CORTE di CASSAZIONE – sentenza n. 9130 depositata il 17 aprile 2017
applicabilità anche nel pubblico impiego dell’art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra specificata, la Corte di appello di Firenze, definendo le impugnazioni del Ministero della giustizia e della dipendente M.C., rispettivamente, principale e incidentale, ha confermato la decisione del Tribunale della stessa sede, con la quale, sulla domanda proposta dalla lavoratrice in data 20.3.2001 per il pagamento della retribuzione correlata alle mansioni superiori di primo dirigente dell’ufficio del giudice di pace, svolte dal 27.4.1995, era stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per le pretese relative al periodo di lavoro fino al 30 giugno 1998 e condannato il Ministero al pagamento di Euro 41.442,35 a titolo di differenze retributive maturate nel periodo successivo, fino al 17.10.2000, data di nomina del titolare dell’ufficio della cui reggenza la M. era stata incaricata.
2. L’appello incidentale, contro la statuizione declinatoria della giurisdizione ordinaria su una parte della domanda, è stato giudicato infondato dalla Corte di Firenze in base al disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, ritenendo in particolare, irrilevante, ai fini della sussistenza della giurisdizione amministrativa, la proposizione della domanda giudiziale in epoca successiva al 15.9.2000 e di competenza del giudice munito di giurisdizione l’esame della questione di legittimità costituzionale della previsione di decadenza.
3. Il rigetto dell’appello principale è stato fondato sulle seguenti argomentazioni: a) la funzione vicaria rispetto al dirigente, attribuita all’impiegato inquadrato nell’ex 9^ qualifica funzionale, poi area C3, presuppone che il posto sia coperto dal titolare, mentre nel caso di specie il titolare dell’ufficio era stato nominato solo in data 17.10.2000; b) sebbene stipulato in data 19.2.1999, il contratto collettivo di comparto, recante il nuovo sistema di inquadramento del personale, trovava applicazione dal 1 gennaio 1998, giusta la previsione specifica del suo art. 2, e questa era la data di decorrenza del diritto alla retribuzione delle mansioni superiori, diritto contemplato dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, primo periodo, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52); c) la diversa previsione dell’art. 24, comma 4, dello stesso c.c.n.l., circa la necessità della definizione da parte delle amministrazioni dei criteri relativi alla materia del conferimento delle mansioni superiori per l’entrata in vigore della nuova disciplina delle mansioni superiori, non poteva derogare la previsione legale; d) era inammissibile, perchè non tempestivamente proposta ai sensi dell’art. 416 c.p.c., l’eccezione relativa alla detrazione, dal trattamento economico spettante al dirigente, dei compensi corrisposti alla M. per lavoro straordinario.
4. La cassazione della sentenza è stata domandata dal Ministero della giustizia con ricorso strutturato in unico motivo con pluralità di censure; ha resistito con controricorso M.C. ed ha proposto ricorso incidentale per un unico motivo. Al ricorso incidentale ha resistito l’amministrazione della giustizia con controricorso.
La causa è stata assegnata alle Sezioni unite perchè l’unico motivo del ricorso incidentale concerneva una questione di giurisdizione.
Con sentenza n. 22429 del 2006 le Sezioni unite della Corte, riuniti i ricorsi,, hanno rigettato il ricorso incidentale, con conferma della giurisdizione amministrativa sulla pretese alle differenze retributive maturate fino al 30 giugno 1998 e rimessione della causa alla Sezione lavoro per l’esame del ricorso principale, con l’adozione delle statuizioni consequenziali. M.C. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con l’unico motivo del ricorso principale l’amministrazione della giustizia nuove alla sentenza della Corte di Firenze le seguenti censure: a) nel quadro normativo applicabile prima della stipulazione del contratto collettivo integrativo dei dipendenti del Ministero della giustizia 5.4.2000 – recante la disciplina del nuovo ordinamento professionale in base all’art. 13, comma 5, del contratto di comparto 16.2.1999 – il D.P.R. n. 266 del 1987, art. 20 (richiamato dal D.P.R. n. 44 del 1990, art. 5, comma 2, ad integrazione del D.P.R. n. 1219 del 1984, quanto al profilo professionale del “direttore di cancelleria”) elencava, tra le funzioni dei dipendenti di 9^ qualifica funzionale istituita dal D.L. 9 del 1986, art. 2 conv. in L. n. 78 del 1986, non soltanto la sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento, ma anche la reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare; b) il contratto integrativo 2.4.2000 aveva confermato la funzione vicaria, nel senso ampio predetto, del direttore di cancelleria; c) l’incarico di reggenza era stato conferito con ordini di servizio del capo dell’ufficio, non dal dirigente generale e in assenza dei requisiti previsti dalla legge per il conferimento di incarichi dirigenziali; d) mansioni superiori possono ritenersi, come disposto dall’art. 24 c.c.n.l. quelle proprie di area superiore, ma l’area C costituisce l’area apicale del personale di comparto ed ancora, ai sensi della stessa norma, il conferimento di mansioni superiori doveva avvenire secondo i criteri definiti nell’ambito della specifica amministrazione (i criteri erano stati definiti solo il 29.3.2002); e) il contratto integrativo, in relazione all’art. 18 c.c.n.l., contemplava l’attribuzione di una particolare indennità per l’incaricato di reggenza dell’ufficio vacante; f) non esiste un principio generale di retribuibilità delle mansioni superiori del pubblico impiegato (come affermato dalla sentenza costituzionale 115/2003), e la decorrenza eventuale del diritto poteva riconoscersi solo dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 387 del 1998; g) la contrattazione collettiva di comparto non era abilitata a disporre in ordine all’attribuzione di mansioni dirigenziali; h) sussistevano vizi di motivazione in relazione all’accertamento dell’effettivo svolgimento delle mansioni di dirigente.
