CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 3854 depositata il 12 febbraio 2024
Lavoro – Contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici – Procedura selettiva – Annullamento in autotutela della graduatoria finale – Svolgimento di mansioni superiori – Diritto del lavoratore di percepire una retribuzione maggiore – Accoglimento
Fatti di causa
L’attuale controricorrente, dipendente dell’I.N.P.S. all’epoca con livello economico C2, partecipò alla selezione interna bandita per la copertura di 85 posti di categoria C3 con decorrenza 31.12.2006. In base all’esito della selezione il controricorrente venne proclamato vincitore con determina del 21.9.2009. Tuttavia, in seguito all’impugnazione dell’esito della selezione da parte di altri concorrenti, con successiva determina del 7.11.2011, la graduatoria finale venne variata e al controricorrente venne negata la categoria superiore, che gli venne riassegnata, con nuova determina del 22.11.2011, a decorrere dal 31.12.2009.
Il lavoratore si rivolse quindi al Tribunale di Lecce, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’accertamento del proprio diritto ad essere inquadrato nella categoria C3 a far tempo dal 31.12.2006 e la condanna dell’ I.N.P.S. al pagamento delle somme indebitamente recuperate sulle maggiori retribuzioni nel frattempo versate.
Instauratosi il contraddittorio (anche nei confronti del controinteressato all’accoglimento della domanda), il Tribunale respinse la domanda di accertamento del diritto all’inquadramento nella categoria superiore, ma accolse quella di condanna dell’I.N.P.S. alla restituzione di quanto trattenuto per recuperare le differenze retributive versate in relazione al periodo compreso tra il 31.12.2006 e il 31.12.2009.
L’ I.N.P.S. si rivolse quindi alla Corte di Appello di Lecce, la quale respinse l’impugnazione.
Contro la sentenza della corte d’appello l’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Il lavoratore si è difeso con controricorso e ha anche depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia «violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 9, 11, 12 e 13 del CCNL 2006/2009 e dell’allegato A del medesimo CCNL relativo al personale non dirigente del comparto enti pubblici non economici per il quadriennio normativo 2006/2009, sottoscritto il 1°.10.2007, in relazione all’art. 63, comma 5, del d.lgs. 165 del 2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)».
L’I.N.P.S. rileva che la procedura selettiva per cui è causa venne indetta sotto il regime del contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici sottoscritto il 1°.10.2007 (quadriennio 2006/2009), il quale rinnovò il sistema di classificazione del personale e riformulò la definizione di mansioni superiori, stabilendo che «il sistema di classificazione del personale … è articolato nelle aree A, B e C» (art. 6, comma 1) e che «si considerano “mansioni immediatamente superiori” quelle proprie dell’area immediatamente superiore» (art. 9, comma 2). Ne consegue che, all’interno di ciascuna area, «tutte le mansioni [sono] considerate equivalenti» (art. 6, comma 6), sicché avrebbe errato la Corte territoriale nel presumere lo svolgimento di mansioni superiori da parte dell’attuale controricorrente nel periodo in cui egli risultò apparentemente collocato in categoria C3 in forza della determina poi doverosamente annullata in autotutela dall’Istituto.
2. Il secondo motivo censura «violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3)». Il ricorrente si lamenta che la Corte d’Appello abbia posto a suo carico l’onere di provare il mancato svolgimento di mansioni superiori da parte del lavoratore nel periodo in cui risultò erroneamente inquadrato nella categoria C3, ovverosia dal 31.12.2006 al 31.12.2009, quando il livello economico 3 gli fu nuovamente assegnato con una nuova determina.
3. Con il terzo motivo si denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)».
Si afferma che la disposizione di legge sulla nullità del contratto di lavoro, utilizzata dalla Corte territoriale per motivare la propria decisione, non è applicabile nel caso di specie, che è invece regolato dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.
4. I tre motivi vanno esaminati congiuntamente, perché sono strettamente connessi e, nella sostanza, concorrono a suffragare la medesima censura.
4.1. Non sono più in discussione la legittimità dell’annullamento in autotutela della graduatoria finale stilata il 21.9.2009 e il conseguente diniego, da parte dell’I.N.P.S., dell’inquadramento superiore con decorrenza 31.12.2006. Su questi aspetti, la decisione del Tribunale non è stata appellata dal lavoratore ed è passata in giudicato.
4.2. Sul fronte opposto, il ricorso dell’ I.N.P.S. non mette in discussione il diritto del lavoratore di percepire una retribuzione corrispondente al livello economico C3 a decorrere dal 31.12.2009, come disposto in una nuova determina adottata successivamente all’annullamento in autotutela.
4.3. L’impugnazione dell’I.N.P.S. è dunque rivolta contro la decisione della Corte d’Appello di riconoscere il diritto alla maggiore retribuzione a partire dalla decorrenza giuridica prevista nel bando (31.12.2006), invece che dalla data in cui il livello economico fu definitivamente e legittimamente assegnato (31.12.2009). Si contesta, in particolare, alla Corte territoriale di avere ritenuto di poter presumere lo svolgimento, a partire da quella data, di «mansioni di maggior impegno e rilievo», tali da far sorgere il diritto a una maggior retribuzione.
