CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 4482 depositata il 20 febbraio 2024

Lavoro – Selezione interna – Impugnazione esito – Graduatoria finale variata – Differenze retributive – CCNL – Equivalenza mansioni – Accoglimento

Fatti di causa

L’attuale controricorrente, dipendente dell’I.N.P.S. all’epoca con livello economico C2, partecipò alla selezione interna bandita per la copertura di 85 posti di categoria C3 con decorrenza 31.12.2006. In base all’esito della selezione il controricorrente venne proclamato vincitore con determina del 21.9.2009. Tuttavia, in seguito all’impugnazione dell’esito della selezione da parte di altri concorrenti, con successiva determina del 7.11.2011, la graduatoria finale venne variata e al controricorrente venne negata la categoria superiore, che gli venne riassegnata, con nuova determina del 22.11.2011, a decorrere dal 31.12.2009.

Il lavoratore si rivolse quindi al Tribunale di Lecce, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’accertamento del proprio diritto ad essere inquadrato nella categoria C3 a far tempo dal 31.12.2006 e la condanna dell’ I.N.P.S. al pagamento delle somme indebitamente recuperate sulle maggiori retribuzioni nel frattempo versate.

Instauratosi il contraddittorio (anche nei confronti del controinteressato all’accoglimento della domanda), il Tribunale respinse la domanda di accertamento del diritto all’inquadramento nella categoria superiore, ma accolse quella di condanna dell’I.N.P.S. alla restituzione di quanto trattenuto per recuperare le differenze retributive versate in relazione al periodo compreso tra il 31.12.2006 e il 31.12.2009.

Sia l’ I.N.P.S. che il lavoratore si rivolsero quindi alla Corte di Appello di Lecce, la quale respinse entrambe le impugnazioni.

Contro la sentenza della corte d’appello l’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Il lavoratore si è difeso con controricorso e ha anche depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».

2. Il secondo motivo censura «violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c.».

3. Il due motivi devono essere esaminati congiuntamente, perché concorrono, nella sostanza, a suffragare la medesima censura.

3.1. Non sono più in questione la legittimità della rettifica della graduatoria finale e il conseguente diniego della categoria superiore da parte dell’I.N.P.S. Su questi aspetti, la Corte territoriale ha respinto l’appello del lavoratore, il quale non ha proposto ricorso per Cassazione.

3.2. Sul fronte opposto, il ricorso dell’ I.N.P.S. non mette in discussione il diritto del lavoratore di percepire una retribuzione corrispondente al livello economico C3 a decorrere dal 31.12.2009, come disposto in una nuova determina adottata successivamente all’annullamento in autotutela.

3.3. L’impugnazione dell’I.N.P.S. è dunque rivolta contro la decisione della Corte d’Appello di riconoscere il diritto alla maggiore retribuzione a partire dalla decorrenza giuridica prevista nel bando (31.12.2006), invece che dalla data in cui il livello economico fu definitivamente e legittimamente assegnato (31.12.2009). Si contesta, in particolare, alla Corte territoriale di avere ritenuto di poter presumere lo svolgimento, a partire da quella data, di «mansioni di maggior impegno e rilievo», tali da far sorgere il diritto a una maggior retribuzione.

4. Il ricorso è fondato.

4.1. Sussiste, infatti, la denunciata contraddizione, nella sentenza impugnata, che consiste nell’avere, da un lato, confermato il rigetto della domanda del lavoratore «diretta a conseguire la posizione C3 dal 31.12.2006»; dall’altro lato, riconosciuto al lavoratore il diritto di percepire una retribuzione corrispondente a «mansioni di maggior impegno e rilievo» con la medesima decorrenza del 31.12.2006.

La Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che, una volta accertata la legittimità dell’operato dell’ I.N.P.S. (che ha modificato la graduatoria in ottemperanza a un giudicato ottenuto da altri partecipanti alla selezione), il diritto del lavoratore di percepire una retribuzione maggiore nel periodo in cui gli era stato (erroneamente) attribuito l’inquadramento nella categoria C3 potrebbe derivare solo dallo svolgimento effettivo di mansioni diverse, per le quali sia contrattualmente dovuta una retribuzione maggiore.

Ma poi ha errato nel presumere, sulla base del fatto noto dell’utile inserimento in graduatoria avvenuto solo in data 21.9.2009, lo svolgimento di mansioni più impegnative con decorrenza dal 31.12.2006, data addirittura anteriore a quella dell’inizio della selezione, bandita il 23.6.2008.

Giustamente l’I.N.P.S. contesta che dal superamento della selezione in data 21.9.2009 si possa presumere lo svolgimento di tali mansioni più impegnative a decorrere dal 31.12.2006 e si lamenta che la Corte territoriale gli abbia addossato l’onere di «dimostrare, e prima ancora di allegare, che nel periodo oggetto di causa all’attuale appellato fossero state di fatto attribuite funzioni operative riconducibili ad un livello di professionalità inferiore a quello formalmente assegnato».

In effetti, quella del 31.12.2006 è una data meramente virtuale, la cui rilevanza deriva solo dalla decorrenza retroattiva fissata nel bando e di cui non si può tenere conto, una volta che il diritto del lavoratore non origina dall’efficacia giuridica del bando, ma soltanto dallo svolgimento effettivo delle mansioni che giustificano una diversa retribuzione.

