CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 18070 depositata il 23 giugno 2023

Lavoro – Licenziamento disciplinare – Illegittimità – Intempestività della contestazione di addebito – C.C.N.L. per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dall’impresa creditizia –  Insussistenza del fatto contestato – Tutela reintegratoria debole – Inapplicabilità – Art. 18 comma 5 della Legge n. 300/1970 – Accoglimento parziale

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza del Tribunale di Gela, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato a M.L.I. dalla B.M.P.S. s.p.a. il 20 febbraio 2017 e, dichiarato risolto il rapporto di lavoro a far data dal 21.2.2017, ha condannato la Banca al pagamento di un’indennità risarcitoria liquidata in dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita oltre interessi legali dalla risoluzione del rapporto al soddisfo.

1.1. Il giudice di appello, per quanto interessa, ha ritenuto che – pacifici i fatti contestati nella loro materialità, come già accertato sia in sede sommaria che in sede di opposizione – le violazioni contestate dalla Banca al dipendente, che aveva consapevolmente disatteso le procedure dettate per le operazioni eseguite, erano gravi non essendo consentito al lavoratore di contrastarle e modificarle e restando irrilevante il fatto che da tali comportamenti non era stato tratto alcun vantaggio personale essendo peraltro stato accertato che aveva comunque avvantaggiato dei terzi. Tuttavia, ha accertato l’intempestività della contestazione di addebito, intervenuta a distanza di tempo dalla data in cui il fatto era stato pienamente accertato. Nell’addivenire a tale decisione la Corte territoriale, nel richiamare l’art. 55 bis comma 4 del d.lgs. n. 165 del 2001, ha ritenuto irrilevante la dimensione della società. Stante la natura procedimentale della violazione accertata, ha quindi applicato la tutela risarcitoria dettata dall’art. 18 comma 5 della legge n. 300 del 1070 e ss. mm..

2. M.L.I. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con due articolati motivi. La B.M.P.S. s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso ed ha proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. L’I. ha resistito con tempestivo controricorso. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso incidentale e del primo motivo del ricorso principale con accoglimento del secondo motivo del ricorso principale. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

3. Il ricorso principale.

3.1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 18 comma 4 della legge n. 300 del 1970, dell’art. 44 del c.c.n.l. per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dall’impresa creditizia e dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c..

Deduce il ricorrente che l’art. 44 del c.c.n.l. di settore non enuclea gli illeciti disciplinari in base ai quali irrogare il licenziamento e neppure le infrazioni punibili con una più lieve sanzione. Esso prevede che il rapporto si risolva quando il dipendente si renda responsabile di un “notevole” inadempimento (giustificato motivo soggettivo) o di mancanze relative a doveri che siano di entità tale da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto (giusta causa). Per conseguenza la mancanza che non sia notevole è punibile solo con una sanzione conservativa.

Sottolinea poi che, nell’apprezzare la condotta ed individuare la sanzione, occorre avere riguardo alla gravità della mancanza, alla eventuale recidività e al grado di colpa ed evidenzia che la Corte di appello, diversamente dal Tribunale, nell’apprezzare la condotta del lavoratore e ritenere legittimo il licenziamento per tale aspetto, avrebbe trascurato ogni riferimento all’aspetto soggettivo che invece era stato valorizzato nella fase sommaria e dell’opposizione per confermare l’illegittimità del licenziamento.

A tal proposito ha posto in rilievo che non era stato mai rappresentato al lavoratore di non poter attuare la procedura denominata <<NPAB>> la quale, anzi, era indicata all’interno del manuale operativo dei dipendenti senza alcuna prescrizione ostativa.

Ritiene perciò che, in tale contesto, la forzatura del blocco operata per superare la procedura attivata in automatico, in mancanza di specifici divieti e tenuto conto della temporaneità dell’azione attuata senza poi sottrarsi alle spiegazioni richieste dai funzionari ispettivi, avrebbe dovuto convincere dell’inesistenza dell’inadempimento notevole.

Ancora poi sottolinea che il tempo trascorso tra la conoscenza del fatto e la sua contestazione, con un rapporto di lavoro che è pacificamente proseguito senza alcuna reazione immediata anche solo cautelare, era sintomatico dell’inesistenza della giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro in relazione all’impossibilità di proseguirlo anche solo temporaneamente.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare e la violazione dell’art. 18 comma 4, in subordine comma 5, della legge n. 300 del 1970 e ss.mm. in relazione all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale ed ai principi in materia di rapporti tra la disciplina di legge generale e quella della legge speciale oltre che in relazione agli artt. 1375 e 1175 c.c. ed all’art. 3 della Costituzione. Denuncia poi la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e degli artt. 38 e 44 del c.c.n.l. 31 marzo 2015 per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dall’impresa creditizia, finanziarie e strumentali.

