CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 30464 depositata il 2 novembre 2023
Lavoro – Dirigente – Licenziamento – Reiterata assenza alla visita medica di controllo della malattia – Accesso del medico in luogo diverso da quello di effettiva abitazione – Invito a recarsi a visita presso l’INPS – Irreperibilità temporanea ed in concreto della lavoratrice all’indirizzo di residenza – Giustificatezza del licenziamento del dirigente – Rigetto
Rilevato che
1.- B.M., assunta a seguito di pubblico concorso in data 01/05/2005 alle dipendenze della S.I.I. con contratto a tempo indeterminato e inquadrata come dirigente, era stata licenziata in data 12/09/2016 per reiterata assenza alla visita medica di controllo della malattia da lei denunziata a giustificazione dell’assenza dal 03 agosto all’11 settembre 2016.
La B. impugnava il licenziamento e deduceva che i quattro accessi del medico (nei giorni 6, 10, 15 e 18 agosto 2016) erano avvenuti in un luogo diverso da quello dove effettivamente abitava.
2.- Il Tribunale di Napoli rigettava l’impugnazione proposta dalla dirigente, volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la condanna dell’azienda al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso (in misura di 10 mensilità) ex art. 39 ccnl dirigenti aziende del terziario e di quella supplementare (nella misura massima di 16 mensilità) ex art. 34 ccnl cit.
3.- La Corte d’Appello, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava il gravame interposto dalla B..
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) sostiene l’appellante che per accedere a Via (…) – dove ella risiede – vi sono due accessi, uno da Via (…), a destra dell’albergo San Germano, accesso aperto e attraverso il quale, dopo alcuni minuti di cammino, si arriva all’edificio n. (…) dove ella abita, dove è regolarmente funzionante il citofono e dove sono posizionate le cassette postali fra cui la sua; l’altro accesso è da Via Provinciale (…), quasi sempre chiuso e con citofoni non funzionali da oltre vent’anni;
b) l’appellante assume che il medico addetto alla visita di controllo si era erroneamente recato al secondo ingresso e non aveva rinvenuto la B., che tuttavia non aveva alcuna volontà di sottrarsi alla visita fiscale;
c) questa ricostruzione è non veritiera;
d) risulta documentalmente dimostrato che in occasione delle due ultime visite – del 15 e del 18 agosto 2016 – il medico sia riuscito ad entrare nello stabile di Via (…) ed abbia lasciato un biglietto di avviso nella cassetta postale della B., con l’invito a recarsi a visita presso l’INPS;
e) tanto si evince dalla documentazione inviata dall’INPS all’appellante e da questa stessa prodotta come docc. 12 e 13;
f) tale circostanza è dirimente: nonostante l’invito, l’appellante non si è recata a visita.
4.- Avverso tale sentenza B.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- Servizi Integrati Impresa – Azienda Speciale della CCIA di Napoli ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria (ma quella della controricorrente è tardiva perché depositata cinque giorni prima dell’adunanza camerale invece di dieci).
Considerato che
1.- Il ricorso per cassazione è tempestivo, in quanto vanno considerati i 64 giorni sospensione del termine processuale, disposta dal legislatore in occasione della pandemia da COVID-19 (sospensione dal 09 marzo all’11 maggio 2020, disposta dapprima dall’art. 83 D.L. 17 marzo 2020, n. 18, che ha stabilito la sospensione dei termini processuali dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, poi dall’art. 36 D.L. 8 aprile 2020, n. 23, che ha prorogato la predetta sospensione dal 15 aprile all’11 maggio 2020).
Nel caso in esame il termine di sei mesi per proporre il ricorso per cassazione è iniziato a decorrere il 20/02/2020 (data di pubblicazione della sentenza di appello) e quindi sarebbe scaduto il 20/08/2020, a cui vanno però aggiunti i 64 giorni di sospensione, sicché il termine sarebbe scaduto in realtà il 23/10/2020. Ne consegue la tempestività del ricorso notificato in data 21/10/2020.
2.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 5 L. n. 604/1966 e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale “dimenticato” quale fosse il fatto storico da provare e su quale parte gravasse il relativo onere probatorio.
In particolare la ricorrente deduce che nella contestazione disciplinare si faceva riferimento al fatto che ella fosse “irreperibile nonostante i numerosi tentativi ed indagini poste in essere dal medico per portare a termine il proprio compito” e nella lettera di licenziamento le era stato addebitato il fatto che il medico inviato dall’INPS non avesse potuto “espletare la visita fiscale risultando Ella sconosciuta e comunque irreperibile all’indirizzo con conseguente impossibilità di rilasciare l’avviso”.
