CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 24636 depositata il 14 agosto 2023
Lavoro giornalistico – Contratto nazionale di lavoro – Uffici stampa – Iscrizione albo dei giornalisti – Versamento contributi previdenziali – INPGI – INPS – Addetti uffici stampa – Rigetto
Fatti di causa
1.– Con sentenza del 20 dicembre 2012, il Tribunale di Roma ha respinto l’opposizione proposta da A.M.E. s.p.a. contro il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’INPGI per l’ammontare di Euro 75.941,00, maggiorato d’interessi e spese.
Tale importo è stato richiesto in sede monitoria «per contributi e sanzioni di legge, dovuti in riferimento ai rapporti di lavoro giornalistico tra la predetta azienda e tre giornalisti, O. (periodo 1° aprile 2003/31 dicembre 2004); M. (dicembre 2005/febbraio 2007); R. (gennaio 2004/31 agosto 2005)».
Il giudice di primo grado, nel rigettare l’opposizione, ha valorizzato la natura giornalistica dell’attività dei dipendenti, addetti all’ufficio stampa per il settore istituzionale (M.), per il settore libri (R.) e per il settore periodici (O.), e dediti alla raccolta di dati, informazioni e notizie e all’elaborazione di comunicati stampa. A favore di tali conclusioni depongono tanto le previsioni del contratto nazionale di lavoro giornalistico quanto la disciplina recata dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, che regola l’attività degli addetti agli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni.
2.– A.M.E. s.p.a. ha appellato la pronuncia di primo grado, dolendosi, in particolare, dell’erronea qualificazione delle prestazioni svolte dai tre dipendenti, ricondotte all’attività giornalistica.
3.– Con sentenza n. 2385 del 2016, depositata il 13 giugno 2016, la Corte d’appello di Roma ha accolto il gravame e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto.
3.1.– A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha evidenziato, in linea preliminare, che non le è preclusa l’autonoma valutazione della natura giornalistica dell’attività svolta, anche in presenza dell’iscrizione dei dipendenti M., O. e R. all’albo dei giornalisti pubblicisti.
Nel caso di specie, non è dato riscontrare tale natura giornalistica.
3.2.– La previsione del contratto collettivo non implica giocoforza la natura giornalistica dell’attività di chi lavori in un ufficio stampa.
3.3.– Non si possono desumere elementi risolutivi dalla legge n. 150 del 2000, che concerne specificamente gli uffici stampa del settore pubblico e richiede l’iscrizione all’albo di chi ricopre le mansioni di addetto a tali uffici, «a garanzia della competenza, della professionalità e della trasparenza dei soggetti che operano in quell’ambito» (pagina 4 della pronuncia d’appello).
3.4.– È indispensabile, pertanto, l’esame «del contenuto concreto delle prestazioni» (pagina 4), che consistono, a ben considerare, nell’intrattenere relazioni con le testate giornalistiche e radiotelevisive, «allo scopo di promuovere, attraverso tali organi di informazione, l’immagine dell’azienda o dei suoi prodotti» e vedono, come «impegno del tutto marginale e non significativo», la redazione dei comunicati stampa (pagina 5).
3.5.– Tali considerazioni impediscono di riconoscere, nelle prestazioni dedotte in causa, l’attività creativa di chi raccoglie, elabora e commenta le notizie, quella mediazione tra il fatto di cui si acquisisce conoscenza e la diffusione, che rappresenta il fulcro dell’attività giornalistica.
Nel caso di specie, l’attività «non si rivolge ad una platea di destinatari interessati all’oggetto della comunicazione, potenzialmente indistinta, né persegue uno scopo di pura informazione» (pagina 6 della sentenza). Sono preponderanti gli scopi commerciali dell’azienda, che si ripromette di pubblicizzare la propria immagine e i propri prodotti.
4.– L’INPGI impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Roma, con ricorso notificato il 12 giugno 2017 e illustrato da memoria, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, cod. proc. civ., in vista dell’udienza.
5.– A.M.E. s.p.a. e l’INPS resistono con distinti controricorsi. A.M.E. s.p.a., in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria illustrativa.
6.– Dopo l’infruttuosa trattazione camerale del 21 dicembre 2022, il ricorso è stato fissato per la trattazione alla pubblica udienza del 27 aprile 2023.
