CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 20904 depositata il 18 luglio 2023
Lavoro – INPGI – Fondo di previdenza integrativa per i giornalisti – Indennità “ex fissa” – Accordo sindacale – Prestazione previdenziale integrativa – Art. 2117 c.c. – Sistema a ripartizione del Fondo – Diritto degli iscritti ad un accantonamento – Rigetto
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 25.9.2018, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di P.S. volta ad ottenere la condanna dell’INPGI, quale gestore del Fondo di previdenza integrativa per i giornalisti, al pagamento di somme a titolo di indennità c.d. “ex fissa”.
La Corte, in particolare, muovendo dal presupposto che il Fondo avesse natura di fondo a ripartizione, anziché con accantonamento nominativo individuale, e che l’INPGI avesse documentato di aver segnalato la crisi di liquidità del Fondo stesso alle parti collettive che ne avevano disposto l’istituzione, adempiendo pertanto ai propri doveri di vigilanza, ha ritenuto sussistenti i requisiti contrattualmente previsti per l’esonero dall’obbligo di corrispondere le prestazioni in assenza della necessaria disponibilità finanziaria, escludendo che tale conseguenza potesse contrastare con il disposto dell’art. 1229 c.c. ed escludendo altresì che la fattispecie concreta potesse sussumersi nell’alveo dell’art. 1411 c.c. e dar luogo a responsabilità diretta dell’INPGI per le obbligazioni del Fondo.
Avverso tale pronuncia P.S. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura. L’INPGI ha resistito con controricorso e altrettanto ha fatto la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), intervenuta già nel corso del giudizio di primo grado a sostegno delle ragioni dell’Istituto.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione. In vista dell’udienza, le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 27, CCNL per i dipendenti del settore giornalistico, dell’art. 6, ult. co., della convenzione e dell’art. 11, ult. co., del regolamento approvati con accordo sindacale dell’8.6.1994, in relazione agli artt. 3, 4 e 5 della convenzione e agli artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 11 del regolamento, anche con riferimento agli artt. 1363, 1366 e 1370 c.c. nonché all’art. 1229 e all’art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che il Fondo di previdenza e assistenza integrativa per i giornalisti costituisse un fondo a ripartizione, invece che un fondo con accantonamento nominativo individuale, e avere conseguentemente escluso l’esigibilità della prestazione sul presupposto che l’INPGI avesse dimostrato sia l’illiquidità del credito che il corretto assolvimento degli obblighi di vigilanza e segnalazione impostigli dalla convenzione e dal regolamento.
Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della convenzione e del regolamento approvati con l’accordo sindacale dell’8.6.1994, in relazione all’art. 1411 c.c., per avere la Corte territoriale negato che la prestazione c.d. “ex fissa” contemplata dalle fonti collettive costituisse contratto a favore di terzo, con conseguente sua irrevocabilità a fronte dell’accettazione del beneficiario.
Con il terzo motivo, infine, parte ricorrente si duole di violazione degli artt. 100, 105 e 91 c.p.c., per avere la Corte di merito disposto la sua condanna alla rifusione delle spese anche in favore dell’interveniente FNSI, nonostante essa si fosse costituita tardivamente in primo grado e il relativo intervento dovesse conseguentemente reputarsi inammissibile, e comunque per eccessività dell’importo liquidato e per non essere stata disposta la compensazione.
Ciò posto, i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, in relazione all’intima connessione delle questioni e delle censure, e sono infondati.
Va premesso che, come correttamente rilevato dai giudici territoriali, la prestazione per cui è causa non ha origine legale, bensì obbligatoria, trovando causa nell’accordo sindacale sottoscritto in data 8.6.1994 e richiamato dall’art. 27 CCNL per i dipendenti di imprese giornalistiche.
Tale accordo, a sua volta, ha ad oggetto una convenzione e un regolamento volti a disciplinare la prestazione previdenziale integrativa istituita in luogo della precedente indennità fissa corrisposta ai giornalisti alla cessazione del rapporto di lavoro: in essi si prevede la costituzione presso l’INPGI di una speciale gestione per la corresponsione delle prestazioni integrative (art. 1 convenzione), identificate nell’ “accantonamento […] di un capitale” pari “a sette mensilità di retribuzione, calcolata con i criteri di cui all’art. 2121 c.c. sulla retribuzione denunciata dall’azienda a fini contributivi nel mese antecedente la risoluzione del rapporto di lavoro” (artt. 3 e 4 convenzione, artt. 3 e 4 regolamento), che può essere corrisposto o nella forma di “un assegno vitalizio reversibile […] integrativo del trattamento di pensione corrisposto dall’INPGI”, oppure in forma di “capitale pari all’accantonamento effettuato […] rivalutato in base alla variazione intervenuta nell’indice del costo della vita” (art. 5 convenzione).
