica fattispecie del transfer pricing internazionale di cui all’art. 110 comma 7 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (v. ex pluribus Cass. 15/12/2017, n. 30149; Cass. 15/09/2017, n. 21410; Cass. 06/09/2017, n. 20805; Cass. 30/06/2016, n. 13387; Cass. 15/04/2016, n. 7493; Cass. 18/09/2015, n. 18392), si può quindi concludere che l’applicazione dell’art. 45 Tuir – dove fa riferimento come criterio sussidiario al saggio legale per individuare il tasso degli interessi – è norma recessiva rispetto all’art. 9, stesso testo, ove il valore o costo del servizio (nella fattispecie, trattandosi di prestito, il costo è data dal saggio di interesse) dev’essere riqualificato primieramente sul prezzo normale di mercato, ovverosia sul saggio di interesse praticato mediamente nel luogo di prossimità e nel periodo di riferimento dell’operazione il cui valore si vuole ricostruire.
Il motivo è quindi infondato e va disatteso.
4. Con il quarto motivo si eccepisce insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
4.1 In concreto, ci si duole che la CTR abbia confermato come indeducibili i costi sostenuti da MF per servizi e consulenze forniti da CenCo, in quanto ritenuti come corrispettivi simulati per favorire trasferimenti di capitale dall’una all’altra, entrambe gerite dal dott. C., ora come amministratore, ora come socio di maggioranza. Si afferma che le motivazioni della C.T.R. sul punto siano mere presunzioni e frutto del mancato esame dei documenti offerti a sostegno delle argomentazioni sviluppate negli atti d’appello.
4.2 L’esame del capo di sentenza censurato (da fine pag. 6 ai primi due capoversi di pag. 7) non si espone alle censure sollevate.
Nel processo tributario il riparto dell’onere probatorio pone in capo all’Amministrazione la prova dei fatti costitutivi della pretesa impositiva, ma in capo al contribuente la prova dei crediti, sgravi, compensazioni e, in sostanza, dell’esistenza di ogni titolo da portare in deduzione. La partecipazione incrociata e l’identità di centro di imputazione di volontà ed interessi concorrono a consolidare i profili presuntivi addotti dall’Ufficio, non superati dalla parte privata e ritenuti meritevoli di credito da parte della C.T.R., la cui motivazione sul punto rientra nell’alveo della discrezionalità e del prudente apprezzamento, sottratti al sindacato di questa Corte (per il valore delle presunzioni incrociate, cfr. Cass. 19/06/2015, n. 12764).
Il motivo è quindi infondato e va disatteso.
5. Con il quinto motivo si solleva ancora insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in paramento all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
5.1 Nello specifico, si contesta il capo di sentenza che ha confermato la ripresa a tassazione dell’operazione di vendita e riacquisto del materiale stoccato nello stabilito di Maddaloni per un prezzo aumentato di quasi dieci volte. Si ritiene infatti che non siano state valorizzate le ragioni poste a giustificazione dell’operazione.
5.2 La pronuncia impugnata supera lo scrutinio di congruità motivazionale in ordine al profilo lamentato, ritenendo fuori dal comune accadimento che un materiale stoccato in deposito e venduto per cinquantamila euro perché obsoleto, senza essere trasportato o trasformato, nel giro di pochi mesi risulta essere essenziale ed urgente per un acquirente leader del settore, con tempi di programmazione e fonti di reperimento che portano ad escludere operazioni come quella descritta. La stessa attendibilità della perizia giurata di parte è stata revocata in dubbio per i suoi tempi di redazione in rapporto all’operazione da svolgersi e per la verosimiglianza degli assunti con argomentazioni della CTR che superano il vaglio di coerenza logica cui è limitato lo scrutinio di questa Corte in ragione del dedotto motivo di gravame.
Il motivo è quindi infondato e va disatteso.
In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato/ le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in €.quindicimila,00 oltre a spese prenotate a debito.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- MINISTERO FINANZE - Decreto ministeriale 01 febbraio 2024 Modalità di utilizzo dei dati fiscali relativi ai corrispettivi trasmessi al Sistema tessera sanitaria Art. 1 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) «dati fiscali», i…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 28378 depositata l' 11 ottobre 2023 - In ordine ad incarichi conferiti dal datore di lavoro ad investigatori ed alla utilizzabilità del materiale da loro raccolto in sede giudiziaria viene affermato che i codici…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 30000 depositata il 13 ottobre 2022 - La mancanza dell'autorizzazione ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia delle movimentazioni dei conti bancari, non implica, in assenza di…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 11642 depositata il 4 maggio 2023 - Ai sensi del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 109 comma 5, gli interessi passivi sono sempre deducibili (anche se nei limiti di cui all'art. 96 dello stesso art. 109, comma 5), senza che…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 2219 depositata il 25 gennaio 2023 - L’uso congiunto di differenti metodi di accertamento […] costituisce una palese violazione del disposto di cui all’art. 7 della l. 212/2000, che risponde primariamente all’esigenza…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 novembre 2019, n. 28696 - In tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall'art. 12, comma 5,…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Gli amministratori deleganti sono responsabili, ne
La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n 10739 depositata il…
- La prescrizione quinquennale, di cui all’art. 2949
La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n. 8553 depositata il 2…
- La presunzione legale relativa, di cui all’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10075 depos…
- Determinazione del compenso del legale nelle ipote
La Corte di Cassazione, sezione III, con l’ordinanza n.10367 del 17 aprile…
- L’agevolazione del c.d. Ecobonus del d.l. n.
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 7657 depositata il 21 ma…