CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 18197 depositata il 26 giugno 2023

Lavoro – Procedimento disciplinare – Sospensione e riattivazione all’esito del procedimento penale – Licenziamento – Autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale – Non necessità di attendere l’irrevocabilità della sentenza penale – Dichiarazioni rese dal lavoratore in sede di audizione – Omissione di doveri di ufficio e condotta concussiva – Rigetto – cd. “doppia conforme” – principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ.

Fatti di causa

1. – La Corte d’appello di Lecce ha respinto il reclamo proposto da G.D.G. relativo all’impugnazione del licenziamento intimatogli dal Comune di Francavilla Fontana in data 28 giugno 2018.

2. – Limitatamente a quanto qui rileva, la Corte territoriale ha sintetizzato la vicenda processuale nei seguenti termini.

2.1. – Il Tribunale di Brindisi, previo mutamento del rito, aveva respinto il ricorso proposto dal D.G., agente di polizia locale dipendente del Comune di Francavilla Fontana, per la declaratoria di illegittimità del provvedimento del 13 ottobre 2014 di sospensione del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti nonché del successivo licenziamento irrogatogli per violazione degli artt. 55 ter e quater del d.lgs. n. 165 del 2001.

2.2. – Il Tribunale aveva respinto il ricorso non ravvisando alcuna violazione dell’art. 55 ter cit. in quanto la sospensione del procedimento disciplinare era stata motivatamente disposta, così come correttamente ne era stata disposta la riattivazione una volta conosciuto l’esito del procedimento penale in primo grado, non essendo necessario attendere l’irrevocabilità della sentenza di condanna; inoltre, non si era verificata alcuna decadenza, in quanto l’Ufficio per i procedimenti disciplinari, una volta sospeso il procedimento disciplinare con il verbale del 13 ottobre 2014, non lo aveva riattivato con il verbale del 13 ottobre 2015 (atto con il quale «riconfermata la sospensione del procedimento disciplinare», si era proceduto all’audizione del ricorrente, prima impedita dalla sottoposizione del medesimo a misura restrittiva della libertà, ed alla sua riammissione in servizio con altro incarico), bensì con il verbale del 6 marzo 2018; non era configurabile la violazione del principio del ne bis idem, in quanto la sanzione conservativa della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per trenta giorni di cui alla nota del 29 dicembre 2015, non impugnata, era stata adottata per non avere il ricorrente «comunicato all’Autorità giudiziaria o al superiore gerarchico la notitia criminis riguardante il tentativo di corruzione, contravvenendo al preciso obbligo di denuncia prescritto dall’art. 361 del codice penale e dall’art. 331 del c.p.c.» nonché per non aver irrogato la sanzione prevista dal codice della strada per occupazione abusiva del suolo pubblico, previa redazione del processo verbale delle infrazioni rilevate in occasione dell’accesso effettuato presso la sede dell’Automercato del D.C.; infatti, tale contestazione, scaturente dalle dichiarazioni rese dal lavoratore nel corso dell’audizione disposta nell’ambito del procedimento disciplinare conclusosi con il licenziamento, riguardava fatti ontologicamente diversi e condotte disciplinari distinte da quelle addotte per il recesso; infine, l’eccepita violazione dell’art. 55 quater cit. non era ravvisabile in ragione del chiaro tenore della norma, che, pur tipizzando le condotte assoggettate alla massima sanzione, aveva fatto salve le ulteriori ipotesi indicate dalla contrattazione collettiva.

2.3. -Avverso tale ordinanza aveva proposto opposizione il lavoratore, lamentando che il Tribunale si fosse discostato dalla prospettazione difensiva del Comune, secondo cui il licenziamento sarebbe stato intimato a conclusione di un terzo procedimento disciplinare attivato nel marzo 2018 a seguito della sentenza penale di primo grado, così giungendo alla decisione per una “terza via” ed omettendo di valorizzare il contenuto confessorio della avversa tesi; inoltre la sentenza penale non aveva apportato alcun elemento conoscitivo ulteriore rispetto a quanto emerso in sede di perquisizione, sicché il Comune era già a conoscenza di tutti gli atti di indagine, perché costituito parte civile; peraltro, la sospensione del procedimento poteva cessare solo con l’irrevocabilità della sentenza penale; la condotta oggetto della sanzione conservativa non impugnata era sovrapponibile a quella contestata ai fini del licenziamento, con conseguente consumazione dell’esercizio del potere disciplinare.