L’art. 6 della convenzione disciplina poi le modalità di finanziamento del Fondo e prevede, per quanto qui rileva, che esso sia alimentato da un contributo mensile a carico dei datori di lavoro (comma 1°), che “l’Ente gestore del Fondo” (ossia l’INPGI) debba “sorvegliare che la liquidità del Fondo sia adeguata alle necessità” (comma 2°), provvedendo se del caso ad “avviare immediata segnalazione agli Enti stipulanti la Convenzione” della “somma necessaria e [del]l’Ente o [de]gli Enti tenuti al reintegro” (comma 4°), nonché, da ultimo, che “qualora, esperita tale segnalazione, la reintegrazione della liquidità richiesta non avvenga nel termine di due mesi e l’Ente gestore fosse posto nell’impossibilità di provvedere al pagamento di eventuali richieste di liquidazione del capitale nel frattempo presentate dai giornalisti aventi diritto o da loro superstiti, il Fondo dovrà farsi carico del pagamento degli interessi, calcolati nella misura del 12% annuo, a decorrere dalla scadenza del termine di cui sopra” (comma 5°), rimanendo per contro “l’Istituto […] esonerato dall’obbligo di corrispondere le prestazioni in assenza della necessaria disponibilità finanziaria”, in ragione del “regime di completa autonomia del Fondo integrativo” (comma 7°).
Così ricostruita la disciplina contrattuale collettiva, risulta anzitutto evidente che il Fondo costituito presso l’INPGI per la corresponsione della prestazione previdenziale integrativa istituita in luogo della precedente indennità fissa deve considerarsi un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici:
esso infatti non si identifica con l’INPGI, che ne è solo “gestore” (“con contabilità separata” e con espressa previsione che “le spese di amministrazione sono addebitate al Fondo”:
art. 9 della convenzione), ma costituisce soggetto giuridico autonomo di tipo associativo e con finalità mutualistiche, analogamente ai fondi previdenziali aziendali ex art. 2117 c.c. costituiti con apporto contributivo del datore di lavoro e dei lavoratori che non abbiano ottenuto la personalità giuridica (cfr. in tal senso Cass. nn. 2492 del 1982, 7755 del 2003, 25967 del 2017), con i quali indubbiamente condivide il carattere negoziale della fonte istitutiva, la formazione di un patrimonio autonomo in vista di uno scopo mutualistico e la predisposizione all’uopo di uno specifico ordinamento organizzativo.
In quest’ottica, se dev’essere logicamente escluso che i creditori personali dell’INPGI possano soddisfarsi sul patrimonio del Fondo, ostandovi la previsione dell’art. 2117 c.c., cit., risulta del pari evidente che la posizione specifica dell’INPGI rispetto alle obbligazioni assunte dal Fondo nei confronti degli iscritti è assimilabile a quella di un adiectus solutionis causa: l’Istituto è infatti incaricato dal Fondo di corrispondere agli iscritti le prestazioni nell’ambito (e nei limiti) della provvista costituita dai contributi versati nel patrimonio del Fondo, di talché la sua è propriamente un’obbligazione di facere che ha come destinatario il Fondo delegante, non già l’iscritto beneficiario della prestazione, nei cui confronti viceversa non assume alcuna obbligazione propria. Lo si desume non soltanto dalla previsione dell’art. 6, ult. co., della convenzione, secondo cui “l’Istituto risulta esonerato dall’obbligo di corrispondere le prestazioni in assenza della necessaria disponibilità finanziaria”, ma soprattutto dalla previsione del comma precedente, secondo cui la mancata reintegrazione della liquidità nel termine di due mesi dalla richiesta, cui sia seguita l’impossibilità dell’INPGI di provvedere al pagamento delle prestazioni richieste dagli iscritti aventi diritto, obbliga “il Fondo” (e non l’INPGI, appunto) al pagamento degli interessi.
Sotto questo profilo, deve recisamente escludersi che – come invece sostenuto da parte ricorrente – la convenzione abbia ad oggetto un contratto a favore di terzo nell’ambito del quale l’INPGI figurerebbe come promittente: promittente (e obbligato) è semmai il Fondo, mentre l’INPGI è semplicemente delegato al pagamento della prestazione cui ha diritto l’iscritto, secondo le previsioni del Fondo stesso. E ciò, dal canto suo, esclude che la previsione dell’art. 6, ult. co., della convenzione cit., possa sospettarsi d’illiceità per contrasto con l’art. 1229 c.c.: non rispondendo l’INPGI in proprio dei debiti del Fondo, è evidente che la clausola in questione non può in alcun modo costituire una ipotesi di limitazione preventiva della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.
