Corte di Cassazione, sentenza n. 26204 depositata l’ 8 settembre 2023
l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie
FATTI DI CAUSA
1. Con processo verbale di constatazione del 31 luglio 2008, la Direzione centrale accertamento – settore controlli fiscali – Ufficio soggetti di grandi dimensioni dell’Agenzia delle Entrate contestava alla società M.A. s.p.a. (successivamente incorporata nella F.S. s.p.a., di seguito ridenominata U.S. s.p.a.) di avere eluso l’applicazione dell’art. 26, comma 5, del d.P.R. 29 settembre 1973, 600, non avendo effettuato le ritenute sugli interessi afferenti i prestiti denominati “Sibilla” e “Colosseo”, contratti con la società non residente F.N. BV.
In base ai rilievi formulati nel p.v.c., l’Agenzia delle Entrate emetteva, quindi, nei confronti della M.A. s.p.a., l’avviso di accertamento n. TMB070200515/2009, con il quale l’Ufficio accertava, in capo alla società contribuente, l’omessa effettuazione di ritenute alla fonte a titolo d’imposta per l’anno 2004, per complessivi € 1.695,00, e l’atto di contestazione n. TMBCO0200125/2009, con il quale, a fronte dei rilievi accertati, irrogava la sanzione prevista dall’art. 13, commi 1 e 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, per l’anno 2004, per l’importo di € 508,00.
2. Avverso tali atti la M.A. proponeva separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano la quale, con sentenze n. 110/36/2012 e 111/36/2012, depositate il 17 aprile 2012, li accoglieva, annullando gli atti impugnati.
3. Interposti separati gravami dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 2839/15/2014, pronunciata il 7 aprile 2014 e depositata in segreteria il 27 maggio 2014, previa riunione, accoglieva li appelli, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento e dell’atto di contestazione impugnati.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la U.S. s.p.a., quale società incorporante la M.A. s.p.a., sulla base di otto motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
5. All’udienza pubblica del 9 maggio 2023 il consigliere relatore ha svolto la relazione e – a seguito di richiesta ex 23, comma 8-bis, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 – il P.M. e le parti hanno rassegnato le proprie conclusioni a seguito di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso, come si è detto, è affidato a otto motivi
6.1 Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli 26, comma 5, e 64, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973, nonché degli artt. 43 e 56 del Trattato sulla Comunità Europea vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, la società contribuente che l’applicazione della ritenuta sugli interessi a carico dei sostituti d’imposta residenti in Italia e corrisposti a società commerciali residente in un altro Stato membro violerebbe la libertà di prestazione dei servizi e di circolazione, sancita dalle norme comunitarie, in quando idonea a dissuadere i primi dal richiedere la concessione di finanziamenti alle seconde, non essendo previsto analogo obbligo a carico dei sostituti d’imposta sugli interessi corrisposti a società commerciali residenti in Italia.
6.2 Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 23 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e dell’art. 1933 cod. civ., nonché dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, la contribuente che la C.T.R., dando per acquisito che i contratti di cross currency swap, avendo natura aleatoria, darebbero luogo ad una scommessa, ha innanzitutto violato e falsamente applicato il disposto del testo unico della finanza, che disciplina gli strumenti finanziari, e l’art. 1933 cod. civ., che disciplina il contratto di scommessa, posto che agli strumenti finanziari in questione non si applica il suddetto art. 1933 cit., e quindi i contratti derivati non darebbero luogo a scommessa. Inoltre, secondo la ricorrente, l’utile potenzialmente derivante dai contratti derivati stipulati assurgerebbe comunque a valida ragione economica dell’operazione, che ne escluderebbe la natura abusiva.
6.3 Con il terzo motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. Sostiene, in particolare, la ricorrente che la C.T.R., nel ritenere abusiva la complessiva operazione posta in essere dalle parti, non ha considerato che la norma suddetta non prende in considerazione, ai fini della natura elusiva dell’operazione, qualunque ipotesi di risparmio d’imposta, bensì soltanto le situazioni in cui il risparmio d’imposta sia indebito, nel mentre l’operazione posta in essere dalle parti, nel caso di specie, era comunque assistita da valide ragioni economiche.
