CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 25617 depositata il 1° settembre 2023
Lavoro – Licenziamento collettivo – Indennità risarcitoria – Reclamo incidentale – Insussistenza delle mansioni – Criteri di selezione del personale da licenziare – Difficoltà economiche aziendali – Esclusi profili discriminatori – Standard di accreditamento – Integrazione della comunicazione datoriale – Tempestiva comunicazione alla Commissione regionale – Rigetto
Fatti di causa
1. La Sig. S. ha impugnato il licenziamento intimatole dalla Casa di Cura in data 24 novembre 2016 all’esito della procedura ex artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, chiedendo, in via principale, la reintegra nel posto di lavoro e, in via subordinata, la condanna del datore di lavoro al pagamento dell’indennità risarcitoria.
1.1. Il Tribunale in sede sommaria ha accertato l’illegittimità del licenziamento ed ha dichiarato risolto il rapporto e condannato la società al pagamento dell’indennità risarcitoria. In esito all’opposizione la pronuncia è stata confermata.
1.2. La Corte di appello di Catanzaro, invece, ha ritenuto legittimo il licenziamento osservando, da un canto, che non vi era alcuna incompletezza della comunicazione alla Commissione regionale; dall’altro, che l’integrazione richiesta era una mera compilazione di modelli su dati già esistenti.
1.3. Nel rigettare il reclamo incidentale della lavoratrice, poi, la Corte territoriale ha ritenuto che la scelta datoriale di eliminare il settore amministrativo, non funzionale al riconoscimento dell’accreditamento, non fosse censurabile da parte del giudice.
Ha osservato che la soppressione dell’intero reparto, di cui accertava l’effettività, esonerava la datrice di lavoro dal precisare sulla base di quali criteri la lavoratrice era stata scelta. Inoltre, sulla base delle dichiarazioni testimoniali, ha accertato che era risultata confermata, successivamente al licenziamento, la insussistenza delle mansioni. Infine, la Corte ha escluso il carattere discriminatorio del licenziamento.
2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M. S. affidato a quattro motivi.
2.1. La Casa di Cura V.O. s.r.l. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale.
2.2. Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri e per l’inammissibilità del ricorso incidentale.
Ragioni della decisione
3. Il ricorso principale.
3.1. Con il primo motivo di ricorso principale è denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 comma 9 e 5 comma 3 della legge n. 223 del 1991, nonché del regolamento regionale n. 13 del 2009 emanato in attuazione della Legge Regione Calabria n. 24 del 2008 per avere la Corte territoriale ritenuto legittima, anche in caso di mancato accordo sindacale, l’utilizzazione – al di fuori del concorso tra i criteri legali di scelta e di una valutazione globale degli stessi – di un unico criterio di scelta, ricavato dagli standard regionali di accreditamento al servizio sanitario, aventi altra funzione, e riferito, per di più, ad una parte soltanto del complesso aziendale, nonché per avere il giudice di secondo grado ritenuto che il profilo professionale di collaboratore amministrativo non sarebbe previsto nell’ambito degli standard di accreditamento di cui al citato regolamento.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 347 c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso di acquisire il fascicolo d’ufficio di primo grado e per avere, per l’effetto, rigettato il secondo motivo di appello incidentale per assenza di prova sui fatti, recependo, come facenti piena prova, elementi soggetti a valutazione ovvero disattendendo le risultanze dei documenti acquisiti agli atti di causa e della prova testimoniale, espletata nel giudizio di primo grado.
3.3. Il terzo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla disposta sospensione della procedura di mobilità a cagione dell’omessa integrazione della comunicazione datoriale nei termini richiesti dalla Commissione, con particolare riferimento all’indicazione delle date dei licenziamenti, invero mancante nelle schede allegate alla comunicazione integrativa del 23.11/28.12.2016.
3.4. L’ultimo motivo ha ad oggetto la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 4, commi 9 e 12, e 24, commi 1 e 2, della legge n. 223 del 1991, nonché dell’art. 2, comma 71 della legge n. 92 del 2012, per avere la Corte territoriale ritenuto – sull’assunto che la società datoriale non rientrerebbe nell’ambito applicativo della CIGS – irrilevante l’eventuale incompletezza della comunicazione ex art. 4, c. 9, della legge n. 223 del 1991 in quanto finanche l’omissione di detta comunicazione – nel caso in cui i dipendenti licenziati non possano beneficiare dell’indennità di mobilità – non determinerebbe un vizio della procedura di licenziamento.
4. Con il ricorso incidentale è denunciata la violazione degli artt.91 e 92 c.p.c. per avere la Corte di merito illegittimamente compensazione delle spese di lite disposta dal Giudice di secondo grado.
5. Il ricorso principale non può essere accolto.
5.1. Va ricordato che nella procedura di licenziamento collettivo il controllo preventivo della ricorrenza delle condizioni legittimanti la procedura di riduzione del personale è demandata alle parti sociali ed il giudice non può sindacare l’opportunità delle scelte datoriali (nella specie la soppressione di posizioni amministrative non funzionali immediatamente per ottenere l’accreditamento presso la Regione) restando impregiudicata la verifica della correttezza procedurale dell’operazione, ivi compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso (cfr. Cass. 24/01/2022 n. 2010). I criteri di selezione del personale da licenziare, quando non siano predeterminati secondo uno specifico ordine stabilito da accordi collettivi, devono essere osservati in concorso tra loro. Ne segue che il datore di lavoro è tenuto ad una valutazione globale dei medesimi, ma ciò non esclude che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza ad uno di detti criteri e, in particolare, alle esigenze tecnico-produttive, essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale, sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie (cfr. Cass. 12/05/2021 n. 12634). Quando poi la ristrutturazione interessi, come nella specie, una specifica unità produttiva o un settore, la comparazione dei lavoratori per l’ individuazione di coloro da avviare a mobilità può essere limitata al personale addetto a quella unità o a quel settore, salvo l’idoneità dei dipendenti del reparto, per il pregresso impiego in altri reparti della azienda, ad occupare le posizioni lavorative dei colleghi a questi ultimi addetti, spettando ai lavoratori l’onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni (cfr. Cass. 25/02/2022 n. 6296 e 27/01/2022 n.2390).