È stata formulata istanza di discussione orale ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176 (così come da ultimo prorogato con l’art. 8, comma 8, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14).
7.– Il Pubblico Ministero ha chiesto di rigettare il ricorso. I difensori hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.
Ragioni della decisione
1.– Il ricorso dell’INPGI si articola in tre motivi.
1.1.– Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1 e 2 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e lamenta che la sentenza d’appello abbia affermato in termini aprioristici l’incompatibilità tra le finalità informative dell’attività e quelle commerciali dell’editore, senza considerare la particolare natura dell’ufficio stampa d’una casa editrice, deputato a dare maggiore risalto a determinate informazioni.
1.2.– Con il secondo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente censura la violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 69 del 1963 e degli artt. 1 e 9 della legge n. 150 del 2000.
Avrebbe errato la Corte territoriale nel negare la natura giornalistica dell’attività svolta dagli uffici stampa, sol perché tale attività non è rivolta al vasto pubblico, e nel reputare irrilevante la legge n. 150 del 2000, che si limiterebbe a prendere atto della natura ontologicamente giornalistica dell’attività in questione.
1.3.– Con la terza censura, il ricorrente si duole, infine, della violazione e della falsa applicazione degli artt. 1 e 45 della legge n. 69 del 1963, dell’art. 1 della legge n. 150 del 2000, in relazione all’art. 1 del contratto nazionale di lavoro giornalistico e al contratto collettivo nazionale delle aziende grafiche.
Il contratto nazionale di lavoro giornalistico, nel discorrere di ufficio stampa e di addetto stampa, evocherebbe le figure tratteggiate prima dalla giurisprudenza e quindi dalla legge n. 150 del 2000. Ad avviso del ricorrente, dall’art. 1 del contratto si evince che svolge, a tutti gli effetti, lavoro giornalistico colui che, in regime di subordinazione, presta l’attività tipica dell’addetto stampa e, a tal fine, mantiene i contatti con i giornalisti delle varie testate, elabora i comunicati stampa, organizza le conferenze stampa.
2.– I motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tendono tutti ad affermare, sotto profili tra loro connessi, la natura giornalistica dell’attività degli addetti all’ufficio stampa della casa editrice controricorrente.
2.1.– Le censure sono ammissibili, in quanto indicano in modo specifico le violazioni di legge che addebitano alla sentenza d’appello e ne contestano in radice, sotto il profilo eminentemente giuridico e non dello stretto accertamento di fatto, il percorso argomentativo.
Le doglianze, pertanto, non incorrono nei profili d’inammissibilità eccepiti nel controricorso di A.M.E. s.p.a.
2.2.– I motivi, che possono essere, pertanto, scrutinati nel merito, si rivelano infondati.
3.– Giova premettere che, in tema di lavoro giornalistico, l’obbligo d’iscrizione all’INPGI postula due requisiti, tra loro concorrenti e non alternativi: anzitutto, l’iscrizione all’Albo dei giornalisti (elenco professionisti, elenco pubblicisti e/o registro praticanti) e, in secondo luogo, lo svolgimento di attività lavorativa riconducibile a quella professionale giornalistica presso il datore di lavoro chiamato a versare i contributi (Cass., sez. lav., 25 maggio 2021, n. 14391).
Non rileva che il datore di lavoro sia un ente pubblico territoriale o un imprenditore. Requisito imprescindibile dell’obbligo d’iscrizione è che il datore di lavoro abbia instaurato un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto che sia giornalista professionista o praticante giornalista e gli abbia assegnato mansioni di carattere giornalistico (Cass., sez. lav., 20 luglio 2007, n. 16147, ripresa anche da Corte costituzionale, sentenza n. 112 del 2020, punto 11 del Considerato in diritto).
Né rileva, per escludere l’obbligo d’iscrizione all’INPGI, l’applicazione d’un contratto collettivo diverso da quello concernente il lavoro giornalistico.
4.– Occorre, dunque, avere riguardo, in una prospettiva eminentemente sostanziale, all’attività concretamente svolta.
L’iscrizione all’albo dei giornalisti, se costituisce presupposto indefettibile per rivendicare lo status professionale relativo, non preclude l’autonoma valutazione, da parte del giudice ordinario, di tale attività nella sua “realtà effettuale”, nell’ambito del rapporto dedotto in giudizio.