6.4 Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli 36 del d.l.gs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, la U.S. s.p.a. che la sentenza impugnata conterrebbe una motivazione meramente apparente, non essendo chiaramente indicato per quale motivo il risparmio d’imposta conseguito dalla M.A. s.p.a. sarebbe indebito.
6.5 Con il quinto motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo ai fini della decisione, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.
Sostiene, in particolare, la ricorrente che la C.T.R. avrebbe omesso di esaminare la circostanza secondo cui L.B. aveva assunto, sulla base dei contratti di cross currency swap, l’obbligo di eseguire pagamenti periodici a favore della M.A. s.p.a. al tasso dello 0,17% maggiorato fino allo 0,30% nel caso in cui il tasso interbancario del franco svizzero fosse rimasto compreso in un intervallo prestabilito.
6.6 Con il sesto motivo di ricorso si eccepisce sempre l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, 5), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, la ricorrente che la M.A. aveva allegato negli atti del giudizio la circostanza della sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’esonero da ritenuta degli interessi previsti dalla direttiva comunitaria 2003/49/CE.
6.7 Con il settimo motivo di ricorso la U.S. s.p.a. eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 56 del Trattato CE (nel testo vigente ratione temporis, corrispondenti agli attuali artt. 49 e 63 TFUE), in relazione all’art. 360, primo comma num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, la ricorrente che il mancato riconoscimento dei costi sostenuti per la produzione degli interessi corrisposti da una società residente ad una società non residente restringa la libertà di prestazione dei servizi e di circolazione dei capitali, concesse dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
6.8 Con l’ottavo motivo di ricorso si eccepisce, infine, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce la ricorrente che la C.T.R. avrebbe comunque errato, laddove ha reputato applicabili a carico della M. A. s.p.a. le sanzioni irrogate dall’Ufficio, ricorrendo un’ipotesi di fattispecie non illecita, ma semplicemente elusiva, che, come tale, non giustifica l’applicazione delle sanzioni.
7. Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto
7.1 Il primo motivo è infondato.
7.1.1 Per una migliore comprensione della vicenda, appare opportuno riassumere brevemente le ragioni a fondamento dell’accertamento.
Nel corso del periodo d’imposta 2001 la società M.A. s.p.a. (ora incorporata nella U.S. s.p.a.) e la sua controllante F.S. s.p.a. ponevano in essere, previa autorizzazione dell’ISVAP, un’operazione di finanziamento finalizzata ad incrementare gli attivi disponibili ed utilizzabili a copertura delle riserve tecniche.
Nell’àmbito di tale operazione F.N. BV, società di diritto olandese fiscalmente residente dei Paesi Bassi e interamente controllata dalla F.S. s.p.a. emetteva obbligazioni quotate sul mercato regolamentato del Granducato di Lussemburgo, di durata triennale, rimborsabili anticipatamente e convertibili a scelta del sottoscrittore in azioni di Banca di Roma s.p.a., Assicurazioni Generali s.p.a., Credit Suisse e Swiss Life, offrendole ad investitori istituzionali.
In particolare, F.N. BV emetteva obbligazioni convertibili in azioni di Credit Suisse, per l’importo di € 451.030.000,00 con cedola annuale dello 0,875% e con rendimento a scadenza del 2,875%; obbligazioni convertibili in azioni di Swiss Life, per l’importo di € 99.260.000,00, con una cedola annuale dello 0,875% e con rendimento a scadenza dell’1,875%; obbligazioni convertibili in azioni di Banca di Roma s.p.a., per l’importo di
€ 189.019.000,00, con una cedola annuale dell’1,125% e con rendimento a scadenza del 2.875%; obbligazioni convertibili in azioni di Assicurazione Generali s.p.a., per l’importo di € 276.835.000,00, con una cedola annuale dell’1,125% e con rendimento a scadenza del 2,5%.
