CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 24205 depositata il 9 agosto 2023
Tributi – Risarcimento del danno da svalutazione monetaria – Ritardato rimborso di crediti di imposta – Metodo di calcolo della posta risarcitoria – Rendimento dei titoli di stato – Maggior danno – Motivazione mancante/apparente – Accoglimento – La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture
Fatti
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Lazio, quale giudice del rinvio in seguito alla sentenza di questa Corte n. 5900/2017, che aveva cassato la sentenza n. 41/2010 della medesima Commissione tributaria regionale che aveva declinato la giurisdizione in ordine alla domanda della Banca di Credito Cooperativo di Roma (incorporante della (…) s.c.p.a.) di risarcimento del danno da svalutazione monetaria per ritardato rimborso di crediti di imposta in relazione alle dichiarazioni fiscali per gli anni dal 1987 al 1993, respingeva l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sentenza n. 215/5/2007 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo, che ne aveva invece respinto detta domanda.
La CTR osservava in particolare che, disattesa l’eccezione di inammissibilità della questione sulle modalità di calcolo posta in sede di rinvio dall’agenzia fiscale, riteneva fondata la prospettazione della medesima relativamente a tale questione, affermando quindi che unico criterio valido per la liquidazione del quantum risarcitorio era quello del rendimento dei titoli di stato, non avendo comunque l’istituto di credito dato giudizialmente la prova di un maggior danno.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso la società contribuente deducendo tre motivi, poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Diritto
Con il primo motivo – ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la ricorrente denuncia la violazione-falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, 115, artt. 23 c.p.c., poiché la CTR ha ritenuto contestato il metodo di calcolo del danno da rivalutazione che aveva indicato, nel mentre l’agenzia fiscale aveva sollevato obiezioni al riguardo soltanto in sede di giudizio di rinvio e quindi tardivamente.
La censura è infondata.
Va ribadito che “Nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi”, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte” (Cass. n. 3680 del 7/02/2019, Rv. 653130 – 01).
Risulta pertanto evidente che tale valutazione sia stata insindacabilmente- operata dal giudice tributario di appello in sede di rinvio, come del resto era sua competenza fare.
D’altro canto, la contestazione del metodo di calcolo della posta risarcitoria de qua deve senz’altro considerarsi non un’eccezione in senso stretto, ma una “mera difesa”, che può dunque ben essere proposta in sede di appello, anche di rinvio, essendo nel caso di specie la decisione del gravame stata rimessa alla CTR da questa Corte proprio al fine di determinare la posta stessa (cfr. Sez. 6 5, Ordinanza n. 12651 del 23/05/2018, Rv. 648522 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18830 del 10/09/2020, Rv. 658664 – 01).
Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4- la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione, non avendo il giudice del rinvio argomentato in ordine alle prove che aveva allegato in ordine al “maggior danno” da svalutazione monetaria.
La censura è fondata.
Va ribadito che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., sez. un., sentenza n. 22232 del 3/11/2016, Rv. 641526 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, dunque, concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente” ossia del tutto mancante, si pone sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U, 8053/2014).
La CTR laziale infatti, a fronte delle allegazioni probatorie della società contribuente, si è limitata ad affermare che “Bisogna inoltre considerare che ad avviso del collegio l’Istituto di credito non ha dato prova dei maggiori danni subiti che risultano assertivamente calcolati”.
Il che appunto integra esemplarmente un caso di “motivazione mancante/apparente”, come denunciato.
L’accoglimento del terzo motivo implica l’assorbimento del secondo (violazione/falsa applicazione degli artt. 1224 comma 2, 2697 c.c.).
In conclusione, accolto il terzo motivo del ricorso, rigettato il primo motivo, assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
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