CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 28314 depositata il 10 ottobre 2023
Lavoro – Licenziamento per superamento del periodo di comporto – Mobbing e molestie sessuali – Derivazione causale della malattia dall’ambiente di lavoro – Pronunzia di estinzione del reato di violenza privata – Rigetto
Svolgimento del processo
1.- (…) aveva lavorato in qualità di assistente amministrativo alle dipendenze dell’Ospedale Pediatrico (…) al 18/07/2006, quando era stata licenziata per superamento del periodo di comporto.
Assumeva che dall’anno 2000 al 2004 aveva subito mobbing e molestie sessuali da parte del suo superiore (l’allora vice direttore generale (…) e in conseguenza di tali condotte illecite, aveva sofferto ingenti danni di varia natura, anche alla salute, sicché il licenziamento era illegittimo, perché le assenze erano causalmente addebitabili al datore di lavoro ai sensi degli artt. 2087 e 2049 c.c.
Adiva pertanto il Tribunale di Roma per ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento, l’accertamento del mobbing e della responsabilità solidale dell’Ospedale per il comportamento tenuto dai suoi superiori, la condanna dell’Ospedale al risarcimento dei danni conseguenti, nonché del danno patrimoniale conseguito all’illegittimo licenziamento, da parametrare alle retribuzioni perdute fino al 65 anno di età, non avendo più lavorato.
2.- Costituitosi in giudizio l’Ospedale aveva eccepito, quanto alla domanda fondata sull’art. 2087 c.c., di aver saputo dell’asserito mobbing solo a seguito di una comunicazione della lavoratrice di agosto 2005 e di avere prontamente disposto un’indagine interna, nonché dopo alcuni mesi il trasferimento della (…) ad altro settore, sebbene la dipendente fosse assente per malattia da gennaio 2005 e lo era rimasta fino al licenziamento del luglio 2006.
3.- La causa veniva istruita con l’assunzione della prova testimoniale e con l’acquisizione della sentenza penale del Tribunale di Roma, che aveva riconosciuto il (…) responsabile del reato di cui all’art. 609 bis c.p. per l’episodio occorso in data 28/01/2002, ma aveva escluso le altre imputazioni – previa derubricazione nel delitto di violenza privata ex art. 610 c.p. – per l’intervenuta prescrizione.
4.- Indi il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, in parziale accoglimento delle domande, riconosceva il mobbing e le molestie con riguardo a vari episodi, ivi compreso quello accertato con sentenza penale, dichiarava la responsabilità dell’Ospedale per i danni e le assenze dal lavoro della dipendente per il periodo successivo al 27/08/2005, dichiarava conseguentemente illegittimo il licenziamento e condannava l’Ospedale a reintegrare la dipendente e a risarcirle il danno in misura pari a tutte le retribuzioni non percepite; rigettava le altre domande di risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale.
5.- Proposti separati appelli sia dall’Ospedale che dalla (…) riuniti i gravami, interveniva la sentenza d’appello penale, che assolveva il (…) perché il fatto non sussiste, in relazione all’unico fatto per il quale il Tribunale aveva affermato la responsabilità penale dell’imputato.