La Corte giudica il ricorso principale infondato in tutti i profili di censura prospettati.
Preliminarmente, va dichiarata inammissibile la denuncia di vizio di motivazione in ordine all’accertamento dello svolgimento delle mansioni di dirigente l’ufficio. La denuncia è, infatti contrassegnata da totale genericità, senza l’individuazione dei punti decisivi in relazione ai quali la motivazione risulterebbe omessa, insufficiente o contraddittoria. Infondata è la tesi secondo la quale la “reggenza” dell’ufficio sarebbe compresa tra le mansioni della 9^ qualifica funzionale (poi C/3).
Dispone il D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, art. 20 – Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri – che il personale appartenente alla nona qualifica funzionale, istituita dal D.L. 28 gennaio 1986, n. 9, art. 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1986, n. 78, espleta, tra l’altro, le funzioni di sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento, nonchè di reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare. L’interpretazione della norma, rispettosa del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e dei principi di tutela del lavoro (art. 35 e 36 Cost.; art. 2103 c.c.; D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), è nel senso che l’ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata anch’essa dalla straordinarietà e temporaneità, come reso palese dall’espressione “in attesa della destinazione del dirigente titolare”. Di conseguenza, la reggenza dell’ufficio è consentita, senza dare luogo agli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura. Al di fuori di questa specifica ipotesi contemplata dalla norma regolamentare, la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di mansioni dirigenziali e correttamente il giudice del merito ne ha ritenuto la sussistenza con riguardo ad una vacanza esistente fin dal 1995 e di nomina del dirigente soltanto nell’anno 2000.
Nè la situazione è mutata per effetto della nuova classificazione del personale attuata dal c.c.n.l. del comparto ministeri 16 febbraio 1999 (all. A), le cui disposizioni, anzi, sono state interpretate da questa Corte nel senso che non ricomprende tra le mansioni proprie del profilo lavorativo relativo alla posizione economica “C3” le funzioni di reggenza della posizione lavorativa dirigenziale (Cass. 5892/2005).
Tutte le restanti censure attengono, con le diverse argomentazioni sopra riferite, al tema del diritto della M. ad essere retribuita per le mansioni superiori svolte. La giurisprudenza della Corte ha già scrutinato la questione con riguardo al periodo precedente l’entrata in vigore della disposizione ora recata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15), con specifico riferimento alla previsione, del comma 5 (Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore …).
E’ stato enunciato il principio di diritto secondo il quale, nel pubblico impiego privatizzato, il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 è stato soppresso dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15, con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma 6 ultimo periodo disposta dalla nuova norma è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e quindi in modo idoneo a incidere sulla regolamentazione applicabile all’intero periodo transitorio (Cass. 91/2004; 14944/2004). In mancanza di ragioni nuove e diverse, opera il principio di fedeltà ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonchè l’unità del diritto oggettivo nazionale affidata alla Corte di cassazione (così Cass., sez. un., 4 luglio 2003, n. 10615; 15 aprile 2003, n. 5994).
La portata retroattiva della disposizione risulta, peraltro, conformealla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto l’applicabilità anche nel pubblico impiego dell’art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonchè alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali Al principio enunciato consegue che il diritto ad essere compensato per lo svolgimento di mansioni superiori (nella misura stabilita specificamente dalla legge, pari alla differenza di retribuzione con la qualifica cui corrispondono le mansioni svolte di fatto) non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità dell’assegnazione e alle previsioni dei contratti collettivi.
Restano assorbite, pertanto, tutte le altre censure del ricorrente principale: difetto di formale atto di assegnazione, impossibilità di assegnazione di mansioni dirigenziali, misura dei compensi, decorrenza del diritto in epoca posteriore al 1 luglio 1998, subordinazione del diritto all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva.
Le questioni trattate e l’esito complessivo della lite (rigetto del ricorso principale e di quello incidentale) inducono a compensare le spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale e compensa le spese del giudizio di Cassazione.
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