Corte di Cassazione, sentenza n. 34013 depositata il 18 novembre 2022
accertamento ICI/IMU – motivazione dell’atto impositivo – regolamento delle spese processuali – il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. G.A. ha impugnato l’avviso di accertamento i.c.i. n. 162 del 2010, relativo ad alcuni beni di sua proprietà, per l’anno 2005.
2. La Commissione provinciale tributaria, accogliendo parzialmente il ricorso, ha ridotto il valore accertato del terreno (part. 74, foglio 3) del 50% e rideterminato i valori degli altri beni, riducendo la rivalutazione delle rendite, con compensazione delle spese di lite.
3. L’appello del contribuente è stato rigettato, con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio a favore del Comune. Nella sentenza impugnata si legge: “risulta dal verbale di udienza del 3.10.2013 che il contribuente contestava la rettifica contenuta nell’atto denominato memoria ex art. 32, comma 3, d.lgs. n. 546/1992 presentato dal Comune di Cardito, in cui vi era una sostanziale ammissione di un errore di calcolo quanto alle rendite catastali degli immobili foglio 6, particella 385, categoria 808, foglio 6, particella 78, categoria A/01, foglio 3, particella 70 (rectius 23)…..corretta appare la soluzione della Commissione tributaria di primo grado, che ha rideterminato nel senso indicato i valori del debito tributario, che è solo parzialmente infondato”; quanto all’immobile di cui al foglio 3, particella 74, rispetto a cui il ricorrente, mediante produzione all’udienza pubblica del diniego di concessione edilizia, ha contestato l’edificabilità, dopo il richiamo dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’edificabilità deve essere valutata alla luce del piano regolatore generale e degli strumenti urbanistici attuativi, si legge: “l’ente resistente ha fornito prova della edificazione sull’area in questione, in epoca successiva non specificata, di 12 appartamenti e box auto”.
4. Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, formulando quattro
5. Fissata all’udienza pubblica del 3 novembre 2022, la causa è stata trattata in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in l. n. 176 del 2020, e dal sopravvenuto d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, c. 1, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che si è limitato a depositare conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo, con assorbimento degli altri, e del difensore del ricorrente, che non ha fatto richiesta di discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente ha dedotto: 1) la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 proc.civ., degli artt. 15 e 54 d.lgs. n. 546 del 1992, 91, 92 e 112 cod.proc.civ, avendo la sentenza impugnata riformato la compensazione delle spese di giudizio di primo grado in assenza di impugnazione incidentale sul punto dell’appellato Comune; 2) la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod.proc.civ., degli artt. 23, 24 e 32 d.lgs. n. 546 del 1992, 7 l. n. 212 del 2000, 3 della l. n. 241 del 1990, atteso che la memoria difensiva del Comune dell’11 giugno 2013, depositata tardivamente, contiene una inammissibile rettifica e nuova motivazione dell’atto impugnato in ordine al valore venale di comune commercio ed alle rendite catastali; 3) la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod.proc.civ., degli artt. 53 Cost., 1 e 5 d.lgs. n. 504
del 1992, 31, comma 20, della l. n. 289 del 2002, 7 della l. n. 212 del 2000, 3 della l. n. 241 del 1990, in quanto il Comune, nella qualificazione dell’area come edificabile e nella determinazione del valore, non ha tenuto conto del diniego di concessione edilizia, che esclude una effettiva e prossima possibilità edificatoria; 4) la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ., degli artt. 2948 cod.civ., 1, comma 161, l. n. 296 del 2006, 23, 24, 32 d.lgs. n. 546 del 1992, tenuto conto che l’integrazione della motivazione dell’atto impugnato, avvenuta con la memoria difensiva dell’ll giugno 2013, da parte del Comune, non può comportare il superamento della decadenza ormai intervenuta; 5) la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ., dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 e 7 della l. n. 212 del 2000, in quanto la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto rilevare l’assoluta carenza di indicazione, da parte del Comune, di criteri di valutazione usati e il mancato rispetto del contraddittorio endo-procedimentale.
2. Il primo motivo, avente ad oggetto la riforma della compensazione delle spese della sentenza di primo grado, è fondato, atteso che, da un lato, non è stata formulata alcuna domanda sul punto da parte del Comune appellato, che non ha proposto appello incidentale riguardo al capo delle spese della sentenza di primo grado, e, dall’altro lato, dal rigetto dell’appello principale consegue la mancata riforma della sentenza di primo grado, anche in punto di spese. Va, difatti, ribadito che il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Sez. 1, n. 14916 del 13/07/2020, Rv. 658671 – 01). In definitiva, il motivo deve essere accolto.