2.4. – L’opposizione era stata respinta per i motivi già indicati nell’ordinanza impugnata.

3. – Così sintetizzati i fatti, la Corte di merito, in relazione ai motivi di impugnazione (che non avevano attinto la proporzionalità della sanzione) ha dapprima osservato – in relazione al presunto valore “confessorio” delle difese dell’ente per l’asserita apertura di un “terzo” procedimento disciplinare – che il giudice è tenuto ad esprimere il convincimento nei limiti della domanda, sulla base della produzione documentale e delle acquisizioni istruttorie, ma non ad aderire alle prospettazioni di parte, dovendosi escludere sul punto il valore confessorio della difesa del Comune, nel caso di specie espressivi della volontà della P.A., i cui effetti discendono direttamente da norme di legge (artt. 55 e ss. del d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2009).

3.1. – Quanto alla prospettata decadenza dall’esercizio del potere disciplinare, la contestazione fu formulata nel verbale del 9 settembre 2014 tramite la riproduzione dei fatti riportati nel decreto di perquisizione del Pubblico Ministero, fissando contestualmente l’audizione per il giorno 14 ottobre 2014; nel successivo verbale si diede atto della impossibilità di procedere all’audizione, perché il D.G. era sottoposto alla misura coercitiva degli arresti domiciliari e si provvide alla sospensione del procedimento disciplinare sino al termine del procedimento penale, «considerato che la contestazione ha ad oggetto infrazioni di superiore gravità e che ad oggi l’Ufficio non dispone di elementi sufficienti e utili per il prosieguo del procedimento e non è in grado di accertare i fatti al fine dell’irrogazione della sanzione» e «riservandosi di disporre, con separato atto, altre opportune determinazioni, al termine della durata dello stato restrittivo della libertà»; sicché la scelta discrezionale di sospendere il procedimento disciplinare risultava ampiamente motivata.

3.2. – Inoltre, il procedimento disciplinare non fu riattivato con il verbale del 13 ottobre 2015, in quanto tale atto trovava il suo presupposto nella nota con la quale il lavoratore aveva chiesto di essere reintegrato in servizio, una volta revocata la misura cautelare, sicché con il predetto verbale l’UPD aveva preso atto della cessazione della sospensione obbligatoria dal servizio a seguito della revoca degli arresti e aveva disposto la convocazione del lavoratore per il contraddittorio a difesa delle contestazioni nonché la sospensione facoltativa dal servizio; l’audizione, anticipata su richiesta del difensore del lavoratore al 29 ottobre 2015, aveva fatto emergere nuovi profili di condotte sanzionabili da accertarsi in separato procedimento, mentre l’UPD aveva confermato la sospensione del procedimento disciplinare in attesa dall’esito del procedimento penale, riammettendo in servizio il lavoratore con assegnazione di altre mansioni. Doveva escludersi che tale atto comportasse la riattivazione del procedimento disciplinare, in quanto l’UPD aveva proceduto all’audizione in relazione alla contestazione a suo tempo formulata resa possibile a seguito della cessazione della misura restrittiva, quale atto che l’UPD si era riservato di disporre nel precedente verbale del 13 ottobre 2014, non essendo emersi elementi nuovi che giustificassero una riapertura del procedimento, in relazione allo stato del procedimento penale (dibattimento appena aperto, senza che la costituzione di parte civile avesse consentito l’acquisizione di nuovi elementi, che dovevano essere vagliati nel contraddittorio dibattimentale). Il verbale del 29 ottobre 2015, nel cui ambito era stata valutata anche la richiesta di riammissione in servizio, “confermava” la sospensione del procedimento disciplinare, esprimendo in modo inequivocabile la volontà dell’ente di non “riprendere” il procedimento medesimo.

3.3. – A seguito della comunicazione della sentenza di condanna di primo grado (sentenza di condanna a quattro anni di reclusione con interdizione dai pubblici uffici ed applicazione della sanzione di cui all’art. 32 quinquies cod. pen.), il procedimento disciplinare fu “ripreso” e ne fu data immediata notizia al lavoratore con nota del 9 marzo 2018, risultando nella facoltà della P.A., anche prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 75 del 2017, di riattivare il procedimento disciplinare senza attendere il giudicato penale.