5. Il ricorso è fondato.
5.1. Sussiste, infatti, la denunciata contraddizione, nella sentenza impugnata, che consiste nell’avere, da un lato, confermato il rigetto della domanda del lavoratore «diretta a conseguire la posizione C3 dal 31.12.2006»; dall’altro lato, riconosciuto al lavoratore il diritto di percepire una retribuzione corrispondente a «mansioni di maggior impegno e rilievo» con la medesima decorrenza del 31.12.2006.
La Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che, una volta accertata la legittimità dell’operato dell’ I.N.P.S. (che ha modificato la graduatoria in ottemperanza a un giudicato ottenuto da altri partecipanti alla selezione), il diritto del lavoratore di percepire una retribuzione maggiore nel periodo in cui gli era stato (erroneamente) attribuito l’inquadramento nella categoria C3 potrebbe derivare solo dallo svolgimento effettivo di mansioni diverse, per le quali sia contrattualmente dovuta una retribuzione maggiore.
Ma ha poi commesso un doppio errore: sul piano giuridico, alla luce del CCNL 2006/2009, è errato supporre che al passaggio dal livello economico C2 al livello C3 sia collegato lo svolgimento di mansioni qualitativamente diverse e meritevoli, in se stesse, di una maggiore remunerazione; sul piano logico, è errato presumere lo svolgimento di mansioni più impegnative a partire dal 31.12.2006 valorizzando il fatto noto dell’utile inserimento in graduatoria intervenuto solo in data 21.9.2009 e in esecuzione di una procedura selettiva bandita il 23.6.2008.
5.2. Per quanto riguarda il profilo giuridico, la Corte d’Appello ha affrontato la questione posta dall’I.N.P.S. e ha riconosciuto che il CCNL 2006/2009 considera mansioni superiori solo «quelle proprie dell’area immediatamente superiore», mentre, all’interno dell’area (nel caso di specie, area C), «tutte le mansioni sono considerate equivalenti» (conforme, in tal senso, Cass. n. 21485/2020). Tuttavia, ha poi ritenuto di poter aggirare il problema (e confermare così la sentenza di primo grado) sostituendo all’espressione «mansioni superiori» (impropriamente usata dal Tribunale) l’espressione «mansioni di maggior impegno e rilievo nell’ambito del processo produttivo dell’area a cui appartengono».
Sennonché, cambiando le parole, la sostanza del problema rimane immutata: la contrattazione collettiva nazionale, che è norma di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (e dell’art. 63, comma 5, del d.lgs. 165 del 2001), impone di considerare «equivalenti», e dunque parimenti esigibili, tutte le mansioni inserite nell’area, senza la possibilità di considerare alcune di esse superiori rispetto ad altre, ai sensi e per gli effetti dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001 (in particolare, comma 5, dove si legge che «al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore»).
In ragione dell’affermata omogeneità delle competenze, conoscenze e capacità richieste per l’inquadramento in ciascuna area, la declaratoria delle aree allegata al CCNL descrive le specifiche e i contenuti professionali per l’accesso ad ogni area, superando le precedenti diversificazioni all’interno dell’area stessa, con la conseguenza che nel nuovo sistema le fasce retributive rappresentano mere progressioni economiche e, quindi, non implicano una diversità di contenuto delle mansioni assegnate.
Se si raffronta il testo originario dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 con quello risultante all’esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2009, si può rilevare che la tornata contrattuale in esame (2006/2009) ha anticipato la riscrittura della norma di legge, che, nella versione novellata, fa esclusivo riferimento all’area e considera qualifica superiore acquisita dopo l’originario inquadramento solo quella ottenuta a seguito del superamento delle procedure di cui all’art. 35, comma 1, lett. a), non già quella, valorizzata dal testo originario della norma, conseguente allo «sviluppo professionale».
Ed infatti, ai sensi dell’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato: «Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito». L’art. 52 citato assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacarne la natura equivalente, inapplicabile essendo, nel pubblico impiego, l’art. 2103 c.c. (v., ex aliis, Cass. nn. 11503/2022, 29624/2019).
Dunque, erroneamente la Corte d’Appello ha assimilato la progressione nell’Area (da C2 a C3) allo svolgimento di mansioni di maggior livello professionale, gravando il datore di lavoro dell’onere di provare fatti privi di rilevanza alla luce della contrattazione collettiva.
La Corte d’Appello ha poi richiamato gli artt. 12 e 13 del CCNL per rilevare che la progressione economica all’interno dell’area non dipende soltanto dall’anzianità di servizio, dovendosi premiare il personale meritevole anche in base al livello di esperienza maturato, ai titoli culturali o professionali, agli specifici percorsi formativi e di apprendimento con valutazione finale dell’arricchimento professionale.