La F.N. B.V., a sua volta, impiegava i capitali raccolti mediante l’emissione delle obbligazioni convertibili per finanziare le società italiane F.S. e M.A. s.p.a.
Per quel che riguarda la M.A. s.p.a., questa, in qualità di finanziata, concludeva con F.N. B.V., in qualità di finanziatrice, quattro contratti di finanziamento, di durata coincidente con quella dei prestiti obbligazionari, e con facoltà del mutuante di chiedere il rimborso del capitale mediante assegnazioni di azioni di Banca di Roma s.p.a., Assicurazioni Generali s.p.a., Credit Suisse e Swiss Life.
In particolare, con i primi due contratti la F.N. BV, correlati alle obbligazioni convertibili che accordavano un tasso di interesse dello 0,875% (denominato finanziamento “Colosseo”), concedeva in prestito alla M.A. un capitale, rispettivamente, di € 301.409.000,00 e di € 62.151.000,00, dietro riconoscimento di un tasso di interesse dell’1,0822%, mentre con gli altri due contratti, correlati alle obbligazioni convertibili che accordavano un interesse dell’1,125% (c.d. finanziamento “Sibilla”), la società olandese concedeva alla M.A. s.p.a. un prestito rispettivamente di € 55.987.500,00 e di € 99.577.500,00, dietro riconoscimento di un tasso di interesse dell’1,4416%.
Nel novembre 2001 le condizioni dei finanziamenti in questione venivano modificate, in collegamento con la stipula di alcuni contratti derivati,
In particolare, i finanziamenti venivano ridenominati in franchi svizzeri (CHF), e l’importo veniva incrementato in misura pari alle commissioni sostenute per l’emissione delle obbligazioni; contestualmente, veniva operata la riduzione dei tassi di interesse a quelli di mercato di detta valuta, ammontanti allo 0,35% ed allo 0,41% per i finanziamenti correlati ai prestiti di obbligazioni convertibili in azioni della Banca di Roma s.p.a. e della Assicurazioni Generali s.p.a., ed allo 0,35% per i finanziamenti correlati alle obbligazioni convertibili in azioni delle società elvetiche Credit Suisse e Swiss Life.
Venivano inoltre stipulati, sia dalla società M.A. s.p.a. che dalla società F.N. BV, otto contratti derivati (due per ognuna delle tipologie di obbligazioni convertibili di riferimento, stipulati uno dalla società M.A. s.p.a. ed uno dalla società F.N. BV), con la società L.B. Finance S.A. e definiti di cross currency swap.
Per quanto riguarda, in particolare, i contratti derivati stipulati dalla M.A., questi comportavano l’impegno della compagnia a pagare a L.B. S.A. un importo pari agli interessi maturati sulle obbligazioni (1,125% per Banca di Roma e Assicurazioni Generali; 0,875% per Credit Suisse e Swiss Life), più una tariffa ulteriore dello 0,085%; l’impegno dei pagamenti da parte di L.B. Finance S.A. era invece legato all’andamento dei tassi di interesse del franco svizzero.
Con riferimento, invece, ai contratti derivati stipulati dalla F.N. BV, essi prevedevano il diritto delle stessa di incassare dalla Lehamnn Brothers Finance S.A. un importo pari agli interessi maturati sulle obbligazioni (1,125% per Banca di Roma e Assicurazioni Generali; 0,875% per Credi Suisse e Swiss Life), mentre l’impegno di F.N. BV era legato all’andamento del tasso di cambio Euro/CHF.
L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto elusiva (ex art. 37-bis d.P.R. n. 600/1973) l’intera operazione, in quanto la ridenominazione in franchi svizzeri dei finanziamenti della F.N. BV alla M.A. s.p.a. aveva ridotto i tassi di interessi sui quali applicare la ritenuta ex art. 26, comma 5, d.P.R. n. 600/1973, nel mentre, attraverso i derivati stipulati da entrambe le suddette società, alla società olandese continuava a pervenire un importo pari agli interessi maturati sulle obbligazioni, che tuttavia, in quanto proveniente per mezzo di contratti derivati, e non di finanziamento, non erano assoggettati a ritenuta d’imposta.