Deduce il ricorrente che la Corte di merito nel dichiarare illegittimo il licenziamento, perché tardivamente intimato, ha erroneamente applicato l’art. 18 comma 6 dello Statuto. Sostiene il ricorrente che più correttamente si sarebbe dovuto applicare l’art. 18 comma 4 della legge 300 del 1970 nel testo vigente, tenuto conto del fatto che nella specie non solo era trascorso quasi un anno tra la conoscenza dei fatti da parte della datrice di lavoro e la contestazione di addebito ma inoltre, medio tempore, il lavoratore aveva proseguito la sua attività svolgendo anche compiti di responsabilità (quali l’apertura della filiale nella giornata del sabato per consentire ai clienti interessati la conversione di obbligazioni subordinate) ed aveva ricevuto al riguardo anche degli elogi.

Sostiene allora il ricorrente che la fattispecie, complessivamente valutata e tenuto conto del tempo trascorso, avrebbe dovuto essere ricondotta all’ipotesi di insussistenza del fatto contestato con conseguente applicazione della tutela reintegratoria c.d. debole prevista dal comma 4 del citato art.18. Inoltre, in via subordinata, insiste per l’applicazione dell’art. 18 comma 5 della stessa legge.

4. Il ricorso incidentale.

4.1. Con l’unico motivo di ricorso incidentale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 anche in relazione all’art. 1375 e 1175 c.c. ed all’art. 55 bis comma 4 del d.lgs. n. 165 del 2001.

Ad avviso della ricorrente l’immediatezza della contestazione avrebbe dovuto essere valutata tenendo conto del momento in cui le mancanze del dipendente erano state compiutamente accertate e, quindi, portate a conoscenza degli organi competenti ad esercitare il potere disciplinare e che erroneamente la Corte di merito aveva invece ritenuto rilevante per tale finalità l’astratta conoscibilità dei fatti (individuata nella data del 1° maggio 2016) e non piuttosto, come dovuto, quella della loro effettiva conoscenza, il 10 novembre 2016, quando la relazione investigativa era stata trasmessa agli organi della Banca competenti e istruire i procedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti con conseguente tempestività della contestazione del 12 dicembre 2016 a maggior ragione ove si consideri la vastità e complessità del materiale da esaminare e rielaborare per la predisposizione della lettera di addebito e si tenga conto della particolare complessità dell’organizzazione aziendale e dell’esistenza di una scala gerarchica articolata che implica la mancanza di un diretto contatto del dipendente con il titolare dell’organo abilitato esprimere la volontà imprenditoriale di recedere dal rapporto.

5. Il ricorso incidentale, il cui esame è logicamente prioritario, è inammissibile.

5.1. Questa Corte, con giurisprudenza costante (cfr. tra le tante Cass. 20/06/2006 n. 14115, Cass. 12/05/2005 n. 9955 e anche recentemente Cass. n. 23068 del 2021), ha ritenuto che il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui “ratio” riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo non solo da rendere difficile la difesa del dipendente ma anche di perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto (che nello specifico è stato accertato che si era protratto per tutto il tempo senza alcuna iniziativa anche di carattere cautelare). Si tratta di principio che è stato descritto come pluridirezionale. Accanto alla fondamentale funzione di garantire il diritto di difesa del lavoratore, agevolato nell’addurre elementi di giustificazione a breve intervallo di tempo dall’infrazione, vi è quella di non perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto (cfr. Cass. 11/08/2015 n. 16683 ed ivi ampi richiami di giurisprudenza). Una nozione, quella dell’immediatezza della contestazione, da intendere in maniera relativa, correlata al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, procedendo ad un adeguato accertamento e una precisa valutazione dei fatti (cfr. Cass. n. 29480 del 2008, n. 22066 del 2007, n. 1101 del 2007, n. 14113 del 2006 e n. 4435 del 2004) e da valutare con riferimento al tempo in cui i fatti sono conosciuti dal datore di lavoro, e non a quello in cui essi sono avvenuti. La conoscenza deve tradursi nella ragionevole configurabilità dei fatti oggetto dell’inadempimento, inteso nelle sue caratteristiche oggettive, nella sua gravità e nella sua addebitabilità al lavoratore (cfr. al riguardo oltre alla già citata Cass. n. 16683 del 2015 le sentenze ivi richiamate Cass. 27/02/2014 n. 4724 e 26/03/2010 n. 7410). In tale contesto ben può il datore di lavoro procedere a verifiche preliminari necessarie (cfr. Cass. 08/03/2010 n. 5546, 17/12/2008 n. 29480). La valutazione dei fatti del giudice di merito il quale, come nella specie è avvenuto, abbia accertato la tardività della contestazione di addebito tenendo conto dei parametri sopra indicati e ancorando la sua decisione ad elementi oggettivamente riscontrati non è censurabile in cassazione.