Il singolo rapporto di lavoro, difatti, può essere definito giornalistico soltanto se le prestazioni offerte dal lavoratore subordinato presentino in fatto i precisi e tipici connotati dell’attività giornalistica (in termini, già Cass., sez. lav., 9 aprile 1986, n. 2477).
Il datore di lavoro, quale terzo non legittimato ad impugnare il provvedimento di iscrizione del dipendente all’albo dei giornalisti, può contestare la pretesa dell’INPGI di conseguire il versamento dei contributi previdenziali e così far valere davanti al giudice ordinario, a tutela dei propri diritti, l’effettiva natura dell’attività svolta dal lavoratore (in tal senso, già Cass., sez. lav., 29 aprile 1997, n. 3716).
5.– È proprio sulla natura giornalistica delle prestazioni, negata dalla Corte territoriale e propugnata dal ricorrente, che s’incentra l’odierno giudizio.
A tal fine, occorre ponderare, anzitutto, la rilevanza pubblicistica dell’attività in questione, non scevra d’implicazioni su primari diritti di rango costituzionale (Cass., S.U., 29 luglio 2021, n. 21764, punto 11.5. delle “Ragioni della decisione”), e, in tale prospettiva, si dovrà procedere alla disamina del concreto atteggiarsi dell’attività svolta.
Sulla scorta dei canoni di comune esperienza, che integrano l’ampia e duttile nozione desumibile dalla Costituzione, dalla legge ordinaria e dalle fonti negoziali, l’attività giornalistica si configura come un’opera tipicamente (anche se non esclusivamente) intellettuale.
Sua cifra caratteristica è la creatività, l’originalità (Cass., sez. lav., 21 febbraio 1992, n. 2166). L’autonomia dell’informazione ne scolpisce lo statuto normativo (fra le molte, già Cass., sez. lav., 16 gennaio 1993, n. 536).
Per giurisprudenza costante di questa Corte (da ultimo, Cass., S.U., 28 gennaio 2020, n. 1867), l’attività giornalistica si estrinseca nella raccolta, nell’elaborazione o nel commento delle notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi d’informazione, nella mediazione tra il fatto di cui acquisisce la conoscenza e la diffusione di esso attraverso un messaggio (scritto, verbale, grafico o visivo), necessariamente influenzato dalla personale sensibilità e dalla particolare formazione culturale e ideologica (in tal senso, già Cass., sez. lav., 12 dicembre 1981, n. 6574).
Nel contesto di tale mediazione tra il fatto e la diffusione, il giornalista acquisisce la conoscenza dell’evento, ne valuta la rilevanza in relazione ai destinatari e confeziona il messaggio con apporto soggettivo e creativo (Cass., sez. lav., 29 agosto 2011, n. 17723).
Nell’accertamento demandato al giudice, rivestono rilievo la continuità o la periodicità del servizio, nel cui ambito il lavoro è utilizzato, l’attualità delle notizie e la tempestività dell’informazione, che costituiscono gli elementi distintivi rispetto ad altre professioni intellettuali e sono funzionali a sollecitare l’interesse dei cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli di attenzione per la loro novità (Cass., sez. lav., 22 novembre 2010, n. 23625, e 20 febbraio 1995, n. 1827).
Si può qualificare, pertanto, come giornalistica l’opera svolta in favore di editori di quotidiani e periodici, di agenzie d’informazione o di emittenti televisive, ove sia esplicata con energie prevalentemente intellettuali e si traduca nella raccolta, nell’elaborazione o nel commento della notizia destinata a formare oggetto di comunicazione di massa.
Tale opera si distingue da quelle collaterali o ausiliarie per la creatività, ossia per la presenza, nella manifestazione del pensiero finalizzata all’informazione, di un apporto soggettivo e inventivo, secondo i criteri desumibili anche dall’art. 2575 cod. civ. e dall’art. 1 della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di protezione delle opere dell’ingegno, letterarie e artistiche (Cass., sez. lav., 1° giugno 1998, n. 5370).
6.– Tali enunciazioni di principio sono state confermate e puntualizzate da questa Corte con riferimento all’attività degli addetti agli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni, attività che il ricorrente identifica come pertinente termine di raffronto.