Secondo l’Ufficio tale operazione non aveva neanche una valida ragione economica, se non quella di ridurre il carico fiscale delle ritenute da operare sugli interessi. Di qui, pertanto, l’emissione dell’avviso di accertamento odiernamente impugnato, con il quale venivano recuperate a tassazione le minori ritenute alla fonte operate dalla società M.A. s.p.a., e l’atto di contestazione pure odiernamente impugnato, con il quale, a fronte dei rilievi accertati, veniva irrogata la sanzione prevista dall’art. 13, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 471/1997.
7.1.2 Orbene, ciò posto, con riferimento al primo motivo di ricorso, la ricorrente censura la sentenza impugnata, in quanto, a suo dire, l’imposizione a carico dei sostituti d’imposti residenti in Italia dell’obbligo di operare la ritenuta comporterebbe una restrizione alle libertà fondamentali di prestazioni di servizi e di circolazioni dei capitali, sancita dagli artt. 43 e 56 del Trattato CE, nel testo vigente ratione temporis.
Sul punto, deve innanzitutto rilevarsi che l’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 600/1973, prevede l’applicazione di una ritenuta di pari importo (a titolo di acconto per i residenti, o a titolo di imposta di imposta per i non residenti) sugli interessi corrisposti ai soggetti residenti come ai non residenti, in conformità ai principi europei di libera circolazione delle prestazioni di servizi e di capitali.
La corresponsione a titolo di acconto per gli interessi corrisposti ad imprese residenti nel territorio italiano si giustifica con il fatto che tali interessi (in qualità di componenti positivi) concorrono alla determinazione del reddito dell’impresa che li riceve, ragion per cui non può porsi in alcun modo un problema di compatibiltà della norma con il diritto UE.
Va osservato, in ogni caso, che, come questa Corte ha da tempo precisato, il sistema di prelievo fiscale mediante ritenuta diretta a titolo d’imposta non può in nessun modo considerarsi un beneficio o un regime agevolativo, trattandosi soltanto di una particolare modalità di riscossione di uno stesso tributo, ovvero di un regime sostitutivo di quello ordinario, giustificato dalla necessità di assicurare il gettito dell’imposta in considerazione della difficoltà oggettiva di ottenere l’osservanza degli obblighi di dichiarazione e di pagamento da parte di un soggetto non residente (Cass. 27 gennaio 2001, n. 1185).
Deve allora ribadirsi il principio secondo il quale, in tema di imposte sui redditi, la corresponsione di interessi per dilazione di pagamento, effettuata in favore di soggetto non residente nel territorio dello Stato e privo di stabile organizzazione in Italia, va assoggettata a ritenuta a titolo d’imposta, ai sensi dell’art. 26, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973; tale ritenuta va operata anche sugli interessi che, come quelli in esame, costituiscono reddito di impresa. Non rilevano, in contrario, né l’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 917/1986 [come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. a), del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, conv. dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133] – là dove prevede che «gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati» -, né l’art. 20, comma 1, lett. e), del medesimo d.P.R. n. 917/1986, secondo il quale, ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti, si considerano prodotti nel territorio dello Stato «i redditi di impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni»: l’art. 112, comma 1, dello stesso d.P.R. n. 917/1986 sancisce, infatti, il principio che i redditi delle persone giuridiche non residenti assoggettati a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva si sottraggono, come per ogni altra categoria di soggetti, alla regola secondo cui sono imponibili in Italia unicamente i redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato (Cass. 6 dicembre 2016, n. 24873; Cass. 10 settembre 2004, n. 18314; Cass. 2 aprile 2004, n. 6541).
