CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 agosto 2018, n. 21440
Ex dipendente INPS – Riliquidazione della pensione integrativa – Calcolo della retribuzione pensionabile – Inclusione dell’indennità di arricchimento professionale
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Lecce con la sentenza n. 3432/2012, ha dichiarato cessata la materia del contendere con riferimento alla riliquidazione della pensione integrativa spettante ad A.T. (ex dipendente INPS a riposo dal 1.1.1999 con qualifica di Ispettore Generale), con inclusione, nel calcolo della retribuzione pensionabile, dell’indennità di funzione nei limiti della prescrizione quinquennale ed ha condannato l’Inps al pagamento delle differenze maturate a decorrere dal 1 gennaio 1999, inoltre ha rigettato l’appello proposto da A.T. con riferimento alla inclusione nella medesima retribuzione pensionabile anche dell’indennità di arricchimento professionale, sul presupposto del carattere fisso e continuativo di tali emolumenti.
2. La sentenza ha osservato che l’Inps aveva nel corso del giudizio riconosciuto la fondatezza della pretesa relativa alla inclusione dell’indennità di funzione sebbene con decorrenza dalla data di presentazione della domanda e non, come avrebbe dovuto fare, dalla data di liquidazione della prestazione, non essendo stata tempestivamente eccepita la prescrizione; inoltre, ha confermato il rigetto della domanda con riferimento alla incidenza nel ricalcolo dell’indennità di arricchimento in quanto emolumento non erogato in maniera fissa e continuativa posto che l’importo annuale dipendeva dalle economie del precedente esercizio dell’Ente e l’effettiva corresponsione era legata al raggiungimento degli obiettivi fissati nei piani di organizzazione.
3. Avverso tale sentenza A.T. ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi. Resiste l’INPS con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, A.T. denuncia violazione della L. n. 88 del 1989, art. 15, ed osserva: a) che gli era stato riconosciuto lo status giuridico di ispettore generale nel ruolo ad esaurimento con estensione ad personam e sulla base dell’anzianità di servizio riconosciuta, e non riassorbile, il trattamento economico degli Ispettori generali di cui all’art. 61 d.p.r. n. 748 del 1972 (ai sensi della L. n. 88 del 1989, ex art. 15); b) che l’indennità di funzione gli era stata riconosciuta e computata nella pensione integrativa in corso di causa mentre, invece, era rimasta ancora in contestazione la computabilità dell’ulteriore indennità detta di arricchimento professionale, istituita dall’INPS ai sensi del punto E del contratto collettivo decentrato del 1997; c) che entrambe dette indennità erano attribuite in modo fisso e continuativo, essendo collegate alla qualifica rivestita e non all’effettivo svolgimento delle funzioni o alla presenza, o alla produttività; pertanto, la sentenza impugnata, nel negare il diritto al computo nella pensione integrativa dell’indennità di arricchimento professionale non aveva dato applicazione al principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza a Sezioni Unite n. 7154 del 25 marzo del 2010 .
2. Con il secondo motivo, denunciando omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, il ricorrente osserva che nel dispositivo della sentenza impugnata la Corte ha disposto la condanna dell’INPS al pagamento delle differenze pensionistiche derivanti dal riconoscimento dell’indennità di funzione nel calcolo della pensione a decorrere dal 1.1.1999, mentre, in motivazione, sembra aver limitato la condanna al periodo compreso tra il 1.1.1999 ed il 25 novembre 1999, sul presupposto erroneo che l’Istituto avesse effettuato il ricalcolo dal 25 novembre 1999, nei limiti del quinquennio dalla data della domanda del 25 novembre 2004.
4. Il primo motivo è infondato. La questione sollevata è stata affrontata da questa Corte con diverse pronunce. In particolare, quanto al sistema normativo di calcolo della contribuzione utile ai fini della pensione integrativa dei dipendenti degli enti pubblici, si è affermato ( Cass. ord. nn. 712 del 2012, 719 del 2012, 3823 del 2012, 8301 del 2012, 20257 del 2012, 21103 del 2012, 16506 del 2013, 25950 del 2014, 19296 del 2008; SS.UU. 10413 del 2014, 2592 del 2015; 10378 del 2015; 4 del 2016; 6768 del 2016; 8081 del 2016) che non vi è dubbio che la pensione integrativa Inps sia comprensiva degli elementi fissi e continuativi, essendosi deciso – a composizione di un contrasto di giurisprudenza – dalle SU di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 7154 del 25/03/2010) che < In tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell’INPS, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell’ente, adottato con Delib. 12 giugno 1970 e successivamente modificato con Delib. 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito dall’ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l’espressa inclusione >. Inoltre, non osta che l’elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto.
