CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 6540 depositata il 12 marzo 2024

Lavoro – Contratto di rete – Fusione per incorporazione – Licenziamento – Giustificatezza del recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale – Possibilità del repêchage – Accoglimento

Rilevato che

1. la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, ha dichiarato – per quanto qui rileva – la giustificatezza del licenziamento intimato il 26 luglio 2018 alla dirigente F.M. da U. Spa (poi incorporata in I.A. Spa), con conseguente esclusione dell’indennità supplementare e rideterminazione della retribuzione mensile globale di fatto nella misura di € 10.507,94;

le spese del doppio grado sono state poste dalla Corte territoriale a carico della dirigente nella misura di 2/3, pari a complessivi euro 26.000,00 (euro 13.000,00 per il primo grado e euro 13.000,00 per il secondo grado, già ridotti),“considerata la soccombenza di M. ma tenuto conto altresì del fatto che comunque la società avrebbe fin dall’inizio dovuto provvedere al pagamento sia del trattamento speciale sia delle spettanze di fine rapporto e del TFR”;

2. la Corte ha premesso che la S.R.M.A., detentrice delle azioni di varie società tra cui quelle di I.A. spa, per ragioni di efficienza organizzativa e di risparmio di costi, aveva sottoscritto con le società del gruppo un contratto di rete, che vedeva vari uffici centralizzati e figure professionali in parziale distacco dalla capogruppo, e che, nel marzo 2018, veniva approvato un progetto di fusione per incorporazione delle società U. in I.A., progetto che sarebbe stato autorizzato da IVASS il 2 agosto 2018;

secondo la Corte territoriale, nell’ambito di questa operazione di riorganizzazione, attuata “per contenere i costi, migliorare l’efficienza ed evitare la duplicazione di incarichi”, si inseriva l’accentramento delle mansioni assegnate alla M., all’epoca dei fatti responsabile della Direzione affari legali e societari e della Segreteria Generale di U., in capo ad altri soggetti già operanti all’interno del gruppo societario, con la conseguenza che si doveva pervenire “a un giudizio di giustificatezza del recesso”, valutate anche tutte le altre circostanze del caso;

3. la Corte ha anche accolto l’appello della società nella “parte relativa alla determinazione dell’ammontare della retribuzione mensile globale di fatto”; ha argomentato: “dal prospetto elaborato dalla parte reclamata, contestato fin dal primo grado da parte reclamante, vanno invero escluse le voci <previdenza integrativa> non utile al calcolo della retribuzione media mensile e <contributi> in quanto non viene chiarito a cosa si riferisca; inoltre non possono rientrare nel conteggio i bonus anteriori all’ultimo triennio nonché i vari benefit dei quali non è stata fornita alcuna documentazione attestante il pieno ed esclusivo godimento e non è stato chiarito come ne è stato determinato il valore”;

4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la M. con otto motivi; ha resistito con controricorso la società intimata;

parte controricorrente ha comunicato memoria;

all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

1. i motivi di ricorso possono essere riassunti come di seguito, secondo la sintesi che ne ha fatto la stessa parte ricorrente;

1.1. “violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc, degli artt. 2909 c.c., 324, 433 e 434 cpc e 1 l.n. 92/2012 in punto formazione di un giudicato sull’ingiustificatezza del licenziamento per violazione dell’art. 2112 c.c” (primo motivo);

si denuncia l’omesso rilievo, da parte dei Giudici di merito, del giudicato formatosi sulle statuizioni della sentenza di primo grado relative all’illegittimità del licenziamento per violazione del divieto di cui all’art. 2112, 4° comma, c.c., che non avevano formato oggetto di reclamo da parte della società;

1.2. “violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc, degli artt. 30 e 35 del contratto collettivo nazionale di lavoro contenente la disciplina dei rapporti tra le imprese di assicurazione ed il personale dirigente stipulato il 02/07/2018 in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c. in punto nozione di giustificatezza del licenziamento” (secondo motivo);

si sostiene il principio secondo cui, ai sensi degli artt. 30 e 35 del CCNL di settore, interpretati alla luce dei canoni di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., non integra gli estremi della giustificatezza, per difetto dell’effettiva soppressione del posto di lavoro, una riorganizzazione operata con la ridistribuzione dei compiti del dirigente licenziato a dipendenti di imprese diverse dal datore di lavoro, a nulla rilevando la circostanza che le predette aziende siano parte di un medesimo gruppo imprenditoriale;