La stessa Corte di Giustizia UE, inoltre, ha precisato che «Gli art. 43 e 56 del trattato Ce non ostano alla legislazione di uno Stato membro che esoneri dall’imposta sulle società i dividendi che una società residente percepisce da un’altra società residente e che, viceversa, assoggetti a tale imposta i dividendi che una società residente percepisce da una società non residente, a patto che sia in tal caso accordato un credito per le imposte effettivamente versate dalla società distributrice nel proprio Stato membro di residenza fino a concorrenza dell’imposta applicata nello Stato membro della società beneficiaria» (Corte giust. UE 12 dicembre 2006, causa n. C-446/04). Pertanto, l’assoggettamento alla ritenuta alla fonte delle imposte sugli interessi versate da società residenti in Italia a società residenti all’estero non è incompatibile con il diritto comunitario, dovendo, semmai, valutarsi tale compatibilità con riferimento alla normativa della Stato in cui risiede la società destinataria del pagamento, con riferimento all’eventuale sussistenza o insussistenza di un credito per le imposte versate in Italia.
7.2 Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono da ritenere inammissibili.
Ed invero, la concreta articolazione dei motivi non individua alcuna violazione delle norme indicate, ma svolge una censura di merito in ordine alla valutazione di fatto effettuata dalla C.T.R., con riferimento alla ritenuta natura elusiva dell’operazione posta in essere dalla M.A. s.p.a. e dalla F.N. BV, ed in particolare alla avvenuta ridenominazione dei contratti di finanziamento in franchi svizzeri, alla stipulazione di contratti derivati collegati ed all’assenza di valide ragioni economiche, operazione complessivamente idonea a far ottenere un indebito risparmio di imposta sugli interessi versati.
Sotto questo profilo, i motivi richiedono a questa Corte una valutazione in punto di fatto, inammissibile in questa sede.
7.3 Il quarto motivo è infondato.
La sentenza impugnata appare, invero, pienamente motivata, spiegando chiaramente per quali motivi l’operazione posta in essere dalla M.A. s.p.a. e dalla F.N. BV dovesse essere considerata elusiva, in quanto fondata su un contratto aleatorio, ed indicando, altresì, la sussistenza di un indebito risparmio d’imposta.
7.4 Il quinto ed il sesto motivo sono inammissibili.
Va innanzitutto rilevato che «l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. A tal fine, è “fatto” soltanto quello in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante» (Cass. 11 ottobre 2022, n. 29623).
Sul punto, con i motivi in esame la ricorrente censura, più che l’omesso esame di un fatto storico-naturalistico, la valutazione del materiale probatorio che ha effettuato la corte regionale, trasmodando quindi in una critica di merito alla sentenza impugnata, inammissibile in questa sede.
A tal proposito, va rilevato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Orbene, nel caso di specie, la C.T.R. ha senz’altro esaminato, nel suo complesso, il contenuto dei contratti di cross currency swap (v. pagg. 4-5 della sentenza), ed ha altresì valutato complessivamente le prove fornite dalle parti, ritenendo l’idoneità delle prove stesse a dimostrare l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 26-quater d.P.R. n. 600/1973, per beneficiare della esenzione dall’applicazione della ritenuta sugli interessi corrisposti alla società finanziatrice olandese, precisando che l’aggiramento della norma che assoggetta ad imposta i redditi di capitale percepiti in Italia da soggetti non residenti «non viene escluso né dalla possibilità di scomputare in Olande le ritenute d’imposta, perché la normativa antielusiva tutela l’erario nazionale, depauperato dal minore introito indicato nell’avviso di accertamento, e non quello olandese, né dalla eliminazione delle suddette ritenute ad opera della Direttiva n. 2003/49 della Comunità europea, in quanto non è stata fornita la prova che la società contribuente fosse in possesso di tutti i presupposti per l’applicazione dell’art. 26-quater del d.P.R. n. 600/1973, inserito dall’art. 1 del d.lgs. n. 143/2005, che quella direttiva ha percepito».