Indi la Corte d’Appello, in funzione di giudice del lavoro, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il gravame dell’Ospedale e per l’effetto rigettava tutte le domande della (…) di cui rigettava anche l’appello, e condannava l’ex dipendente a rimborsare le spese dei due gradi di giudizio.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) un serio ostacolo ad un esaustivo accertamento dei fatti asseritamente avvenuti fra il 2000 e il 2004 e dell’eventuale coinvolgimento omissivo dell’Ospedale ex art. 2087 c.c. è rappresentato dallo stesso comportamento della lavoratrice, che si è posta in malattia per un anno e mezzo e solo dopo molti mesi ha inteso denunziare all’azienda le persecuzioni;
b) significativi sono il fatto che il ristoro del pregiudizio è stato richiesto solo in occasione della necessità di giustificare le assenze fino a quel momento effettuate; il fatto che la (…) non sia rientrata in servizio dopo che l’ospedale le aveva comunicato il suo trasferimento nell’ufficio di altro dirigente e neppure dopo la cessazione dell’incarico del (…) il fatto che ella abbia atteso altri cinque anni per impugnare il licenziamento; il fatto di aver denunziato penalmente il (…) solo dopo che costui l’aveva denunziata per diffamazione;
c) la valutazione istruttoria del Tribunale non è condivisibile, in quanto si fonda sull’assunto che i testimoni escussi sarebbero inattendibili perché dipendenti dell’Ospedale, assunto apodittico e nel caso del teste (…) eppure fondato, perché il rapporto di lavoro di costui era cessato da anni rispetto al momento della testimonianza;
d) va invece evidenziato che ben sei testimoni escussi, che hanno condiviso con la (…) l’ambiente di lavoro, hanno concordemente dichiarato di non avere mai assistito a comportamenti sconvenienti o persecutori del (…) verso la ricorrente;
e) si tratta di testimoni attendibili, anche perché è improbabile che tutti siano stati intimiditi (ad eccezione dei tre che si sono dichiarati amici della (…) o siano compiacenti verso l’Ospedale;
f) quanto alla sentenza penale di primo grado, va evidenziato non solo che essa è stata riformata integralmente in appello, ma all’epoca della decisione del Tribunale in funzione di giudice del lavoro non era ancora passata in giudicato e quindi le prove ivi raccolte potevano essere liberamente valutate, ma non anche costituire prova nel giudizio del lavoro;
9) quindi il Tribunale in funzione di giudice del lavoro avrebbe dovuto considerare il diverso ruolo della parte offesa nei due diversi giudizi ed applicare la regola dell’art. 246 c.p.c., che esclude la capacità di testimoniare di persone che in causa hanno un interesse (Cass. n. 16916/2019), sicchè il Tribunale non poteva utilizzare per il proprio convincimento le dichiarazioni rese dalla (…) nel processo penale come parte offesa, perché ella non avrebbe mai potuto essere testimone nella causa di lavoro;
h) alla luce di tali considerazioni si giustifica il principio secondo cui il giudice del lavoro deve valutare autonomamente i fatti e deve inserire gli elementi raccolti in sede penale (ad esempio le testimonianze diverse dalla persona offesa) nel quadro complessivamente emerso nel giudizio civile (Cass. n. 15112/2013);
i) tale principio vale nei due sensi: non sarà vincolante l’intervenuta assoluzione, ma neppure la condanna peraltro poi riformata;
j) l’onere della prova a carico della lavoratrice non è stato assolto;
k) sia l’episodio del (…) sia le generiche e ripetute molestie non inquadrate precisamente sul piano temporale sono riportate solo dai testi (…) i primi due peraltro de relato actoris e con una dose di dubitabilità intrinseca;
l) la deposizione della (…) che ha dichiarato di avere visto il palpamento del seno, risulta inficiata dall’incerta collocazione temporale; la teste ha dichiarato che quell’episodio si era verificato nel febbraio-marzo 2002, la (…) ha invece collocato al (…) producendo il certificato medico redatto dal (…) quel giorno;
m) tuttavia, come risulta dal processo penale, in quel certificato non vi è cenno di tale episodio e dai tabulati prodotti dall’imputato, provenienti dall’Ospedale, risulta che quel giorno (…) era assente dal lavoro;
n) si tratta di documentazione valutata dalla Corte d’appello penale come decisiva per escludere la penale responsabilità del (…)
o) se l’onere della prova non è stato assolto in relazione all’episodio culminante delle molestie e delle vessazioni, altrettanto deve dirsi per le altre “molestie sessuali continuativamente perpetrate”, genericamente dedotte in ricorso e confermate solo da testi de relato, che hanno raccolto confidenze della (…).