1.3. “violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc, degli artt. 30 e 35 del contratto collettivo nazionale di lavoro contenente la disciplina dei rapporti tra le imprese di assicurazione ed il personale dirigente stipulato il 02/07/2018 in realazione agli artt. 1175, 1362, 1363, 1366 e 1375 c.c. in punto verifica giudiziale delle motivazioni del licenziamento” (terzo motivo);

si critica la sentenza per avere ritenuto irrilevante la circostanza che il licenziamento fosse stato giustificato facendo riferimento al progetto di fusione per incorporazione delle società del Gruppo U. in I.A. violando così il principio secondo cui, anche nel lavoro dirigenziale, l’indagine giudiziale volta alla verifica dell’effettività della motivazione è vincolato alle circostanze di fatto indicate dal datore di lavoro nella lettera di licenziamento;

1.4. “violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc, degli artt. 30 e 35 del contratto collettivo nazionale di lavoro contenente la disciplina dei rapporti tra le imprese di assicurazione ed il personale dirigente stipulato il 02/07/2018 in relazione agli artt. 1175, 1362 e 1375 c.c. violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc, dell’art. 2112 c.c. sul divieto di licenziamento in caso di trasferimento di azienda” (quarto motivo);

si sostiene il principio per cui, anche nel lavoro dirigenziale, deve ritenersi vietato, per violazione dell’art. 2112 c.c., un licenziamento motivato da un accorpamento di funzioni finalizzato a favorire ed anticipare gli effetti di una fusione ancora non perfezionatasi;

1.5. “violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc, degli artt. 30 e 35 del contratto collettivo nazionale di lavoro contenente la disciplina dei rapporti tra le imprese di assicurazione ed il personale dirigente stipulato il 02/07/2018, in relazione agli artt. 1175, 1362 e 1375 c.c. in punto attualità della ragione giustificatrice addotta dal datore di lavoro” (quinto motivo);

si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto irrilevante la circostanza che la ragione indicata nella lettera di licenziamento non si era verificata, violando così il principio secondo cui non può integrare gli estremi della giustificatezza il riferimento ad un evento futuro ed incerto;

1.6. “violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc, degli artt. 30 e 35 del contratto collettivo nazionale di lavoro contenente la disciplina dei rapporti tra le imprese di assicurazione ed il personale dirigente stipulato il 02/07/2018 in relazione agli artt. 1175, 1362, 1324 e 1375 c.c. in punto obblighi di repêchage” (sesto motivo);

si eccepisce che, anche nel lavoro dirigenziale, l’indagine giudiziale volta alla verifica dell’effettività della motivazione è vincolato alle circostanze di fatto indicate dal datore di lavoro nella lettera di licenziamento, per cui si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che “la datrice di lavoro non fosse gravata di alcun onere probatorio in materia di repêchage, ancorché la stessa Compagnia avesse affermato, all’interno della lettera di licenziamento, di aver licenziato la dott.sa M. anche in ragione dell’impossibilità di reimpiegare la dirigente in mansioni anche inferiori”;

1.7. “violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc degli artt. 115 e 416 cpc e 1 l. n. 92/2012, nonche’ dell’art. 37 contratto collettivo nazionale di lavoro contenente la disciplina dei rapporti tra le imprese di assicurazione ed il personale dirigente in relazione agli artt. 1175, 1362 e 1375 c.c. e degli artt. 2120 e 2121 c.c. in punto individuazione della retribuzione utile per il calcolo del trattamento speciale di risoluzione” (settimo motivo);

si propone la riforma dei capi della sentenza in cui la Corte d’Appello ha escluso, siccome non provati, dal computo della base di calcolo per il calcolo del trattamento speciale di risoluzione e delle spettanze di fine rapporto i benefits e le altre componenti in natura della retribuzione, ancorché la controparte non ne avesse mai contestato l’esistenza, ma la sola quantificazione, violando così sia gli artt. 115 e 416 cpc sia le norme contrattuali e di legge che individuano la nozione di retribuzione utile ai fini del TFR;

1.8. “violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 cpc, degli artt. 91 e 92 cpc in punto liquidazione delle spese di lite” (ottavo motivo);

si censura la ripartizione delle spese di lite “di tutti i gradi del giudizio, che la Corte d’Appello, in violazione della regola della soccombenza (artt. 91 e 92 c.p.c.) ha posto a carico della dott.ssa M. ancorché la stessa sia risultata parzialmente vittoriosa all’esito del processo”;

2. il primo motivo risulta in parte inammissibile e in parte infondato;