Le sezioni unite di questa Corte, con la già richiamata sentenza n. 21764 del 29 luglio 2021, analizzata dalle parti anche nel corso della discussione in udienza, hanno affermato che l’attività svolta nell’ambito dell’ufficio stampa regolato dalla legge n. 150 del 2000, condizionata al possesso del titolo dell’iscrizione all’albo professionale e caratterizzata da un’area speciale di contrattazione con la partecipazione delle organizzazioni sindacali dei giornalisti, ha natura giornalistica e, di conseguenza, comporta l’iscrizione all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI). Tale iscrizione ha portata generale e prescinde dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro e dal contratto collettivo applicabile al rapporto.
6.1.– Nel rimeditare l’orientamento espresso da Cass., sez. lav., 15 giugno 2020, n. 11543, che disconosceva recisamente il carattere giornalistico dell’attività svolta dagli addetti agli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni, la pronuncia delle sezioni unite pone in risalto le specificità dell’attività d’informazione e di comunicazione svolta in tale ambito.
Le scelte del legislatore s’ispirano all’idea «che l’attivazione di circuiti di informazione e comunicazione tra amministrazioni e cittadini è un aspetto irrinunciabile della democratizzazione dell’informazione» (punto 10.2. delle “Ragioni della decisione”) e istituiscono «un nuovo indispensabile strumento a disposizione delle pubbliche amministrazioni per sviluppare le loro relazioni con i cittadini, potenziare e armonizzare i flussi di informazioni al loro interno e concorrere ad affermare il diritto dei cittadini ad un’efficace comunicazione» (punto 10.4. delle “Ragioni della decisione”).
In questa promozione della pubblicità e della trasparenza, valori inscindibilmente connessi con il buon andamento e con l’imparzialità tutelati dall’art. 97 Cost., d’importanza essenziale si dimostra il ruolo degli addetti agli uffici stampa, «figure deputate allo svolgimento di vera e propria attività giornalistica nel solco della tradizionale elaborazione di tale attività effettuata sulla base della legge n. 69 del 1963» (punto 10.6. delle “Ragioni della decisione”).
La legge n. 150 del 2000 ha dunque «delineato un modello di informazione che non vi è dubbio si ricolleghi al concetto di attività giornalistica come tracciato dalla Corte di legittimità (v. da ultimo, Cass., Sez. Un., n. 1867/2020 cit., secondo cui, alla luce di un’interpretazione letterale e sistematica, della legge n. 63 del 1969, nella parte in cui include il giornalista professionista e il pubblicista in uno stesso ordinamento, sottoponendoli agli stessi poteri e doveri disciplinari, la “professione di giornalista” è da intendersi come quell’attività “di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione”» (il già menzionato punto 10.6. delle “Ragioni della decisione”).
L’addetto all’ufficio stampa non è obbligato a riportare solo quel che riferisce l’amministrazione di appartenenza, né deve edulcorare le notizie «per compiacere gli organi di vertice». È la professionalità del giornalista che orienterà, in ogni frangente, «la cernita di ciò che si deve e si può pubblicare e quello che invece non è necessario o non è consentito rendere pubblico», in ragione dei doveri di riservatezza che incombono sul giornalista, in quanto incardinato in una pubblica amministrazione (punto 10.7. delle “Ragioni della decisione”).
Nella specie, la natura giornalistica dell’attività è avvalorata «dalla formale istituzione di tali uffici, dai titoli richiesti per l’assegnazione agli stessi, dalla previsione di una contrattazione speciale con l’intervento delle organizzazioni rappresentative dei giornalisti, dalle classificazioni della contrattazione di comparto (in qualche modo riempitive del vuoto di un’area di contrattazione speciale non attuata)» (punto 11.4. delle “Ragioni della decisione”).
6.2.– Né giova ribattere, in senso contrario, «che, come previsto dalla legge n. 150 del 2000, l’addetto all’ufficio stampa si interfacci con i “mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici” e non direttamente con il pubblico indifferenziato, tale essendo per lo più anche l’attività delle agenzie di stampa che storicamente sono nate proprio per fornire informazioni ai giornali e fungono da fonti per i mass media» (il già richiamato punto 10.7. delle “Ragioni della decisione”).
7.– L’attività svolta dagli addetti all’ufficio stampa della A.M.E. s.p.a. non può che essere valutata in coerenza con le coordinate ermeneutiche appena tracciate.