3. In ordine al secondo motivo, avente ad oggetto l’inammissibilità della motivazione postuma, effettuata dall’Amministrazione finanziaria, con la memoria del giugno 2013, secondo la prospettazione difensiva dal ricorrente, occorre premettere che, l’atto impositivo deve contenere “ab origine” la chiara esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, con un grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta al contribuente l’esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa, di talché eventuali lacune non possono essere colmate dall’amministrazione finanziaria con una motivazione postuma, resa nel corso del giudizio di impugnazione (v ., tra le tante, in tema di imposta di registro, 5, n. 11284 del 07/04/2022, Rv. 664342 – 01). Nel caso di specie, tuttavia, non si ricade nell’ipotesi di motivazione postume dell’atto impugnato. In proposito deve ricordarsi che, in tema di imposta comunale sugli immobili, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l“an ed il quantum dell’imposta, per cui il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Sez. 5, n. 26431 dell’8/ll/2017, Rv. 646218 – 01). Le deduzioni della memoria difensiva del Comune del giugno 2013 non incidono affatto su tali elementi essenziali della motivazione e, cioè, sulla individuazione degli estremi soggettivi ed oggettivi del credito tributario e dei criteri di quantificazione dello stesso, ma integrano piuttosto un’ammissione della sussistenza di errori di calcolo nella quantificazione della propria pretesa e conseguentemente un parziale riconoscimento della fondatezza delle contestazioni del ricorrente, che non arreca alcun pregiudizio al diritto di difesa di quest’ultimo, al contrario, facilitandone l’esercizio. In definitiva, nella presente fattispecie, si versa non nell’ipotesi di motivazione postuma dell’atto impugnato, ma piuttosto in quella diversa di riduzione della pretesa tributaria da parte dell’Amministrazione: riduzione considerata ammissibile. Si è, difatti, affermato che, in tema di domanda ed eccezione nel processo tributario, è liberamente consentita all’Ente impositore, nel corso del giudizio e anche con la proposizione di una richiesta subordinata, la rettifica della pretesa impositiva che comporti una riduzione dell’onere richiesto al contribuente, senza necessità di emanare un nuovo provvedimento impositivo, necessario, invece, allorché la rettifica comporti un aumento del predetto onere (Sez. 5, n. 19367 del 7/07/2021, Rv. 661877 – 01). A ciò si aggiunga che la riduzione del tributo dovuto è conseguita non alla memoria del Comune, ma piuttosto all’accoglimento parziale, da parte del giudice di primo grado, del ricorso originario del ricorrente (accoglimento parziale a cui il Comune si era dimostrato remissivo con la memoria del giugno 2013). In conclusione, il motivo in esame è infondato e va rigettato
4. Dal rigetto del secondo motivo consegue anche il rigetto del quarto motivo, con cui si è dedotta la decadenza della pretesa impositiva con riferimento al momento non dell’adozione dell’atto impugnato, ma piuttosto della memoria del giugno 2013, che, tuttavia, non si traduce, come già evidenziato, in un nuovo atto impositivo.
5. In ordine al terzo motivo, con cui si è lamentato che la sentenza di appello non ha tenuto conto dell’impossibilità edificatoria, all’epoca dei fatti, dell’area oggetto della pretesa, va ribadito che, in tema di ICI, la determinazione dell’imposta presuppone l’accertamento della natura edificabile del terreno, da effettuarsi in concreto e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti, che ne decretano l’edificabilità, con la conseguenza che il giudice tributario, in sede di commisurazione del valore venale e, dunque, di determinazione della base imponibile, è tenuto a valutare l’inclusione dell’area nel piano regolatore generale e negli strumenti urbanistici adottati (Sez. 5, n. 1465 del 23/01/2020, Rv. 656672 – 01). Il giudice di appello ha deciso conformemente a tale regola. Il diniego della concessione edilizia presentata, che può dipendere dalle molteplici ragioni, non è, difatti, sufficiente ad escludere radicalmente la potenzialità edificatoria dell’area, da valutarsi alla luce degli strumenti urbanistici generali, potendo incidere al più nella quantificazione del concreto valore, alla luce di tutte le circostanze specifiche del caso concreto. Difatti, il giudice di appello ha precisato che il Comune ha dimostrato la successiva edificazione sull’area in esame di 12 appartamenti e box. Rispetto a tale argomentazione il ricorrente si è limitato a contestare la mancata prova, da parte del Comune, dell’epoca della edificazione e della mancata adozione di nuovi strumenti urbanistici: elementi il cui onere probatorio, in base alla regola generale di cui all’art 2697 cod.civ. nonché al principio di vicinanza della prova, ricade sul contribuente, a fronte dell’inclusione, già nel 2005, del terreno in area edificabile, trattandosi di eccezioni/contro-deduzioni rispetto ai fatti allegati e provati dal Comune.
6. Con il quinto motivo si è reiterata la deduzione della carenza di motivazione e si è lamentata la violazione dell’obbligo del contraddittorio endo-procedimentale. Quest’ultima doglianza risulta nuova e, quindi, inammissibile, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (tra le tante, in questo senso, Sez. 5, n. 19616 del 24/07/2018, Rv. 649827 – 01). Per quanto concerne la carenza di motivazione, la stessa è stata correttamente esclusa dai giudici di merito – in particolare nella sentenza impugnata si è richiamata la sentenza di primo grado, precisando che l’avviso di accertamento in esame presenta tutti i requisiti richiesti. Va, peraltro ribadito che, in tema di imposta comunale sugli immobili, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l”an ed il quantum dell’imposta, per cui il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Sez. 5, n. 26431 dell’S/11/2017, Rv. 646218 – 01).
7. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, con cassazione della sentenza impugnata limitatamente alla riforma della pronuncia sulle spese contenuta nella sentenza di primo grado (riforma avvenuta in violazione dell’art. 112 cod.proc.civ.), per cui le spese del giudizio di primo grado sono integralmente compensate; tutti gli altri motivi vanno rigettati. Le spese del presente giudizio di legittimità devono essere integralmente compensate, stante la soccombenza reciproca.
P.Q.M.
La Corte:
in accoglimento del primo motivo di ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla riforma delle spese di lite del giudizio di primo grado;
rigetta tutti gli altri motivi di ricorso;
dichiara integralmente compensate le spese di lite del presente giudizio di legittimità.