Nel caso in esame la Corte territoriale, esercitando il potere attribuitole di valutazione i fatti portati alla sua attenzione per verificare la tempestività della contestazione di addebito, ha accertato che la datrice di lavoro aveva raggiunto una piena consapevolezza dei fatti da contestare al lavoratore dal mese di maggio del 2016 ed aveva ingiustificatamente procrastinato la contestazione dell’addebito al 23 dicembre 2016. Per addivenire all’accertamento della tardività della contestazione il giudice di appello ha constatato che nel gennaio del 2016 erano stati avviati alcuni accertamenti preliminari ed erano stati chiesti al lavoratore i primi chiarimenti relativamente ad alcune questioni personali oltre che ad un ampio spettro di operazioni compiute. Ha poi ritenuto che – in mancanza di allegazioni diverse da parte della Banca che avrebbe potuto e dovuto chiarire le ragioni per le quali i tempi si erano dovuti dilatare fino quasi alla fine dell’anno – l’arco temporale necessario per completare l’iter di accertamento dei fatti, tenuto conto della complessità delle verifiche e dell’articolata organizzazione della Banca che si avvale di un servizio ispettivo non poteva superare per ogni singola fase la durata di un mese e così è pervenuta al convincimento che, superato tale intervallo temporale, la contestazione doveva essere ritenuta tardiva.

Si tratta di conclusione logica coerente e aderente ai fatti allegati ed alle prove offerte che tiene conto del fatto che, pur con riguardo ad una organizzazione aziendale complessa e articolata sul territorio, un tale differimento in mancanza di idonee giustificazioni non può che essere ascritto alla cattiva organizzazione del datore di lavoro (Cass. 19/11/2021 n. 35664). Pertanto la sentenza sul punto non solo non si espone alle censure che le vengono mosse ma rispetto ad esse a questa Corte è preclusa ogni ulteriore indagine.

6. Venendo all’esame del ricorso principale anche il suo primo motivo è inammissibile.

6.1. La Corte di merito ha proceduto all’esame dei fatti contestati, pacifici nella loro materialità, e ne ha correttamente desunto la giusta causa di licenziamento sottolineando che, ai fini della sua gravità (specificatamente del notevole inadempimento), ciò che rileva non è tanto e soltanto il danno arrecato quanto piuttosto l’idoneità della condotta a ledere il vincolo fiduciario da valutare tenuto conto del tipo di mansioni svolte.

In tale prospettiva il giudice di secondo grado ha esattamente valorizzato l’elemento soggettivo della condotta, consapevole e volontaria (dolo generico), e la circostanza della consapevolezza di agire in contrasto con specifiche e cogenti direttive datoriali. Tale consapevolezza non ha riguardato solo il comportamento ma anche la sua qualificazione in termini di inadempimento ai doveri incombenti sul lavoratore. In sostanza questi non solo era inadempiente ma con piena consapevolezza voleva esserlo. È in esito a tale ricostruzione che la Corte di appello ha ritenuto che la condotta accertata fosse lesiva dell’affidamento che deve sorreggere il rapporto di lavoro incrinando l’aspettativa di un corretto adempimento della prestazione nel futuro.

Così facendo il giudice di merito ha proceduto ad una valutazione della condotta in tutti i suoi aspetti, oggettivi e soggettivi, e l’ha sussunta in una giusta causa di licenziamento attenendosi a standard del tutto condivisibili nella valutazione delle condotte accertate.

6.2. Il secondo motivo del ricorso principale è parzialmente fondato nei limiti di seguito esposti.

6.3. Esso non può essere accolto per la parte in cui chiede che si applichi la tutela prevista dal quarto comma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, nel testo novellato dalla legge n. 92 del 2012 ratione temporis applicabile.

6.3.1. Al riguardo va rilevato che la circostanza che il fatto tardivamente contestato comporti l’illegittimità del licenziamento non implica di per sé che lo stesso sia insussistente. L’ordinamento esclude la possibilità di una reazione eccessivamente tardiva a tutela del lavoratore poiché, come più sopra ricordato, il decorso del tempo può refluire sia sulla capacità di apprestare una difesa adeguata sia sull’affidamento che il destinatario può riporre nella irrilevanza disciplinare della sua condotta. L’immediatezza della contestazione è elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro ma è esterno alla condotta disciplinarmente rilevante posta in essere dal lavoratore che integra la fattispecie giuridica astrattamente punibile con il licenziamento.

Tanto premesso va ricordato che la tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4 citato è applicabile ove il fatto contestato sia insussistente. In tale nozione è compresa l’ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto che, pur sussistente, sia tuttavia privo del carattere di illiceità ma non anche il caso in cui difetti un elemento necessario per poter applicare una sanzione, qual è appunto l’inosservanza di un tempo ragionevole per intraprendere il procedimento disciplinare.