è stato affermato il principio secondo cui il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicché non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio (Cass. n. 8604 del 2017; Cass. n. 1377 del 2016; Cass. n. 443 del 2011);

orbene, per verificare nella specie se l’impugnazione della società avesse o meno investito la questione della invalidità del recesso in relazione all’art. 2112 c.c. la parte ricorrente in Cassazione avrebbe dovuto riportare i contenuti del reclamo della I.A. Spa, al fine di consentire a questa Corte la dedotta violazione del giudicato interno, valutando se le questioni delibate fossero o meno in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi di gravame e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio;

inoltre, dalla stessa motivazione della sentenza impugnata (pag. 3) si evince che la società, nel formulare il primo motivo di reclamo, aveva contestato: “il recesso non era intimato, né poteva esserlo, in ragione della fusione, evento futuro e del quale al momento dell’interruzione del rapporto con controparte non vi era ancora certezza”; la società, poi, nel controricorso, riporta la deduzione contenuta nella pag. 15 del reclamo, secondo la quale: “la circostanza che il licenziamento per cui è causa sia correlato alla ristrutturazione in essere, nel mesi di luglio 2018, in U. e non ad una futura fusione, e ad un futuro trasferimento d’azienda, rende superflue le argomentazioni della sentenza in ordine alla violazione dell’art. 2112 c.c. e che sancisce l’illegittimità del licenziamento intimato a causa del trasferimento di azienda”;

di modo che, posto che il reclamo era rivolto alla riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto l’illegittimità del licenziamento, al giudice del gravame era sicuramente devoluta l’intera questione della giustificatezza del recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale, rammentando poi che non è suscettibile di passare in giudicato qualunque asserzione contenuta nella motivazione d’una sentenza, riferendosi l’art. 329 cpv. c.p.c. soltanto alla sequenza logica “fatto – norma – effetto giuridico” attraverso la quale si afferma l’esistenza d’un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (cfr. Cass. n. 14670 del 2015; Cass. n. 4572 del 2013; Cass. n. 16583 del 2012; Cass. n. 16808 del 2011; Cass. n. 27196 del 2006; Cass. n. 10832 del 1998; Cass. n. 6769 del 1998);

3. i motivi dal secondo al sesto, congiuntamente esaminabili per connessione, non risultano meritevoli di accoglimento;

3.1. è opportuno premettere che, per consolidato insegnamento di questa Corte, il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui alla L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, e la nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, posta dalla contrattazione collettiva di settore, non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dalla stessa legge; dunque la giustificazione del recesso del datore di lavoro non deve necessariamente coincidere con le ragioni previste da detto art. 3, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello della libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata, ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa (tra le tante: Cass. n. 13719 del 2006 e Cass. n. 3628 del 2012);

altrettanto consolidato è l’insegnamento secondo cui, in caso di licenziamento del dirigente d’azienda per esigenze di ristrutturazione aziendali, è esclusa la possibilità del repêchage in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro (tra molte v. Cass. n. 3175 del 2013, conf. a Cass. n. 14310 del 2002; Cass. n. 322 del 2003; Cass. n. 2266 del 2007);

fermo, dunque, che il licenziamento del dirigente non richiede necessariamente la ricorrenza di un giustificato motivo oggettivo tipologicamente conformato alla fattispecie prevista dall’art. 3 della l. n. 604 del 1966- sicché perdono di rilievo decisivo le doglianze contenute nei motivi in esame circa la redistribuzione dei compiti del dirigente licenziato tra dipendenti di altre imprese, così come la pretesa violazione del repêchage – esso, tuttavia, non si sottrae ai limiti generali posti all’esercizio dei poteri datoriali, per cui esso non può essere il frutto di scelte imprenditoriali arbitrarie, pretestuose o persecutorie (cfr. Cass. n. 13958 del 2014; Cass. n. 21748 del 2010);

ma l’apprezzamento circa l’arbitrarietà o pretestuosità del recesso o l’eventuale violazione dei canoni di correttezza e buona fede, così come quello in ordine alla effettività delle ragioni espressamente poste in concreto a giustificazione del licenziamento, rientra nella competenza del giudice del merito, atteso che “la valutazione degli elementi fattuali dai quali il giudice di merito trae la persuasione circa l’uso distorto del potere datoriale, […], è accertamento che investe pienamente la quaestio facti rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta, tanto più nel vigore – come nella specie – del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014” (cfr. Cass. n. 23503 del 2017; conf. Cass. n. 23044 del 2021 e Cass. n. 2895 del 2023);

3.2. la Corte milanese si mostra consapevole dei richiamati principi di diritto e, valutando le circostanze del caso concreto, esprime il motivato convincimento che il recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale, nella specie, fosse giustificato, tenuto conto della finalità di “contenere i costi, migliorare l’efficienza ed evitare la duplicazione di incarichi e della provata incidenza di tale scelta organizzativa nella soppressione della posizione occupata da M.”, escludendo così che il licenziamento potesse considerarsi arbitrario, pretestuoso o contrario a buona fede;

rispetto a tale apprezzamento, la parte ricorrente, con plurime censure con cui evoca sempre il vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., lungi dall’evidenziare realmente errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, propone una diversa lettura della vicenda storica, oltre che una diversa interpretazione della comunicazione del licenziamento, sostenendo – secondo il giudizio che, però, è proprio della parte che vi ha interesse – che il licenziamento era, invece, ingiustificato, ma con critiche che investono il diverso apprezzamento operato in sede di merito, sollecitando così un sindacato estraneo al controllo di legittimità;