L’osservazione è corretta (v. Cass. n. 26274/2021), ma non si vede come possa essere utile al fine di sostenere che la promozione al livello economico superiore comporti l’affidamento di mansioni diverse da quelle esercitate in precedenza. E, ciò che più conta, il fatto che la progressione economica all’interno dell’area sia basata su criteri (non di semplice durata della permanenza nel livello inferiore, ma anche) di meritevolezza non ha nulla a che vedere con il tema della qualificazione delle varie mansioni inserite nell’area come «superiori» o «equivalenti» tra di loro, al fine di affermare o negare il diritto ad una diversa retribuzione a prescindere dal legittimo inquadramento del lavoratore in un determinato livello economico.
Del resto, proprio i criteri di valutazione indicati dal CCNL e richiamati nella sentenza impugnata (livello di esperienza maturato, titoli culturali o professionali, specifici percorsi formativi e di apprendimento) si riferiscono alla qualità della prestazione lavorativa e alle qualità personali del lavoratore, non al tipo di mansioni svolte all’interno dell’area.
In definitiva, venuta meno – per legittima e doverosa autotutela – la determina che aveva attribuito al lavoratore il livello economico C3 a decorrere dal 31.12.2006, egli non ha titolo a pretendere differenze retributive per le mansioni svolte fino alla data (31.12.2009) con riguardo alla quale quel livello economico gli fu poi effettivamente assegnato.
Al riguardo va sottolineato che la Corte d’appello, nel ricostruire la vicenda, non ha adeguatamente considerato che l’annullamento in autotutela (previsto dall’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990 e, nella specie, disposto in modo corretto nei tempi e nella forma) travolge tutti gli atti conseguenti, sicché, come affermato anche da questa Corte, se una simile situazione si verifica con riferimento ad un concorso pubblico o ad una selezione (come quella in oggetto) si determina la nullità originaria, rilevabile anche d’ufficio, sebbene accertata successivamente, anche del contratto di lavoro stipulato in esito alla conclusione del concorso o della selezione in oggetto (vedi: Cass. n. 1307/2022).
Pertanto, in radice, non si poteva porre alcuna questione di esecuzione di atti nulli, in quanto come è noto quod nullum est nullum producit effectum.
5.3. I suindicati errori giuridici commessi dalla Corte d’Appello assorbono la rilevanza di quello logico. Tuttavia, è evidente che quella del 31.12.2006 è una data puramente virtuale, la cui rilevanza deriva solo dalla decorrenza retroattiva della progressione economica fissata nel bando e di cui non si sarebbe giammai potuto tenere conto in un ragionamento presuntivo basato sulla (erroneamente ritenuta) corrispondenza tra livello economico riconosciuto e tipo di mansioni svolte dal lavoratore. Anche se fosse ammesso (e non lo è) che l’assegnazione di un livello economico superiore consenta di presumere lo svolgimento di «mansioni superiori», tale presunzione sarebbe utilizzata in modo del tutto irrazionale laddove riferita a un ambito cronologico precedente all’assegnazione del livello economico superiore (21.9.2009) e, addirittura, alla stessa data di indizione della procedura selettiva (23.6.2008).
5.4. Sono dunque fondate tutte le censure mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata: è stato violato il CCNL 2006/2009, perché si è supposto che, all’interno della stessa area (in questo caso, area C), si possano distinguere mansioni «superiori» (quantunque denominate in altro modo), che diano diritto a un migliore trattamento economico anche se assegnate al lavoratore in assenza di una legittima procedura selettiva; è stato conseguentemente violato l’art. 2697 c.c., laddove la Corte d’Appello ha posto a carico dell’I.N.P.S. l’onere «di dimostrare, e prima ancora allegare, che nel periodo in questione all’odierno appellato fossero state di fatto attribuite funzioni operative riconducibili ad un livello di professionalità inferiore a quello formalmente assegnato»; è stato falsamente applicato l’art. 2126 c.c., in un caso in cui non si discute di nullità del contratto di lavoro, ma, tutt’al più, della corrispondenza tra retribuzione percepita dal lavoratore e retribuzione contrattualmente prevista per le mansioni da lui svolte (art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001).
6. Per concludere, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., con il rigetto della domanda del lavoratore, perché infondata, essendo volta a ottenere la restituzione di differenze retributive per il periodo (dal 31.12.2006 al 31.12.2009) in cui l’attribuzione del livello economico C3 non era operativa, mentre, per i motivi esposti, non è ipotizzabile lo svolgimento in quel periodo di «mansioni superiori».
7. L’esito diverso del giudizio in entrambi i gradi di merito e la parziale soccombenza reciproca giustificano l’integrale compensazione delle spese legali dell’intero processo.
8. Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del lavoratore volta ad ottenere la restituzione di differenze retributive in relazione al periodo tra il 31.12.2006 e il 31.12.2009, ferma la decisione di rigetto della domanda di diverso inquadramento già passata in giudicato per la mancata impugnazione del relativo capo della sentenza di primo grado;