7.1.– La decisione impugnata è conforme a diritto, nel ritenere necessaria una valutazione in concreto dell’attività prestata, senza arrestarsi al mero dato formale dell’iscrizione all’albo. Tale requisito, pur necessario, non è sufficiente.
7.2.– La sentenza d’appello è esente da censure, anche nella parte in cui, memore dell’ineludibile necessità di una valutazione in concreto, esclude di poter trasporre, all’attività degli addetti agli uffici stampa delle case editrici, le regole enucleate per il diverso settore delle pubbliche amministrazioni.
Si tratta di una disciplina marcatamente speciale, preordinata a salvaguardare il valore cardine della trasparenza e accompagnata da una pluralità di specificazioni e cautele, volte a contemperare la particolarità del lavoro giornalistico, senza svilirne la basilare funzione informativa, con le esigenze immanenti alla comunicazione istituzionale delle pubbliche amministrazioni.
Le affermazioni di principio della sentenza n. 21764 del 2021 si raccordano a un contesto d’irriducibile singolarità, caratterizzato da preminenti esigenze d’imparzialità e da regole tassative, che vedono l’istituzione di un’area speciale della contrattazione e s’iscrivono in una disciplina spiccatamente pubblicistica, riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) ed estranea alle competenze regionali (da ultimo, Corte costituzionale, sentenze n. 112 del 2020 e n. 81 del 2019, sugli addetti stampa agli uffici regionali).
Le sezioni unite di questa Corte, pur negando un’ontologica incompatibilità tra le prestazioni svolte presso gli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni e l’attività giornalistica, non hanno attribuito carattere giornalistico, in termini assoluti e indiscriminati, al lavoro di tutti gli addetti agli uffici stampa, al di là dello specifico settore di pertinenza di cui hanno avuto occasione di occuparsi.
Anche nella controversia decisa con la sentenza più volte menzionata, le sezioni unite di questa Corte hanno mostrato di annettere valore dirimente all’accertamento che, in concreto, è stato compiuto dai giudici di merito (cfr., in tal senso, le pagine 2 e 3 della memoria illustrativa depositata da A.M.E. s.p.a. in vista dell’udienza pubblica).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Roma, nella sentenza impugnata, aveva accertato che «l’attività svolta dai dipendenti C. e P. aveva quei caratteri di creatività ed originalità che caratterizzano l’attività di giornalista; – non si trattava di mera comunicazione all’esterno di dati e notizie inerenti l’azienda; – sussisteva una attività di mediazione tra il fatto e la diffusione della notizia; – il rapporto di subordinazione gerarchica non era in contrasto con il principio fondamentale dell’autonomia dell’informazione; – non vi era solo il trasferimento del contenuto di mail e documenti cartacei nel sito web ma anche l’elaborazione dei documenti che pervenivano; – il C. e il P. non si limitavano a riportare il testo delle dichiarazioni rese dai vari esponenti aziendali ma introducevano e commentavano la notizia collocandola all’interno di un articolato più organico simile ad un articolo di un comune quotidiano, con l’utilizzazione di un linguaggio ed uno stile tipicamente giornalistici» (sentenza n. 21764 del 2021, cit., punto 11.7. delle “Ragioni della decisione”).
7.3.– La necessità di un apprezzamento in concreto dei tratti differenziali dell’attività svolta si coglie in termini ancor più pregnanti in un settore, quello delle prestazioni degli addetti agli uffici stampa delle case editrici, in cui manca una trama di regole vincolanti, preordinate a bilanciare i contrapposti interessi.
Tale necessità di un apprezzamento circostanziato promana dal carattere mutevole del contesto in cui l’attività giornalistica si colloca, dell’evoluzione incessante della professione, che ne rende multiformi le caratteristiche e non consente d’imbrigliarle nella fissità di schemi prestabiliti.
Se la concorrente finalità commerciale e la carenza della destinazione a un pubblico indifferenziato di per sé non si pongono in antitesi con la natura giornalistica dell’attività, che non presenta sempre e comunque le fattezze della “pura informazione” (in tal senso, pagina 2 della memoria illustrativa dell’INPGI, depositata in vista dell’udienza pubblica), indirizzata al vasto pubblico (pagina 5 della citata memoria dell’INPGI), è parimenti innegabile che non ogni attività prestata presso l’ufficio stampa di una casa editrice possa essere per ciò stesso qualificata come “ontologicamente” giornalistica, secondo la prospettazione coltivata nel ricorso.