4. non è meritevole di accoglimento neanche il settimo motivo di gravame, con cui si lamenta che la Corte di Appello ha rideterminato gli importi dovuti a titolo di trattamento speciale di retribuzione e delle spettanze di fine rapporto sulla base di una retribuzione di euro 10.507,94, in luogo di quella maggiore stabilita dal Tribunale;

invero, nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della relevatio ad onere probandi, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680 del 2019; Cass. n. 3126 del 2019); inoltre, il principio di non contestazione ha per oggetto i fatti storici sottesi a domande ed eccezioni, ma non le conclusioni ermeneutiche da trarre, in ordine al valore probatorio ed all’interpretazione di documenti (cfr. Cass. n. 6172 del 2020; Cass. n. 30744 del 2017; Cass. n. 12748 del 2016);

anche in questo caso, poi, chi ricorre non specifica adeguatamente in cosa consisterebbe la denunciata violazione o falsa applicazione di norme di diritto o di contratto collettivo, mentre l’accertamento in fatto della retribuzione percepita dalla dirigente involge inevitabilmente apprezzamenti di merito;

5. il Collegio, invece, reputa fondato, nei sensi espressi dalla motivazione che segue, l’ultimo mezzo di ricorso, con cui si contesta la regolamentazione delle spese di lite del doppio grado del giudizio di merito;

5.1. va, infatti, condiviso il principio secondo il quale in caso di accoglimento parziale della domanda, anche laddove articolata in più capi, il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa (Cass. n. 13212 del 2023; in precedenza v. Cass. n. 26918 del 2018);

ciò sulla scorta di quanto argomentato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui «non può condividersi l’ampia applicazione del principio di causalità propugnata dall’orientamento giurisprudenziale che ritiene ammissibile la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali, nonostante il parziale accoglimento della domanda. Se è vero, infatti, che nel nostro ordinamento processuale coesistono criteri diversi di regolamentazione delle spese di lite, non tutti improntati al principio di soccombenza e destinati a far fronte a situazioni diverse, è anche vero, però, che al di fuori di tali ipotesi torna a trovare applicazione la regola generale, la quale esige che a sopportare le spese del processo sia colui che, come affermato da un’autorevole dottrina, risulta vinto nella lotta giudiziale: e tale è indubbiamente anche la parte che, pur avendo agito o resistito in giudizio con argomentazioni ritenute parzialmente fondate dal giudice, abbia visto accogliere, sia pure in misura ridotta, quelle della controparte. In tal senso depone chiaramente l’insistenza del Giudice delle leggi sulla “gravità ed eccezionalità” delle ragioni richieste ai fini della compensazione, nonché la sottolineatura da parte dello stesso del rischio, posto in rilievo anche dall’ordinanza interlocutoria, che la prospettiva di una condanna alle spese possa scoraggiare la parte che ha ragione dal far valere in giudizio i propri diritti, con conseguente menomazione del diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dagli artt. 24 e 111 Cost.» (Cass. SS.UU. n. 32061 del 2022);

5.2. orbene, nella specie la M., che ha agito in giudizio non solo per impugnare il licenziamento ma anche per ottenere il pagamento, come riconosciuto dalla Corte territoriale, “sia del trattamento speciale sia delle spettanze di fine rapporto e del TFR”, somme dovute e non erogate dalla società datrice di lavoro, in quanto parzialmente vittoriosa in primo grado, non poteva essere condannata, neppure parzialmente, a rifondere le spese della controparte, così come invece statuito dalla Corte medesima;

6. in conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente all’ultimo motivo, respinti tutti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura ritenuta fondata;

poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, alla luce del principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., che impone di non trasferire una causa dall’uno all’altro giudice quando il giudice rinviante potrebbe da sé svolgere le attività richieste al giudice cui la causa è rinviata, è consentito alla Corte decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., liquidando le spese non solo del giudizio di legittimità, ma anche dei gradi di merito (Cass. n. 14199 del 2021);

l’esito complessivo della lite e l’accoglimento in misura sensibilmente ridotta delle pretese attoree, oltre al rigetto del reclamo incidentale della M. in appello, giustifica la compensazione integrale tra le parti delle spese dei gradi di merito;

allo stesso modo, l’accoglimento del ricorso per cassazione, articolato su otto motivi, limitatamente alla censura sulle spese, induce il Collegio a compensare anche le spese del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

Accoglie l’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, compensa integralmente le spese del giudizio di merito; compensa anche le spese del giudizio di legittimità.