Il ragionamento contraddittorio contenuto nella sentenza impugnata si traduce nella denunciata falsa applicazione dell’art. 2126 c.c. (perché la norma che accorda il diritto alla retribuzione per le prestazioni di fatto viene applicata a prestazioni meramente virtuali) e nella violazione dell’art. 2697 c.c. (perché lo svolgimento di mansioni più impegnative è un fatto costitutivo della domanda e non può essere onere dell’I.N.P.S. provare di avere adibito il dipendente a «funzioni operative riconducibili a un livello di professionalità inferiore a quello formalmente assegnato»).

4.2. Il ricorso dell’I.N.P.S. concentra tutta la sua attenzione sul vistoso errore cronologico in cui è incorsa la Corte d’Appello retrodatando al 31.12.2006 gli effetti della presunzione fondata sul fatto noto della determina intervenuta solo il 21.9.2009.

Tuttavia, è doveroso ricordare – trattandosi di questione di diritto che scaturisce proprio dal CCNL per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici sottoscritto il 1°.10.2007 (quadriennio 2006/2009), di cui ha fatto applicazione la Corte territoriale – che tale contratto, a differenza del precedente, considera mansioni superiori solo «quelle proprie dell’area immediatamente superiore», mentre, all’interno dell’area (nel caso di specie, area C), «tutte le mansioni sono considerate equivalenti» (conforme, in tal senso, Cass. n. 21485/2020). La Corte d’Appello ha ritenuto di poter aggirare il problema (e confermare così la sentenza di primo grado) sostituendo all’espressione «mansioni superiori» (usata impropriamente dal primo giudice) la diversa espressione «mansioni di maggior impegno e rilievo nell’ambito del processo produttivo dell’area a cui appartengono».

Sennonché, cambiando le parole, la sostanza del problema rimane immutata: la contrattazione collettiva nazionale, che è norma di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (e dell’art. 63, comma 5, del d.lgs. 165 del 2001), impone di considerare «equivalenti», e dunque parimenti esigibili, tutte le mansioni inserite nell’area, senza la possibilità di considerare alcune di esse superiori rispetto ad altre, ai sensi e per gli effetti dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001 (in particolare, comma 5, dove si legge che «al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore»).

In ragione dell’affermata omogeneità delle competenze, conoscenze e capacità richieste per l’inquadramento in ciascuna area, la declaratoria delle aree allegata al CCNL descrive le specifiche e i contenuti professionali per l’accesso ad ogni area, superando le precedenti diversificazioni all’interno dell’area stessa, con la conseguenza che nel nuovo sistema le fasce retributive rappresentano mere progressioni economiche e, quindi, non implicano una diversità di contenuto delle mansioni assegnate.

Se si raffronta il testo originario dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 con quello risultante all’esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2009, si può rilevare che la tornata contrattuale in esame (2006/2009) ha anticipato la riscrittura della norma di legge, che, nella versione novellata, fa esclusivo riferimento all’area e considera qualifica superiore acquisita dopo l’originario inquadramento solo quella ottenuta a seguito del superamento delle procedure di cui all’art. 35, comma 1, lett. a), non già quella, valorizzata dal testo originario della norma, conseguente allo «sviluppo professionale».

Ed infatti, ai sensi dell’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato: «Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito». L’art. 52 citato assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacarne la natura equivalente, inapplicabile essendo, nel pubblico impiego, l’art. 2103 c.c. (v., ex aliis, Cass. nn. 11503/2022, 29624/2019).

Dunque, erroneamente la Corte d’Appello ha assimilato la progressione nell’Area (da C2 a C3) allo svolgimento di mansioni di maggior livello professionale, gravando il datore di lavoro dell’onere di provare fatti privi di rilevanza alla luce della contrattazione collettiva.

Anche sotto questo diverso profilo in diritto è da considerare errata la presunzione su cui si fonda la sentenza impugnata e che il ricorrente ha fondatamente censurato sul piano della sua palese illogicità.

5. Va anche sottolineato che la Corte d’appello, nel ricostruire la vicenda, non ha adeguatamente considerato che l’INPS ha dovuto procedere all’annullamento della originaria graduatoria per dare esecuzione ad un giudicato del Consiglio di Stato formatosi a seguito di contenzioso proposto da altri partecipanti alla selezione.

Ciò ha fatto in autotutela, ai sensi dell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, esercitata in modo corretto nei tempi e nella forma.

L’annullamento in autotutela travolge tutti gli atti conseguenti, sicché, come affermato anche da questa Corte, se una simile situazione si verifica con riferimento ad un concorso pubblico o ad una selezione (come quella in oggetto) si determina la nullità originaria, rilevabile anche d’ufficio, sebbene accertata successivamente, anche del contratto di lavoro stipulato in esito alla conclusione del concorso o della selezione in oggetto (vedi: Cass. n. 1307/2022).

Pertanto, in radice, non si poteva porre alcuna questione di esecuzione di atti nulli, in quanto come è noto quod nullium est nullum producit effectum.

6. Per concludere, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., con il rigetto della domanda del lavoratore, perché infondata, essendo volta a ottenere la restituzione di differenze retributive per il periodo (dal 31.12.2006 al 31.12.2009) in cui l’attribuzione del livello economico C3 non era operativa, mentre, per i motivi esposti, non è ipotizzabile lo svolgimento in quel periodo di «mansioni superiori».

7. L’esito diverso del giudizio e la parziale soccombenza reciproca in entrambi i gradi di merito giustificano l’integrale compensazione delle spese legali dell’intero processo.

8. Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del lavoratore volta ad ottenere la restituzione di differenze retributive in relazione al periodo tra il 31.12.2006 e il 31.12.2009, ferma la decisione di rigetto della domanda di diverso inquadramento già passata in giudicato per la mancata impugnazione del relativo capo della sentenza d’appello;

compensa le spese dell’intero processo.