Tale inquadramento mostra di cristallizzare l’attività giornalistica in paradigmi egualmente unilaterali e aprioristici, disancorati da un plausibile riferimento empirico.
Né, a sostegno d’un siffatto inquadramento, si può invocare la circostanza che, nel distinto e non comparabile ambito delle pubbliche amministrazioni, una legge speciale connoti come squisitamente giornalistica l’attività degli addetti e presidi lo svolgimento dei compiti affidati ai giornalisti con una pluralità di garanzie e di vincoli.
7.4.– Nel caso di specie, i giudici d’appello hanno posto l’accento sulla finalità commerciale che permea il lavoro prestato e ciò hanno fatto non in termini generali e astratti, ma per le implicazioni che ne derivano in ordine ai tratti distintivi dell’attività giornalistica, così come sono stati ricostruiti dall’elaborazione della giurisprudenza.
In primo luogo, la pervasiva e totalizzante finalità commerciale già di per sé elide quell’autonomia dell’informazione, che è pietra angolare dell’attività giornalistica, e disvela l’eterogeneità della fattispecie sottoposta allo scrutinio di questa Corte rispetto all’attività degli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni, improntati a una finalità prettamente istituzionale (art. 9 della legge n. 150 del 2000).
Nel giudizio di fatto elaborato dalla Corte d’appello di Roma in modo esaustivo ed esente da mende logiche e giuridiche, la finalità commerciale riveste rilievo decisivo anche in quanto esclude quell’apporto creativo, quel coefficiente di originalità che rappresenta punto qualificante dell’attività giornalistica (pagina 5 della sentenza) e che presiede alla ricerca delle notizie, al vaglio e alla diffusione delle stesse.
Nel presupporre come requisito strutturale tale apporto inventivo, la Corte d’appello di Roma non ha affatto privilegiato un’interpretazione riduttiva della mediazione tra il fatto e la notizia, limitandola al solo impiego del mezzo scritto (in tal senso, invece, pagine 5 e 6 della memoria illustrativa dell’INPGI, depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica).
La finalità meramente promozionale impedisce, in ultima analisi, di ravvisare, in concreto, nel nucleo dell’attività svolta, quella mediazione tra il fatto e la notizia, che assurge a caposaldo dell’attività giornalistica propriamente intesa, pur nelle sue cangianti manifestazioni.
Tale elemento traspare anche dalle conclusioni dell’ufficio della Procura Generale.
7.5.– Nell’escludere la natura giornalistica del lavoro prestato dai tre dipendenti M., R. e O., la sentenza impugnata ha dunque rettamente interpretato e applicato la normativa inerente ai tratti qualificanti dell’attività giornalistica e, in coerenza con il paradigma di legge, ha valutato tutti i dati probatori rilevanti, senza prestare il fianco alle critiche formulate dall’Istituto.
8.– Il ricorso, pertanto, dev’essere, nel suo complesso, respinto, in applicazione del seguente principio di diritto: «L’attività degli addetti agli uffici stampa delle case editrici, cui non si applica la speciale disciplina introdotta dall’art. 9 della legge 7 giugno 2000, n. 150 per gli addetti agli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni, può essere qualificata come giornalistica solo quando essa, alla luce del suo concreto atteggiarsi, pur nella concorrente finalità promozionale che la ispira, si estrinsechi nella raccolta, nel commento o nell’elaborazione di notizie, ancorché non indirizzate direttamente al pubblico indifferenziato, e si configuri, perciò, come mediazione tra il fatto, di cui si acquisisce conoscenza, e la diffusione della notizia, caratterizzandosi per l’apporto soggettivo e creativo e per l’autonomia dell’informazione».
9.– Si giustifica la compensazione delle spese del giudizio, in ragione della novità delle questioni dibattute, che hanno registrato il recente intervento chiarificatore delle sezioni unite, nel pur diverso ambito degli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni, e che, con precipuo riferimento agli uffici stampa delle case editrici, non sono state ancora scandagliate dalla giurisprudenza di questa Corte in rapporto ai chiarimenti illustrati dalla sentenza n. 21764 del 2021.
10.– L’integrale rigetto del ricorso, proposto successivamente al 30 gennaio 2013, impone di dare atto dell’obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
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