In secondo luogo, la disciplina collettiva dianzi ricordata avvalora la conclusione dei giudici di merito secondo cui il funzionamento del Fondo avviene col sistema a ripartizione: oggetto della promessa del Fondo non è infatti l’incremento patrimoniale del valore dei contributi versati per ciascun lavoratore iscritto, come accade nei sistemi a capitalizzazione individuale, bensì una prestazione definita, costituita da un valore capitale pari “a sette mensilità di retribuzione, calcolata con i criteri di cui all’art. 2121 c.c. sulla retribuzione denunciata dall’azienda a fini contributivi nel mese antecedente la risoluzione del rapporto di lavoro” (artt. 3 e 4 convenzione, artt. 3 e 4 regolamento), che può essere corrisposta o nella forma di assegno vitalizio reversibile oppure in forma di capitale rivalutato in base alla variazione intervenuta nell’indice del costo della vita; ed è evidente che, essendo la prestazione del tutto sganciata dal valore e dal rendimento dei contributi versati, la funzione di questi ultimi non può che risiedere nella costituzione della provvista con cui provvedere al pagamento delle prestazioni correnti, come peraltro si desume chiaramente dalle previsioni, dianzi richiamate, dei commi 2°, 4° e 5° dell’art. 6 della convenzione, che fanno carico all’INPGI di vigilare sull’adeguatezza della provvista rispetto agli impegni in scadenza e di avvertire, in caso contrario, i soggetti tenuti al suo reintegro.
Non vale, in contrario, richiamare le molteplici norme contrattuali, pure dianzi riportate, che sanciscono il diritto di ogni iscritto ad un “accantonamento”: premesso, in termini generali, che, in materia di contrattazione collettiva, al fine di ricostruire la comune intenzione delle parti contrattuali, non può essere attribuita rilevanza esclusiva al senso letterale delle parole, dovendo piuttosto assegnarsi preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c., secondo cui le clausole s’interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto (così, da ult., Cass. n. 2996 del 2023, sulla scorta di numerosissime precedenti conformi), milita in senso radicalmente contrario rispetto all’ipotesi del fondo a capitalizzazione di accantonamenti individuali la previsione contrattuale secondo cui il Fondo è obbligato a corrispondere a ciascun iscritto soltanto una prestazione definita, calcolata secondo modalità che prescindono totalmente sia dall’ammontare dei contributi versati che dal rendimento di questi ultimi. Né potrebbe configurarsi in alcun modo un diritto degli iscritti a ricevere, in alternativa o in subordine, l’ammontare dei contributi versati in loro favore, prevedendo l’art. 2123 c.c. che tale liquidazione possa aver luogo soltanto quando i fondi di previdenza siano formati “con il contributo dei prestatori di lavoro”, ciò che nella specie è escluso dall’art. 6, comma 1°, della convenzione più volte cit.-
Tanto premesso, del tutto correttamente i giudici territoriali hanno condotto l’accertamento circa l’incapienza e l’illiquidità del Fondo avendo riguardo all’insufficienza complessiva della provvista a soddisfare già le numerosissime domande anteriori a quella presentata dall’odierna parte ricorrente, non senza rilevare che il successivo accordo sindacale del 24.6.2014, stipulato tra le medesime parti collettive che hanno istituito il Fondo, ha avuto come presupposto proprio lo stato di grave illiquidità del Fondo stesso (in relazione al quale, peraltro, oltre alla messa in liquidazione del Fondo, è stato previsto il pagamento rateale delle prestazioni in favore di coloro che avevano maturato il diritto alla prestazione); e non potendosi in questa sede di legittimità sottoporre a critica tale accertamento di fatto se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., nel rigoroso senso indicato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014, le censure di parte ricorrente vanno ritenute in parte qua radicalmente inammissibili.
Del pari inammissibile è il terzo motivo di censura.
Premesso che ogni questione relativa alla legittimità e tempestività dell’intervento adesivo di FNSI avrebbe dovuto esser fatta valere preventivamente in sede di appello, convertendosi per principio le nullità in mezzi di gravame (art. 161 c.p.c.), ciò che non risulta essere accaduto nella specie, con conseguente formazione del giudicato interno, deve per un verso rilevarsi l’assoluta genericità della doglianza concernente l’eccessività dell’importo liquidato per spese, siccome effettuata in spregio al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la parte che propone ricorso per cassazione deducendo l’illegittima liquidazione delle spese processuali ha l’onere di indicare il concreto aggravio economico subito rispetto a quanto sarebbe risultato dalla corretta applicazione delle disposizioni legali (cfr. Cass. nn. 20128 del 2015, 15363 del 2016, 7327 del 2018), e per altro verso l’assoluta insindacabilità della decisione di non procedere alla compensazione delle spese, costituendo quest’ultima espressione di un potere discrezionale del giudice di merito non sindacabile in questa sede di legittimità (così da ult. Cass. n. 24502 del 2017).
Il ricorso, conclusivamente, va rigettato. La novità e complessità della questione trattata giustifica la compensazione tra tutte le parti delle spese del giudizio di legittimità. Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono invece i presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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