p) anche a voler per assurdo ritenere sussistenti le vessazioni dedotte, dal complesso degli elementi non è emerso alcun profilo di responsabilità dell’Ospedale ai sensi dell’art. 2087 c.c.;
q) il Tribunale ha rinvenuto tali elementi nell’aver fatto un’indagine interna “sommaria e superficiale”, nel non aver convocato il (…) a rendere spiegazioni, tantomeno in sede disciplinare, nel non avere rassicurato la dipendente al rientro al lavoro dopo la malattia (rientro mai avvenuto);
secondo il Tribunale tutto ciò avrebbe dato origine ad un’autonoma serie causale di sofferenze ingiuste, che avrebbero aggravato la condizione psico-fisica della lavoratrice e concausato le assenze, determinando il superamento del periodo di comporto;
r) questa tesi non convince per varie ragioni; in primo luogo nel ricorso di primo grado l’Ospedale è coinvolto a titolo di responsabilità solidale per tutti i fatti, senza distinguere affatto un’autonoma ragione di pregiudizio, quale foriera di una parte del danno ovvero del suo aggravamento;
s) in secondo luogo, considerata la particolarità del caso, in cui la (…) non ha denunciato i fatti nell’immediatezza e sì è posta in malattia per oltre un anno e mezzo, non vi è alcun indizio che consenta di ritenere che un diverso contegno dell’Ospedale avrebbe ridotto o eliminato il pregiudizio: alla notizia delle molestie, ormai cessate da molti mesi, è stata avviata un’indagine interna, naturalmente riservata a tutela della reputazione di entrambi i soggetti coinvolti, che non ha offerto elementi per procedere disciplinarmente; perdurando l’assenza della (…) stato disposto il suo trasferimento ad altro ufficio; la presenza del (…) al rientro della lavoratrice era stata scongiurata dalla cessazione del rapporto dirigenziale di costui con l’Ospedale; tali misure non hanno apportato alcun beneficio alle condizioni della (…) che è rimasta assente per malattia;
t) il Tribunale ha peraltro concluso che il danno complessivo sarebbe permanente, ma contraddittoriamente ha negato ingresso all’accertamento del danno biologico; ha ritenuto che quel danno fosse causalmente addebitabile in via esclusiva al (…) ma poi aggravato dalla mancata reazione dell’Ospedale; è invece davvero arduo individuare nel lungo periodo di malattia della lavoratrice quale porzione sarebbe addebitabile all’Ospedale e giustificare perché tale concausa avrebbe cessato all’improvviso di produrre i suoi effetti da un determinato momento in poi;
u) che altre innominate misure avrebbero fatto rientrare in servizio la (…) e avrebbero così impedito il fatto generatore del licenziamento è totalmente indimostrato e contrario anche all’id quod plerumque accidit;
v) vanno pertanto accolti i motivi di appello dal primo al quinto e l’undicesimo, assorbiti tutti gli altri.
6.- Avverso tale sentenza (…) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
7.- L’Ospedale Pediatrico “(…) ha resistito con controricorso ed ha a sua volta proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo. Ha infine depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. la (…) lamentava la violazione dell’art. 2110 cc. (sul comporto) dovuta all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ossia la derivazione causale della malattia dall’ambiente di lavoro, derivazione dimostrata da plurimi certificati di malattia prodotti in giudizio, ossia dai documenti da 10 a 26 del ricorso di primo grado.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 437 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di disporre una consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare la natura “professionale” della malattia contratta e documentata.
I due motivi – da esaminare congiuntamente per la loro connessione – sono inammissibili.
Infatti il primo sollecita a questa Corte una rivisitazione dei documenti, attività che invece è riservata al giudice di merito ai fini della formazione del suo convincimento.
Inoltre questa Corte ha più volte precisato che «Ai fini del sindacato di legittimità, in relazione alla censura di omesso esame di documenti dedotta dal ricorrente per cassazione, è necessario che tra la documentazione che si afferma non esaminata e la soluzione data alla controversia dalla sentenza impugnata sussista un rapporto di causalità logico-giuridica tale da far ritenere, attraverso un giudizio di certezza, che detta documentazione – che il ricorrente ha l’onere di indicare esplicitamente nella sua consistenza, identità ed efficienza – possa comportare, se esaminata, una decisione diversa» (Cass. n. 4009/2001). Più precisamente, «Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Pertanto, la denunzia in sede di legittimità dell’omesso esame del documento deve contenere l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa» (Cass. n. 7086/2005; Cass. n. 3075/2006; Cass. n. 11457/2007; Cass. n. 4369/2009; Cass. ord. n. 5377/2011; Cass. n. 4980/2014; Cass ord. n. 5654/2017; Cass. ord. n. 16214/2019).
Nel caso di specie tali oneri non sono stati adempiuti.
Quanto alla consulenza tecnica d’ufficio, pure richiesta dalla (…) sia in primo grado, sia come motivo di appello avverso la sentenza di primo grado, si tratta in via di principio di un ausilio per il giudice, per valutare fatti da lui ritenuti già adeguatamente dimostrati. Essa, pertanto, è sottratta alla disponibilità delle parti e affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione sul se e in quali limiti disporla. In tale prospettiva la motivazione dell’eventuale diniego può essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass. ord. n. 326/2020; Cass. n. 15219/2007).