5.2. Tanto premesso ritiene il Collegio che la Corte territoriale si sia attenuta agli indicati principi e, con riguardo alla denunciata violazione dell’art. 4 comma 9 (che prevede la comunicazione al lavoratore e all’ufficio regionale del lavoro delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta) ha ritenuto, in conformità agli stessi che non fosse sindacabile da parte del giudice la scelta di fronteggiare le difficoltà economiche con una riduzione dell’organico che era individuato in settori che non influivano sugli standard di accreditamento della società presso il sistema sanitario regionale. A tale scelta, corroborata dall’accertamento della effettiva diminuzione delle esigenze amministrative connessa alla diminuzione dei posti letti ed alla scelta di esternalizzare il servizio amministrativo, è coerentemente seguito il licenziamento proprio dei due collaboratori amministrativi. Il giudice di appello ha accertato in fatto che il regolamento della Regione non prevedeva come necessaria per ottenere l’accreditamento la presenza di personale amministrativo ed ha sottolineato, condivisibilmente, che le modalità di applicazione dei criteri di scelta non devono essere precisate nella comunicazione di avvio della procedura e che, una volta individuato il settore da sopprimere interamente ed accertata la effettività della soppressione e la marginalità dei compiti residuati e redistribuiti, la decisione di espellere tutti i lavoratori ivi addetti non può essere sindacata dal giudice. Per quanto concerne poi la possibilità di utilizzare altrimenti i dipendenti invece licenziati il giudice del reclamo ha accertato, ancora in fatto, che nel giudizio non era stato neppure allegato dalla lavoratrice che avrebbe potuto essere altrimenti utilizzata. Da ultimo e a completamento dell’indagine correttamente svolta la Corte ha escluso che fossero ravvisabili nel licenziamento profili discriminatori che ne viziassero la validità. La ricorrente deduce che “il mero riferimento agli standard di accreditamento – in sé all’evidenza generico e di non agevole interpretazione -sia estraneo al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive e organizzative” e tuttavia la Corte territoriale si è confrontata con tale questione ed ha sottolineato che proprio lo standard di accreditamento era la ragione sottostante la scelta imprenditoriale di sopprimere il settore e di licenziare quindi i due addetti. Si tratta di criterio sufficientemente preciso e individuato che non vizia la comunicazione datoriale (….) sotto il profilo formale delle indicazioni relative alle modalità di applicazione dei criteri di scelta che sono stati coerentemente applicati in adesione allo stesso (cfr. Cass. 17/07/2018 n. 19010 e 02/02/2018 n. 2587). In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere rigettato.
5.3. Il secondo motivo con il quale è denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 347 c.p.c. è inammissibile tenuto conto che con la censura da un canto non si chiarisce in che modo la mancata acquisizione del fascicolo si sia risolta in un pregiudizio per l’odierna ricorrente, dall’altro nella sostanza si censura la sentenza per aver arbitrariamente ed irragionevolmente apprezzato le risultanze istruttorie in maniera scorretta e la censura si sostanzia però in una non consentita diversa valutazione del materiale probatorio.
Come è noto per aversi violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è necessario che si alleghi che il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione ma non per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr. per tutte Cass. 27/12/2016 n. 27000).
5.4. Ugualmente non può essere accolto il terzo motivo di ricorso, avente ad oggetto l’omesso esame del fatto, ritenuto decisivo per il giudizio, e costituito dalla disposta sospensione della procedura di mobilità a cagione dell’omessa integrazione della comunicazione datoriale nei termini richiesti dalla Commissione. In realtà la Corte prende espressamente in esame la richiesta di integrazione formulata dalla Commissione Regionale Tripartita e accerta che si era trattato di una mera regolarizzazione di elementi tutti già presenti. Nessun omesso esame di fatto decisivo è dunque ravvisabile.
5.5. Neppure il quarto motivo – che attiene ancora all’incompletezza della comunicazione inviata alla Commissione Regionale Tripartita ed al suo riflesso sulla proceduta di licenziamento – può essere accolto. È stato accertato in fatto che la Comunicazione con l’indicazione del personale, anche quello licenziato, era stata tempestivamente inviata alla Commissione regionale che aveva richiesto solo alcune precisazioni e la Corte di appello ha del pari verificato che la comunicazione ex art. 4 comma 9 legge n. 223 del 1991 conteneva tutti gli elementi richiesti restando garantita la partecipazione informata di tutti i soggetti necessari alla cogestione della crisi culminante nel licenziamento.
5.6. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato.
6. È inammissibile invece il ricorso incidentale della società avente ad oggetto il capo della decisione con il quale si ritiene illegittima la compensazione delle spese di lite disposta dal Giudice di secondo grado.
6.1. Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata, di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti ovvero nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. 18/02/2019 n. 4696). Orbene la Corte territoriale, con apprezzamento a lei riservato, da conto delle gravi ed eccezionali ragioni per le quali ritiene sussistere ragioni di compensazione delle spese richiamando espressamente un precedente di questa Corte (Cass. n. 21157 del 2019) dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi.
7. In conclusione respinto il ricorso principale ed inammissibile quello incidentale devono essere compensate le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va poi dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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