3.4. – Quanto alla dedotta violazione del principio del ne bis in idem, con riferimento alla sanzione conservativa irrogata, la stessa fu applicata a seguito di autonomo procedimento disciplinare scaturito dall’aver appreso di ulteriori condotte in violazione dei doveri legati alla funzione di agente di vigilanza spontaneamente confessate dal lavoratore in sede di audizione, senza poter configurare la censurata sovrapposizione di fatti, rispetto a quelli che avevano condotto al licenziamento, in quanto, per come desumibile dalla sentenza penale, sebbene il contesto ruotasse intorno alla vicenda del D.C. (vittima della concussione, che il D.G. aveva tentato di accreditare come corruttore), non era possibile sovrapporre la condotta concussiva posta a base del licenziamento con quella sanzionata con la misura conservativa, consistente nell’omessa denuncia all’A.G. ed ai superiori gerarchici delle ipotesi di abusivismo (sussistenti o meno) nonché nell’omessa redazione del processo verbale di infrazione nel corso di accesso e del verbale di irrogazione delle sanzioni.

3.5. – Quanto, infine, alla censura relativa alla interpretazione dell’art. 55 quater, non erano state prospettate doglianze ammissibili, così come era infondata la censura sulla condanna alle spese.

4. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il D.G. articolando cinque motivi, cui resiste la Città di Francavilla Fontana con controricorso.

5. – Il ricorrente ha chiesto la discussione orale e depositato memoria.

6. – Il processo giunge in decisione all’esito della trattazione in pubblica udienza nella quale sono intervenuti il difensore del ricorrente e il rappresentante del Pubblico Ministero, che ha concluso per l’inammissibilità o comunque per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 55 bis e 55 ter del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e contraddittoria e illogica motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, per la disposta originaria sospensione del procedimento disciplinare, che doveva e poteva essere concluso entro i prescritti centoventi giorni dalla contestazione, in difetto di idonea motivazione, non essendo emerso alcun elemento ulteriore dalla sentenza penale di primo grado e non avendo comunque atteso l’irrevocabilità della sentenza per la riapertura del procedimento disciplinare illegittimamente sospeso.

1.1. – Il motivo, nei termini formulati, è in parte infondato e, in larga misura, inammissibile.

1.2. – Infatti, la censura è infondata nella parte in cui evoca la violazione o falsa applicazione degli artt. 55 bis e 55 ter del d.lgs. n. 165 del 2001, in quanto, per come accertato dai giudici di merito, l’amministrazione, appresa la notizia della pendenza del procedimento penale, ha proceduto ad attivare il procedimento disciplinare per i medesimi fatti con la formulazione della contestazione ed a disporne la sospensione, ai sensi dell’art. 55 ter del citato decreto legislativo, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 75 del 2017, motivando in ordine alla complessità dell’accertamento del fatto addebitato al lavoratore ed alla indisponibilità di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, in conformità alla predetta disposizione, rispetto alla quale non è configurabile la censurata violazione, risolvendosi ogni ulteriore deduzione in un’inammissibile censura di merito.

1.3. – Il motivo è altresì infondato nella parte in cui intende censurare la riattivazione del procedimento disciplinare prima del passaggio in giudicato della sentenza penale: come da consolidato indirizzo di questa Corte, da cui non vi sono motivi per discostarsi, l’art. 55 ter del d.lgs. n. 165 del 2001, già nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 75 del 2017, deve essere interpretato tenendo conto della ratio della disciplina e delle ragioni che stanno alla base dell’affermata autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, che non giustificano il protrarsi della sospensione una volta che gli sviluppi del processo penale consentano la ripresa e la definizione dell’iniziativa disciplinare, sicché il giudicato penale segna solo il termine massimo finale della sospensione e non vincola l’amministrazione ad attendere l’irrevocabilità della sentenza penale (fra molte, Cass. Sez. L, 29/12/2021, n. 41892, che ha escluso altresì la violazione del principio di non colpevolezza sancito dall’art. 27 Cost., che concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può essere applicato, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore suscettibile di integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto).

1.4. – Sono invece inammissibili le doglianze formulate ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in quanto precluse dalla cd. “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., che ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice, come nella specie (in tal senso, Cass. Sez. 6-2, 09/03/2022, n. 7724).

2. – Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 167, 414, 416, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., in quanto non è stato considerato che il Comune non aveva contestato il rilievo circa l’illegittima sospensione, per essere stata addotta la diversa tesi dell’apertura di un ulteriore procedimento disciplinare a seguito della sentenza di condanna.

2.1. – Il secondo motivo – in disparte ogni considerazione sull’inammissibilità della censura formulata ai sensi ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. per le ragioni già espresse al punto precedente – è infondato, in quanto la Corte non è incorsa nelle dedotte violazioni di legge, atteso che, per costante indirizzo di questa Corte, la qualificazione giuridica del fatto esula dall’ambito della confessione, la quale può avere ad oggetto solo circostanze obiettive e non già opinioni o giudizi (Cass. Sez. L, 06/08/2003, n. 11881; in senso conforme, Cass. Sez. 3, 18/10/2011, n. 21509 e, più di recente, Cass. Sez. 3, 27/02/2019, n. 5725), così come il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. Sez. 3, 05/03/2020, n. 6172, in senso conforme Cass. Sez. 3, 17/11/2021, n. 35037).

3. – Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 ter comma 4 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 167, 414, 416, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., per erronea valutazione delle risultanze istruttorie e della prova documentale, con particolare riferimento all’erronea percezione ed interpretazione del contenuto dei verbali del 13 ottobre 2014 e del 29 ottobre 2015, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e contraddittoria e illogica motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., con riferimento al riavvio del procedimento disciplinare con il verbale del 13 ottobre 2015, poi nuovamente sospeso con il verbale del 29 ottobre 2015, senza concluderlo nel termine di centottanta giorni, ribadendosi che la difesa dell’amministrazione non aveva contestato la sospensione illegittima e la riapertura, bensì aveva assunto di aver aperto un ulteriore procedimento disciplinare.

3.1. – Il motivo, come già significato per i precedenti, è inammissibile nella parte in cui intende prospettare una censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., ed è infondato, quanto alla dedotta violazione di legge, in quando tende a riproporre, sul piano della interpretazione dei verbali del 13 ottobre 2014 e del 29 ottobre 2015, la tesi della valenza ammissiva della prospettazione resa dall’ente, già dedotta e superata in relazione al secondo motivo, senza che siano state denunciate specifiche violazioni dei canoni ermeneutici, eventualmente rilevanti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.

4. – Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen., dell’art. 2909 cod. civ. e del principio del ne bis in idem, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., in quanto la P.A. aveva consumato il potere disciplinare con l’irrogazione della sanzione conservativa, per essere il fatto sovrapponibile a quello che aveva condotto al recesso, dal momento che tale prospettazione costituiva la difesa svolta dal lavoratore nella diversa ricostruzione e qualificazione dei medesimi fatti per i quali era poi intervenuta la sentenza di condanna.

4.1. – La censura è infondata, posto che i giudici di merito hanno concordemente escluso, sul piano fattuale, la sovrapponibilità degli addebiti oggetto del secondo procedimento disciplinare, originato dalle dichiarazioni rese dal lavoratore in sede di audizione, e posti a fondamento della sanzione conservativa, a quelli oggetto del procedimento penale e che avevano condotto all’irrogazione del licenziamento: infatti, i primi, pur gravitando nel medesimo contesto che aveva originato il procedimento penale, risultavano contraddistinti dall’omissione rispetto ai doveri di ufficio (omessa denuncia all’A.G. ed ai superiori gerarchici delle ipotesi di abusivismo nonché nell’omessa redazione del processo verbale di infrazione nel corso di accesso e del verbale di irrogazione delle sanzioni, per come emerge dalla sentenza impugnata), mentre i secondi si caratterizzavano per la condotta concussiva, che aveva comportato la condanna in sede penale. A fronte di tale ricostruzione sul piano fattuale – insindacabile nella presente sede – non è configurabile la dedotta violazione del principio del ne bis in idem, attesa la sostanziale diversità ed alterità degli addebiti, nella pur verosimile identità del disegno criminoso (volendo sussumere la vicenda in ambito penalistico).

5. – Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., per la condanna al pagamento delle spese di lite.

5.1. – La censura è infondata, in diretta conseguenza della reiezione dei precedenti motivi, ed inammissibile nella parte in cui tende a censurare la mancata compensazione delle spese di lite, quale valutazione non sindacabile nella presente sede («In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi.» (fra molte, Cass. Sez. 6-3, 17/10/2017, n. 24502).

6. – Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

7. – Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.000,00 euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.