Corte di Cassazione sentenza n. 204 depositata il 8 gennaio 2018
INFORTUNIO SUL LAVORO – MANCATO USO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE DA PARTE DEL LAVORATORE – OBBLIGO DI SORVEGLIANZA DEL DATORE DI LAVORO SULLA CONCRETA ADOZIONE – SUSSISTENZA – RESPONSABILITA’ CONCORRENTE PER L’INFORTUNIO – SUSSISTENZA
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 20/2012, depositata il 17 maggio 2012, la Corte di appello di Trento, in riforma della sentenza di primo grado, accertava la concorrente pari responsabilità di S.A. e della società Service 3000 S.r.l. nella causazione dell’infortunio occorso il (OMISSIS), quando il lavoratore, mentre stava allestendo un ponteggio al terzo piano di un edificio, era scivolato per circa due metri nella botola utilizzata per accedervi.
2. La Corte rilevava, a sostegno della propria decisione, come il datore di lavoro avesse omesso di verificare che il proprio dipendente facesse uso, al momento del sinistro, della imbragatura per l’aggancio della cintura di sicurezza, pur essendo adibito a lavorazione su ponteggi; e come, d’altra parte, egli avesse posto in essere una condotta imprudente, anche se non qualificabile come abnorme, avendo trascurato, nello spostarsi da un piano all’altro del ponteggio, di richiudere la botola dietro di se’ mediante l’apposito coperchio.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società con due motivi, cui il lavoratore ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
2. Con il primo motivo, deducendo il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 40 e 41 c.p. e all’art. 2087 c.c., in tema di rapporto causale tra condotta del lavoratore, sue mansioni ed evento (art. 360, n. 3), la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere la Corte territoriale ritenuto abnorme, e quindi causa esclusiva dell’infortunio, la condotta posta in essere dal lavoratore, nonostante le emergenze istruttorie ne avessero confermato l’imprevedibilità ed eccezionalità.
3. Con il secondo motivo, la ricorrente, nuovamente deducendo il vizio di violazione di legge con riferimento all’art. 2087 c.c., nonche’ omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto il datore di lavoro concorrente nella determinazione del sinistro, in relazione alla mancata adozione di tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore, nonostante le risultanze istruttorie, e in particolare le acquisite dichiarazioni testimoniali, dovessero condurre ad una opposta soluzione.
4. Il primo motivo e’ inammissibile.
5. Con esso, infatti, la sentenza di appello viene di fatto censurata per ragioni attinenti non al vizio (unicamente dedotto) di violazione di legge, ex art. 360 n. 3, ma per ragioni attinenti alla coerenza e completezza del percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello per escludere l’abnormità della condotta posta in essere dal lavoratore.
6. In particolare, la ricorrente si duole, con il motivo in esame, che la Corte abbia del tutto trascurato i documenti comprovanti il ripetuto richiamo del lavoratore all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (e, pertanto, anche della cintura di sicurezza) e abbia circoscritto la valenza delle prove assunte a “mere presunzioni”, malgrado esse fornissero elementi fattuali certi e univoci a conforto della effettiva abnormità della condotta.
7. Come piu’ volte precisato da questa Corte, “il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c., – e’ proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza” (Cass. n. 18421/2009).
8. In ogni caso, e’ stato ripetutamente affermato, nel vigore dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione anteriore alla novella del 2012, il principio, per il quale “spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi’, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova. Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, e’ necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità” (Cass. n. 25608/2013).
9. Nella specie, a ricorrente si e’ invece imitata a contrapporre alla ricostruzione fattuale operata dalla Corte di appello – ricostruzione peraltro condotta in coerenza con gli esiti della giurisprudenza di legittimità in tema di rischio elettivo – una diversa e complessiva lettura, favorevole al proprio assunto, del materiale probatorio acquisito al giudizio.
10. Alla luce del principio richiamato sub 8 risulta infondato il secondo motivo di ricorso.
11. Anche a proposito di tale motivo puo’ invero osservarsi come la società ricorrente abbia genericamente riproposto considerazioni già svolte nei precedenti gradi di merito e come, in particolare, non abbia offerto elementi pertinenti, ne’ comunque decisivi, nei sensi sopra precisati, al fine di contrastare la motivazione della Corte di merito, la quale ha fondato l’accertamento di responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., non già sulla mancata predisposizione dei dispositivi di protezione individuale (come sull’omessa informazione dell’obbligatorietà del loro utilizzo o sull’assenza di solleciti, nei confronti del lavoratore, a farne impiego costante), ma sul difetto di vigilanza in ordine all’adozione in concreto di tali dispositivi di protezione sul luogo di lavoro e in relazione al compimento delle attività per le quali essi erano specificamente richiesti: cio’ che risulta con chiarezza dalla motivazione della sentenza di appello, là dove la Corte territoriale, muovendo dalle dichiarazioni del caposquadra (il quale ha riferito di non essersi accorto che il collega non indossava l’imbragatura), ha osservato come il datore di lavoro non avesse accertato “nei caso concreto che il lavoratore non faceva uso di idonea misura protettiva che avrebbe evitato o comunque attenuato le conseguenze della caduta nella botola rimasta aperta” (pp. 8-9); e inoltre là dove ha sottolineato – in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1637/1998 e successive numerose conformi) – l’obbligo, a carico del datore di lavoro, anche di una opportuna e reale “sorveglianza” (p. 10), al fine di attuare una tutela del lavoratore che sia concreta ed effettiva.
12. Il ricorso deve, in conclusione essere respinto.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Motivazione Semplificata.
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