Come già ritenuto da questa Corte (cfr. Cass. 10/02/2020 n. 3076), infatti, la tutela applicabile va individuata solo una volta che sia stata accertata l’assenza di una giusta causa di licenziamento che si compendia anche dell’aspetto connesso alla tempestiva reazione all’inadempimento del lavoratore.

Resta allora integro il potere del giudice di verificare se il fatto addebitato, in disparte la tempestività della contestazione, configurasse o meno un grave illecito disciplinare sul quale fondare la risoluzione del rapporto di lavoro ed accertatane la sussistenza nella sua materialità occorre altresì verificarne la sua illiceità e, solo ove la si escluda, può trovare applicazione la tutela prevista dall’ art. 18, comma 4, della l. n. 300 del 1970.

6.3.2. Venendo all’esame del caso in cui il fatto sia stato accertato ma la contestazione dell’addebito disciplinare sia stata effettuata con notevole e ingiustificato ritardo ritiene il Collegio che debba trovare applicazione la tutela indennitaria di cui al quinto comma dell’art. 18 e non quella di cui al sesto comma della stessa norma come invece ritenuto dal giudice di appello, dovendosi così accogliere sul punto il ricorso.

Occorre distinguere al riguardo il caso in cui le norme del contratto collettivo o la stessa legge prevedano dei termini per la contestazione dell’addebito disciplinare da quelli in cui invece non vi sia alcuna disposizione che regoli i tempi del procedimento.

Nel primo caso, infatti, la violazione dei tempi stabiliti è attratta, in quanto caratterizzata da contrarietà a norma di natura procedimentale, nell’alveo di applicazione del sesto comma del citato art. 18 che, nella sua nuova formulazione, è collegato alla violazione delle procedure di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e dell’articolo 7 della legge n. 604 del 1966.

Quando invece si faccia riferimento alla nozione generale ed indeterminata di tempestività della contestazione di addebito e sia denunciata, come nel caso in esame, l’esistenza di un ritardo notevole e non giustificato nell’avviare il procedimento disciplinare deve trovare applicazione l’art. 18 comma 5 della legge n. 300 del 1970, così come modificata dal comma 42 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012 (in questo senso si veda Cass. 27/12/2017 n. 30985). L’ intempestività della contestazione connota il comportamento datoriale che viola i canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. i quali governano anche l’esercizio del potere disciplinare il quale deve essere improntato alla massima trasparenza poiché incide sulle sorti del rapporto e sulle relative conseguenze giuridiche ed economiche.

Come si è già ricordato, la mancanza di tempestività della contestazione disciplinare può indurre il lavoratore a ritenere che il datore di lavoro voglia soprassedere al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la sua colpa.

Nella citata sentenza n. 30985 del 2017 questa Corte ha posto in evidenza che il comportamento del datore di lavoro, che in violazione dei principi di correttezza e buona fede ritardi oltremodo e senza un’apprezzabile giustificazione la contestazione disciplinare, determina un affidamento nel lavoratore e non si pone più una questione di violazione dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ma piuttosto di interpretazione secondo buona fede della volontà delle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro.

L’obbligazione dedotta in contratto ha lo scopo di soddisfare l’interesse del creditore della prestazione e l’inerzia del datore di lavoro di fronte alla condotta astrattamente inadempiente del lavoratore può essere considerata quale dichiarazione implicita, per facta concludentia, dell’insussistenza in concreto di una lesione del suo interesse. Pertanto, poiché ciascun contraente resta vincolato agli effetti del significato socialmente attribuibile alle proprie dichiarazioni e ai propri comportamenti, la tardiva contestazione disciplinare non può che assumere il valore di un inammissibile “venire contra factum proprium”, la cui portata di principio generale è riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità argomentando proprio sulla scorta della sua contrarietà ai principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod.civ. (Cass. ult. cit.).

In sintesi, in questo caso – pur sussistente l’inadempimento posto a base del licenziamento – la mancanza di una tempestiva contestazione disciplinare in violazione dei principi di correttezza e buona fede comporta il venir meno della punibilità per effetto della condotta dallo stesso datore di lavoro tenuta e si rientra in quelle “altre ipotesi” per le quali si applica il quinto comma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

7. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso principale deve essere accolto nei limiti sopra esposti quanto al suo secondo motivo mentre deve essere dichiarato inammissibile il primo così come è inammissibile il ricorso incidentale. Per l’effetto la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Caltanissetta in diversa composizione che rivedrà le conseguenze della tardiva contestazione alla luce dei principi sopra esposti.

Alla Corte del rinvio è demandata inoltre la regolazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Accoglie nei sensi di cui in motivazione il secondo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il primo motivo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Caltanissetta in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.