CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2022, n. 26319
Assegno di invalidità ordinaria – Rendita da infortunio sul lavoro – Incumulabilità delle prestazioni – Ripetizione dell’indebito – Compensazione “atecnica” – Divieto di impignorabilità – Inapplicabilità
Rilevato che
1. la Corte di appello di Lecce respingeva l’impugnazione proposta da P. C. nei confronti dell’Inps avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva respinto la domanda volta ad accertare l’insussistenza del diritto dell’Inps alla ripetizione, a titolo di indebito, della somma complessiva di euro 12.422,08 sull’ assegno di invalidità ordinaria, per la parte non cumulabile con la rendita da infortunio sul lavoro di cui il ricorrente era titolare dall’anno 2000;
2. per quanto rileva in questa sede, a fondamento del decisum, la Corte di appello escludeva che la rideterminazione dell’importo violasse il giudicato rappresentato dalla sentenza nr. 700 del 2007 del Tribunale di Brindisi. A tale riguardo, osservava come la riliquidazione dell’Inps non mettesse in discussione l’esistenza del diritto ma solo la misura del beneficio;
3. inoltre, osservava come vi fossero le condizioni per l’applicazione dell’art. 1, comma 43, della legge 335 del 1995, in quanto, alla stregua delle consulenze tecniche svolte in giudizio, l’assegno ordinario di invalidità era stato riconosciuto sulla base delle stesse patologie per la quali, al C., era stata riconosciuta anche la rendita erogata dall’Inail. In ultimo, non vi era la violazione del divieto di effettuare compensazioni della pensione oltre il limite di impignorabilità, esteso solo alle compensazioni in senso tecnico e non anche a quelle cd. «improprie», come nel caso di specie;
4. ha proposto ricorso in cassazione P.C., con tre motivi;
5. ha resistito, con controricorso, l’INPS
Rilevato che
6. con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 416 cod.proc.civ. nonché dell’art. 2909 cod.civ.;
7. è censurata l’affermazione di «identità» delle patologie che avevano dato luogo alla rendita INAIL e al riconoscimento dell’assegno ordinario ex lege nr. 22 del 1984. Diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, «la diversità delle patologie» era, invece, circostanza non contestata dall’INPS in primo grado;
8. è criticata, inoltre, la statuizione secondo cui il giudicato si sarebbe formato solo sul diritto all’assegno e non sul quantum dello stesso; per parte ricorrente, l’INPS avrebbe dovuto eccepire nel precedente giudizio l’incumulabilità delle prestazioni;
9. il motivo, nel complesso, si arresta ad un rilievo di inammissibilità;
10. quanto al primo profilo -concernente la violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. perché, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, non sussisteva contestazione in ordine alla diversità delle patologie che avevano condotto ai due benefici – le censure, da un lato, sono prive di specificità, non riportando, in modo adeguato, a norma dell’art. 366 cod.proc.civ., gli atti in base ai quali avrebbe dovuto operare la non contestazione dei fatti allegati ( in argomento, v. Cass. nr. 20637 del 2016); dall’altro, investono elementi valutativi riservati al giudice del merito, atteso che – nel vigore del novellato art. 115 cod.proc.civ., secondo cui la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della relevatio ab onere probandi – spetta al giudice apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione di fatti rilevanti, allegati dalla controparte (cfr. Cass. nr. 3680 del 2019; Cass. nr. 27490 del 2019; in motivazione, tra le tante, Cass. nn.18824 e 19086 del 2022);
11. analoghi limiti incontra la deduzione di violazione del giudicato esterno;
12. l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente dal giudice di legittimità ma a condizione che il motivo riproduca, nelle parti rilevanti, il testo del «giudicato» che si assume erroneamente interpretato (Cass. nr. 5508 del 2018; Cass., sez.un., nr. 1416 del 2004). Nel caso di specie, il ricorrente non ha trascritto, nei termini indicati, la sentenza nr. 700 del 2007 resa dal Tribunale di Brindisi e tanto impedisce, a monte, lo scrutinio del vizio denunciato;
13. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 43, della legge nr. 335 del 1995, non sussistendo ragioni per la non cumulabilità dei benefici. Parte ricorrente reitera la considerazione della diversità delle patologie poste a base delle due prestazioni; in particolare, deduce che la «sindrome ansioso depressiva» sarebbe estranea al riconoscimento della malattia professionale; assume, altresì, la violazione dell’art. 149 disp.att.cod.proc.civ. e dell’art. 115 cod.proc.civ.;
14. il motivo, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di norme sostanziali e processuali, censura la valutazione della prova riservata al giudice del merito e ciò fa, inammissibilmente, oltre i limiti del riformulato art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., che concerne l’omesso esame di un fatto decisivo, non l’omessa valutazione di elementi istruttori relativi alle circostanze storiche apprezzate dal giudice del merito (Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014); nella specie, la Corte di appello ha ritenuto perfettamente sovrapponibili le patologie che hanno dato luogo alle due prestazione ed ha giudicato ininfluente la sindrome ansioso-depressiva in quanto insorta in epoca successiva e non incidente sul riconoscimento del diritto qui controverso;
15. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1246 nr. 3 cod. civ. e 545 cod.proc.civ;
16. parte ricorrente assume l’impignorabilità dei trattamenti pensionistici;
17. anche il terzo motivo non si sottrare ad una valutazione di inammissibilità;
18. la Corte di appello ha sostenuto che il divieto di impignorabilità, ex art. 545 cod.proc.civ., riguardasse solo le compensazioni giudiziali, non anche le compensazioni cd. «atecniche» quale doveva considerarsi quella rilevante nella fattispecie; ha, perciò escluso che operasse il divieto previsto dal nr. 3 dell’art. 1246 cod.civ. con conseguente deducibilità, per intero, del controcredito;
19. i rilievi mossi, pure genericamente prospettati con riferimento alle modalità concrete della riduzione del trattamento in godimento, non investono specificamente tali argomentazioni (in linea, peraltro, con Cass. nr. 30220 del 2019; Cass. nr. 9904 del 2003, in motivazione); essi si limitano a riproporre, nella sostanza, le questioni respinte dal giudice d’appello; pertanto, come sviluppati, non rispettano il criterio della «riferibilità» alla decisione impugnata ed esulano dal paradigma normativo dell’art. 360 cod.proc.civ.;
20. sulla base delle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile;
21. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
22. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma pari all’importo del contributo unificato, ove versato (anche in ragione della dichiarata ammissione al gratuito patrocinio).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate, in Euro 3000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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