7.5 Anche il settimo motivo deve ritenersi inammissibile.
Con tale motivo, invero, si censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha reputato legittimo il recupero a carico della M.A. s.p.a. dell’importo lordo dei maggiori interessi che avrebbe dovuto corrispondere alla F.N. BV, e questa circostanza comporterebbe una restrizione della libertà di prestazione di servizi e di circolazione, posto che, invece, gli interessi corrisposti a società commerciali residenti in Italia sono assoggettabili ad imposta al netto, ed non al lordo dei costi.
Orbene, la questione del recupero degli interessi al lordo dei costi non risulta mai posta nei precedenti gradi di giudizio; la stessa è comunque infondata, in quanto, mentre per le società commerciali residenti gli interessi non costituiscono reddito di capitale, bensì reddito d’impresa (e vengono computati nella relativa base imponibile), per le società non residenti essi sono considerati come redditi di capitale e, in base all’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986, il reddito di capitale è costituito dall’ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d’imposta, senza alcuna deduzione.
Inoltre, non si vede come la circostanza che il prelievo ex art. 26, comma 5, d.P.R. n. 600/1973 avvenga al lordo, e non al netto, possa influire negativamente sulla libertà di stabilimento, trattandosi di manifestazioni di capacità contributiva diversamente qualificate ed individuate. Invero, la differenza di trattamento prevista dalla normativa fiscale, consistente nell’applicazione di tecniche impositive diverse, a seconda che le società beneficiarie siano residenti o meno in Italia, riguarda situazioni che non sono analoghe, proprio per la differenza circa la natura reddituale degli interessi, nonché per la differente posizione dello Stato impositore, il quale agisce quale ente impositore per i soggetti residenti, e quale fonte degli interessi per i soggetti non residenti; ne consegue che il versamento di interessi da parte di una società residente ad un’altra società residente, e il versamento di interessi da parte di una società residente ad una società non residente, danno luogo ad imposizioni diverse e, non a caso, è stato affermano che «gli Stati membri godono, allo stato attuale dell’armonizzazione del diritto tributario comunitario, di una certa autonomia. Discende da tale competenza fiscale che la libertà delle società di scegliere tra i diversi Stati membri di stabilimento non implica affatto che questi ultimi siano obbligati ad adattare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri al fine di garantire che una società la quale ha scelto di stabilirsi in uno Stato membro sia tassata, sul piano nazionale, alla stessa maniera di una società che ha scelto di stabilirsi in un altro Stato membro» (Corte giust. UE, 6 dicembre 2007, n. 298, causa C-298/05).
7.6 Con riferimento all’ottavo motivo, va osservato, in linea di principio, che le sanzioni sono applicabili anche nel caso in cui le norme tributaria siano violate mediante modalità elusiva (Cass. 21 luglio 2020, 15533; Cass. 31 dicembre 2019, n. 34750).
Ciò non di meno, deve rilevarsi che, con l’avviso di accertamento impugnato (n. TMB070200515/2009), l’Ufficio ha irrogato la sanzione per la presentazione di dichiarazione infedele del sostituto d’imposta ex art. 2, comma 2, d.lgs. n. 471/1997 (nel testo vigente ratione temporis) nella misura minima del 100% delle maggiori ritenute accertate e non
versate; in base allo ius superveniens di cui all’art. 15 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, la sanzione minima in questione è stata tuttavia ridotta al 90% delle ritenute non versate, ragion per cui la sentenza impugnata deve, in parte qua, essere cassata senza rinvio, in forza di norma sopravvenuta più favorevole (art. 3, comma 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472), dichiarandosi che la sanzione applicata ex art. 2, comma 2, d.lgs. n. 471/1997 è pari, per l’appunto, al 90% delle ritenute non versate.
Sussistono giustificati motivi per la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente giudizio, in considerazione della sopravvenuta riduzione delle sanzioni.
P. Q. M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla parte relativa alle sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento impugnato, da ridursi nei termini di cui in motivazione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.