CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 24878 depositata il 21 agosto 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IVA – Fallimento – Contraddittorio endoprocedimentale – Eccezione di tardività del ricorso – Notifica – Firma digitale – Principio di effettività della tutela giurisdizionale – Inammissibilità
Fatti di causa
La CTP di Catania accoglieva il ricorso proposto dalla Curatela del fallimento della società Corpo di Vigilanza (…) s.r.l. avverso l’avviso di accertamento, per imposte dirette, IVA e sanzioni, in relazione all’anno (…), annullando il provvedimento impugnato perché non preceduto dal contraddittorio endoprocedimentale.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la CTR rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, osservando che:
– il contraddittorio endoprocedimentale deve essere rispettato anche nel caso di avviso di accertamento emesso a seguito di controllo c.d. a tavolino;
– nella specie, non doveva essere applicata la sanzione per omessa dichiarazione, in quanto i dati erano stati già dichiarati dalla società nella comunicazione annuale IVA; se il curatore fallimentare fosse stato tempestivamente convocato, avrebbe potuto contraddire in merito sanzione, rilevando che la presentazione della comunicazione annuale era stata fedelmente ripresa a tassazione dall’Agenzia, “per cui la sanzione avrebbe potuto essere consensualmente ridotta”;
– non essendo stato rispettato il diritto al contraddittorio per l’IVA, andava dichiarata la nullità dell’atto impositivo anche per i tributi non armonizzati accertati con il medesimo atto, sul presupposto dell’unicità dei fatti confluiti nell’accertamento impugnato.
Contro la suddetta decisione proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un unico articolato motivo.
La contribuente resisteva con controricorso, illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo, l’Agenzia deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della l. n. 212 del 2000, art. 12 comma 7, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 comma 2, e d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 59 comma 2, per avere la CTR ritenuto erroneamente che l’accertamento induttivo, scaturito da una omessa dichiarazione, fosse equiparabile agli accessi, ispezioni e verifiche, di cui alla l. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere confermato l’annullamento dell’atto impugnato anche in relazione ai tributi non armonizzati e per avere ritenuto non applicabile la sanzione prevista per l’omessa dichiarazione dal d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 1, in quanto i dati imponibili erano stati già dichiarati dalla società nella comunicazione annuale IVA.
2. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione, sollevata dalla curatela fallimentare della società controricorrente, in quanto la sentenza impugnata era stata notificata, a mezzo PEC, in data 30.09.2021, mentre il ricorso per cassazione era stato notificato a mezzo PEC in data 2.03.2022, oltre il termine breve di sessanta giorni.
3. L’eccezione è fondata.
3.1 Secondo i principi espressi da questa Corte, “la notifica della sentenza effettuata alla controparte a mezzo PEC (l. n. 53 del 1994, ex art. 3bis nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal d.l. n. 179 del 2012, art. 16quater, comma 1, lett. d), conv., con modif., dalla L. n. 228 del 2012) è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti del destinatario ove il notificante provi di aver allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, le ricevute di avvenuta consegna e accettazione e la relata di notificazione, sottoscritta digitalmente dal difensore, nonché la copia conforme della sentenza che, trattandosi di atto da notificare non consistente in documento informatico, sia stata effettuata mediante estrazione di copia informatica dell’atto formato su supporto analogico e attestazione di conformità del citato d.l. n. 179 del 2012, ex art. 16 undecies)” (Cass. 5 ottobre 2018, n. 24568; Cass. 19 settembre 2017, n. 21597).
Più di recente, questa Corte ha affermato che “Con riferimento agli atti muniti di firma digitale, quali le ricevute di accettazione e consegna della notificazione telematica o la relata di notifica, l’attestazione di conformità del difensore è sufficiente se riferita al contenuto testuale del documento che ne è oggetto, con tutti gli elementi propri rispetto allo scopo e, con riguardo alla firma digitale, al fatto che nell’originale vi è tale firma; la regolarità del documento attestato si presume sino a specifica contestazione della parte controinteressata, che è onerata di allegare l’esistenza di precisi vizi, tali da determinare la lesione del diritto di difesa o un pregiudizio per la decisione” (Cass. 16 agosto 2018, n. 20747; Cass. 19 giugno 2019, n. 16421; Cass. 4 novembre 2021, n. 31779).
Con riferimento specifico al processo tributario, poi, è stata affermato che “In tema di processo tributario, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 11 la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente e alternativa rispetto al direttore, consente di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, e quella del ricorso per cassazione possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato” (Cass. 29 gennaio 2020, n. 1954; Cass. 29 gennaio 2008, n. 1925; Cass. sez. un., 14 febbraio 2006, n. 3116).
3.2 In applicazione dei richiamati principi, il ricorso per cassazione è inammissibile, in quanto tardivo.
Dall’esame degli atti (allegato n. 4 del controricorso), infatti, risulta che la sentenza è stata regolarmente notificata all’Agenzia delle entrate, Direzione Provinciale di Catania (che aveva proposto appello, come si desume dal frontespizio della sentenza impugnata), giusta ricevuta di avvenuta consegna della PEC, in data 30.09.2021, mentre il ricorso per cassazione è stato notificato a mezzo PEC in data 2.03.2022 e, quindi, oltre il termine breve di sessanta giorni, previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 2.
4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, in favore della curatela fallimentare controricorrente, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento, in favore della curatela fallimentare controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
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