Corte di Cassazione sentenza n. 8359 depositata il 4 aprile 2018
LICENZIAMENTO – GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO – ATTIVITA’ DEL LAVORATORE – SOSTITUITA DA UN SUPPORTO INFORMATICO – ONERE DELLA PROVA – INADEMPIMENTO – NON SUSSISTE
FATTI DI CAUSA
Con ricorso del 5 marzo 2014 al Tribunale di Udine – L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, – B.R., già dipendente della società Acciaierie BS o ABS spa (in prosieguo: ABS spa), con mansioni ultime di “responsabile dell’analisi dati e statistiche della ingegneria di processo”, impugnava il licenziamento intimatogli per soppressione della posizione lavorativa in data 2 settembre 2013, contestando la sussistenza del giustificato motivo oggettivo; il giudice della prima fase accoglieva il ricorso (ordinanza del 14-28.4.2014) ed il Tribunale di Udine, con sentenza del 30.4.2015 (nr. 168/2015), rigettava la opposizione di ABS spa.
La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza del 16.7-7.9.2015 (nr. 271/2015), respingeva il reclamo della società.
La Corte territoriale osservava che la posizione lavorativa soppressa, che era stata assegnata al B. con atto del 16.9.2011, poco atteneva alla sua preparazione professionale di laureato in economia e commercio, assunto per curare il settore “controllo di gestione”; i testi (signori S. e G.) avevano riferito che la sua attività consisteva nella mera raccolta di dati e parametri tecnologici sul processo di fabbricazione della acciaieria, con estrazione di grafici di periodo attraverso l’uso di programmi già predisposti.
La società aveva allegato trattarsi di attività sostituita dall’uso di un supporto informatico; non aveva adempiuto, tuttavia, al proprio onere di dimostrare come ed in quali termini tale supporto informatico avesse reso inutile l’operato del ricorrente.
Il compito del B. consisteva nella cura di un segmento minimo della più complessa attività di ingegneria di processo, attribuita ad altri colleghi; i compiti, come indicati nella scheda in atti (scheda nr. 395, prodotta come documento 30 del reclamato), erano propri della figura di impiegato tecnico di gestione dati IPG.
Pertanto la dedotta soppressione della posizione di “responsabile dell’elaborazione dati e statistiche della struttura di ingegneria di processo” non atteneva alle mansioni; il B. non si occupava né della intera ingegneria di processo né, nell’ambito di essa, della elaborazione di dati e statistiche della struttura di ingegneria del processo.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società ABS spa, articolato in un unico motivo.
Ha resistito con controricorso B.R..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la società ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3.
Ha dedotto che a fondamento della sentenza impugnata vi era il principio erroneo della illegittimità del licenziamento del lavoratore cui fossero state attribuite mansioni dequalificanti pur nella ipotesi di soppressione delle mansioni effettivamente svolte.
Nella fattispecie di causa il lavoratore aveva effettivamente svolto le mansioni assegnategli, che erano state pacificamente soppresse; vi era, piuttosto, questione tra le parti circa la riconducibilità delle mansioni alla qualifica di quadro posseduta dal dipendente, sulla quale, nell’ambito di altro giudizio in corso, era stata resa una sentenza di accertamento della dequalificazione non ancora divenuta definitiva, richiamata nella decisione impugnata.
La attività lavorativa svolta dal B. corrispondeva alla posizione di “responsabile dell’analisi dati e statistiche dell’ingegneria di processo”, istituita nell’anno 2008 ed effettivamente esistente (come confermato dal verbale di interrogatorio dell’ing. C.); la controversia circa la riconducibilità della suddetta posizione lavorativa alla professionalità posseduta dal B. (quadro del CCNL METALMECCANICI), ancora sub iudice, non aveva riflessi sulla legittimità del licenziamento, stante la effettiva soppressione della posizione lavorativa.
L’ipotesi che le mansioni svolte fossero dequalificanti non precludeva la verifica della effettività della riorganizzazione aziendale posta a base del licenziamento.
Il ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata è fondata su una doppia ratio decidendi.
La Corte di merito ha basato la dichiarazione di insussistenza del giustificato motivo oggettivo tanto sul rilievo del carattere dequalificante delle mansioni assegnate (statuizione impugnata in questa sede) che sul rilievo dell’inadempimento del datore di lavoro al suo onere di provare la sostituzione delle funzioni attribuite al dipendente con un supporto informatico, come dedotto nella comunicazione di licenziamento.
Si legge infatti in sentenza (a foglio 10): “l’impresa, nelle sue allegazioni, ha esposto trattarsi di attività destinata a sparire per effetto dell’uso di un supporto informatico, supporto del quale peraltro nulla è stato provato sul come ed in che termini avrebbe reso inutile l’operato del ricorrente…”.
Si tratta di una ratio decidendi autonoma rispetto a quella (censurata) fondata sul demansionamento ed avente rilevanza decisiva, in quanto ex se fondante la insussistenza del giustificato motivo oggettivo del licenziamento; tale statuizione, in quanto non colta dal motivo di ricorso, è divenuta definitiva.
Ne deriva il difetto di interesse del ricorrente all’esame del ricorso, poiché dal suo accoglimento non potrebbe comunque derivare la cassazione della sentenza. Quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte e autonome “rationes decidendi”, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate (ex plurimis:Cassazione civile, sez. 2°, 30/04/2013, n. 10196; Cassazione civile sez. lav. 11 febbraio 2011, n. 3386).
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 4.500 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge con attribuzione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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