5. La corte di merito, nel caso di specie, ha valutato negativamente la sussistenza dei caratteri della fissità e continuità nella erogazione dell’indennità di arricchimento professionale in favore del ricorrente, sulla base delle considerazioni che la sua consistenza economica è stabilita annualmente sulla base delle economie del precedente esercizio dell’Ente previdenziale e che il suo riconoscimento risulta condizionato al raggiungimento di specifici obbiettivi fissati dall’Ente nell’ambito della riorganizzazione del lavoro. Tale giudizio è corretto e, comunque, non risulta in alcun modo incrinato dal motivo di ricorso; in particolare, la valutazione della Corte territoriale ha rappresentato i caratteri essenziali dell’emolumento di cui si controverte mettendo in evidenza proprio la intrinseca incertezza della sua erogazione, legata al positivo riscontro del raggiungimento di specifici obbiettivi.
A fronte di tale giudizio, il ricorrente, che non riproduce neanche il contenuto della previsione contrattuale collettiva relativa all’indennità di arricchimento professionale, indicata dal contro-ricorrente nell’art. 90 del CCNL 1994-1997 per l’area dirigenza dei dipendenti degli Enti Pubblici non economici, si limita a ribadire la fondatezza della propria pretesa facendola derivare dalla mera attribuzione della qualifica di Ispettore generale senza confrontarsi in alcun modo con la sentenza impugnata e con i contenuti della giurisprudenza di questa Corte di legittimità sopra ricordati.
6. Il secondo motivo è inammissibile. Il ricorrente lamenta l’incoerenza tra dispositivo, contenente la pronuncia di condanna dell’Istituto a corrispondere le differenze sul trattamento pensionistico relativo alla inclusione nella base di calcolo dell’indennità di funzione nei limiti della prescrizione sin dal 1.1.1999, e la motivazione ove si afferma che tale condanna sia riferita al periodo 1.11.1999 – 25 novembre 1999. Si tratta, dunque, di un palese ed insanabile contrasto che rivela la limitazione dell’ambito della condanna operato dalla motivazione rispetto a quanto contenuto in dispositivo. Il vizio ipotizzabile, dunque, non sarebbe quello relativo alla motivazione fatto valere in ricorso, ma quello relativo alla nullità della sentenza di cui all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. Tuttavia, anche a prescindere dall’erronea indicazione del vizio astrattamente invocabile, come ripetutamente affermato da questa Corte di legittimità, il dictum si esprime nel dispositivo della sentenza letto in udienza, il quale assume rilevanza autonoma in quanto contenente gli elementi del comando giudiziale che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione (cfr. ex plurimis: Cass. 15.1.96 n. 279; 30.07.92 n. 9131; Cass. 22.1.88 n. 505). Il principio dell’interpretazione del dispositivo della sentenza mediante motivazione (Cass. 8.03.07 n. 5337), benché applicabile anche nel rito del lavoro, inoltre, non può sanare contrasti irriducibili fra motivazione e dispositivo dovendo in tal caso darsi la prevalenza al secondo che, acquistando pubblicità con la lettura fattane in udienza, cristallizza stabilmente la statuizione emanata nella concreta fattispecie (Cass. 12.10.98 n. 10095).
7. Nel caso di specie il contrasto tra le due parti è inconciliabile, in quanto mentre la motivazione afferma il diritto solo sino al 25 novembre 1999, il dispositivo, lo riconosce senza limiti dal 1.1.1999, con la conseguenza che il ricorrente non ha un interesse processualmente rilevante (art. 100 c.p.c.) a far dichiarare la nullità della sentenza né a far affermare che il diritto al computo della indennità di funzione vada computato anche oltre il 1.1.1999, atteso che, essendo il comando giudiziale contenuto nel dispositivo letto in udienza, l’esito della controversia corrisponde esattamente all’esito sperato (circa la mancanza dell’interesse ad impugnare in tale situazione processuale, v. Cass. 8.11.01 n. 13839, 22.1.88 n. 505 e 18.11.87 n. 8456). La circostanza che il dictum giudiziale risieda nel dispositivo, inoltre, impedisce che le enunciazioni incompatibili contenute nella motivazione siano suscettibili di passare in giudicato ed arrecare pregiudizio giuridicamente apprezzabile (v. Cass. n. 505 del 1988 cit.; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21885; n. 23463 del 2015).
7. Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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