Ciò è quanto accaduto nella specie: a Corte territoriale, sulla base di un diverso e complessivo apprezzamento delle risultanze istruttorie, ha ritenuto del tutto indimostrati i fatti posti dalla (…) fondamento delle sue pretese ed anzi ha ritenuto sussistenti elementi indiziari di segno contrario, ossia idonei ad escludere la sussistenza di quei fatti. Ne consegue che i giudici d’appello hanno implicitamente – ma univocamente – rigettato l’stanza di nomina di un consulente tecnico d’ufficio, sicché il vizio di motivazione denunciato si rivela insussistente.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), C.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un altro fatto decisivo per il giudizio, ossia l’intervenuta sentenza penale che aveva – a suo dire – riconosciuto la violenza privata ex art. 610 c.p. come fatto generativo della malattia della dipendente, capo questo che era passato in giudicato, dal momento che anche i Giudici di appello penale avevano confermato tale capo di “improcedibilità” dell’azione penale solo per intervenuta prescrizione.
Il motivo è infondato.
Non vi è alcuna violazione di norme di diritto (neppure indicate dalla ricorrente), poiché non vi è alcun giudicato di accertamento di quei fatti, ma solo una pronunzia di estinzione del reato di violenza privata (così riqualificato il capo di imputazione sub B) per intervenuta prescrizione. Questa Corte, in sede penale, ha affermato in funzione nomofilattica: «In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione’, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento» (Cass. sez. un. 28/05/2009, n. 35490; nello stesso senso Cass. pen. n. 23680/2013; Cass. pen. n. 43853/2013; Cass. pen. n. 10284/2014; Cass. pen. n. 67027/2016; Cass. pen. n. 27725/2018).
Alla luce di tale principio di diritto deve pertanto ritenersi che, nel caso in esame, il Tribunale penale aveva pronunziato la prescrizione perché non vi erano elementi dai quali potesse percepirsi ictu oculi l’esclusione della sussistenza del fatto, oppure della commissione da parte dell’imputato o della sua rilevanza penale.
Quindi vi è stato un accertamento soltanto “in negativo”, ossia dell’inesistenza di tali elementi, non pure un accertamento “in positivo” della sussistenza di quei fatti e della connessa responsabilità del (…).
Ciò esclude che pertanto sia identificabile un capo della sentenza penale (passato in giudicato) relativo all’accertamento della responsabilità del predetto per i fatti che sarebbero stati asseritamente da lui compiuti dal 2000 al 2004, derubricati in “violenza privata” ex art. 610 c.p. Sicché nessun effetto vincolante quella pronunzia poteva produrre nei confronti del parallelo processo del lavoro intentato dalla (…) contro il suo datore di lavoro fondato su quei medesimi fatti.
3.- Restano pertanto assorbiti:
a) il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., con cui la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2087 e 2049 c.c. per avere la Corte territoriale escluso la responsabilità dell’Ospedale per i fatti commessi dal suo dirigente (…) andando alla ricerca di comportamenti omissivi propri dell’Ospedale invece non necessari;
b) il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c., con cui la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione” degli artt. 115 e 437 c.p.c., 2087 e 2049 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia l’essersi verificati danni non patrimoniali dimostrati dai molteplici certificati medici prodotti in giudizio.
4.- Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 115 e 116 c.p.c. per non avere la Corte territoriale considerato le testimonianze acquisite nel processo penale, che hanno integrato un pieno riscontro della denunzia della (…) quale persona offesa.
Il motivo è inammissibile, perché tende a sottoporre a questa Corte una nuova valutazione di quelle testimonianze, attività invece riservata al giudice del merito.
5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. l’Ospedale lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunziare sulla domanda restitutoria formulata in appello.
Il motivo è da accogliere, visto che effettivamente l’istanza restitutoria era stata avanzata dall’Ospedale. In tal senso la causa va rimessa alla Corte territoriale, affinché accerti il relativo fatto costitutivo (avvenuto pagamento) e pronunzi di conseguenza, provvedendo alla regolamentazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; accoglie quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso incidentale accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per la pronunzia conseguente all’accoglimento del ricorso incidentale, nonché per la regolamentazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
In caso di diffusione dispone che sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti e dei terzi coinvolti nel presente giudizio, ai sensi dell’art. 52 d.Lgs. n. 196/2003.
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