Precisa che, diversamente, nei tentativi di visita del 15 e del 18 agosto 2016 il medico dell’INPS – secondo quanto riporta la stessa Corte territoriale – era riuscito ad entrare nello stabile ed aveva anche lasciato un biglietto di avviso nella cassetta postale della B. con invito a recarsi a visita presso l’INPS. Deduce che, pertanto, ella, diversamente da quanto addebitato con la contestazione disciplinare, non era affatto irreperibile, né risultava sconosciuta all’indirizzo. Quindi – a suo dire – il fatto storico utilizzato dalla Corte d’Appello sarebbe diverso da quello posto a base del licenziamento, rimasto non provato dalla Servizi Integrati Impresa.
Infine deduce che il Tribunale aveva rigettato l’impugnazione sulla base di una ricostruzione fattuale ancora diversa, ritenendo “dato acquisito ed incontestato che per ben quattro volte il medico incaricato della verifica non ha potuto effettuare la visita, non essendo riuscito a reperire l’abitazione indicata dall’interessata” ed imputando alla dirigente di non aver eliminato le difficoltà di ordine pratico ostative al controllo da parte del medico inviato dall’INPS.
Il motivo è infondato.
E’ vero che la ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale diverge da quella del Tribunale, ma ciò non rappresenta un vizio della sentenza impugnata: l’effetto devolutivo dell’appello è tale, per cui la conclusione in diritto dei giudici del gravame ben può essere la stessa di quella del giudice di primo grado sia pure sulla base di un diverso accertamento di fatto.
Ciò posto, la contestazione disciplinare faceva riferimento alla condotta della B. di essersi resa irreperibile a quell’indirizzo. Tale condotta è stata ribadita nella lettera di licenziamento, nella quale si è aggiunto (in modo superfluo) il riferimento all’ulteriore condotta di essere rimasta la B. “sconosciuta” a quell’indirizzo. Tale ulteriore riferimento è irrilevante, posto che vige il principio di immutabilità del fatto come contestato sul piano disciplinare e tale principio è stato rispettato.
All’esito della ricostruzione in fatto della Corte territoriale tale condotta è risultata confermata. L’irreperibilità, infatti, è pure quella “in concreto” e temporanea, configurabile nel caso in cui l’indirizzo sia effettivamente quello di residenza, ma la destinataria non sia reperibile in quel luogo ed in quel momento.
Premesso che nella contestazione disciplinare si faceva riferimento ad attestazioni trasmesse dall’INPS, che dichiarava di non aver potuto espletare la visita fiscale risultando la ricorrente sconosciuta e comunque irreperibile all’indirizzo, all’esito dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale è emerso che nei giorni 15 e 18 agosto 2016 il medico incaricato dall’INPS era in effetti riuscito a individuare e ad accedere al fabbricato in cui risiedeva la B., ma non l’aveva rinvenuta, tanto da aver lasciato avviso nella sua cassetta postale. Tale avviso non ha avuto alcun riscontro e tanto basta a far ritenere giustificato il licenziamento sulla base di una condotta (di irreperibilità, temporanea ed in concreto) corrispondente a quella oggetto di contestazione disciplinare.
Le ulteriori deduzioni relative alle istanze istruttorie, non ammesse, sono inammissibili, per due ragioni.
In primo luogo, non sono pertinenti rispetto al motivo di ricorso.
In secondo luogo, esse sono state formulate sulla base della ricostruzione – disattesa dai giudici d’appello – secondo cui il medico incaricato dall’INPS per quattro volte non sarebbe riuscito ad arrivare al fabbricato (dove risiedeva la B.) di Via (…) n. 13/D a causa del tentativo di accedervi provenendo dall’ingresso errato, ossia da quello di Via Provinciale San Gennaro, sempre chiuso per motivi di sicurezza.
Invece, sulla base del diverso accertamento di fatto, la Corte territoriale ha evidenziato che tale “errore di accesso” era stato commesso solo le prime due volte (il 6 ed il 10 agosto 2016), mentre le altre due volte (il 15 ed il 18 agosto 2016) il medico era acceduto dall’ingresso esatto ed era pervenuto al fabbricato dove risiedeva la B., ma non l’aveva rinvenuta. Aveva, quindi, lasciato avviso nella cassetta postale, con invito a recarsi a visita presso l’INPS. Tale invito è rimasto senza esito, risultando così confermata la condotta di irreperibilità contestata.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, co. 1, n. 4), c.p.c., per avere la Corte territoriale motivato sia in modo inconciliabile con la motivazione posta a base del licenziamento, sia in modo intrinsecamente contraddittorio.
Il motivo è infondato.
Per quanto sopra detto con riguardo al primo motivo di ricorso, la motivazione articolata dalla Corte d’Appello (in termini di irreperibilità temporanea ed in concreto) coincide con quella posta a base del licenziamento.
Quanto poi all’asserita contraddittorietà intrinseca, essa non sussiste alla luce del significato del termine “irreperibilità”, che può assumere una connotazione anche soltanto temporanea ed in concreto, nel senso per cui l’indirizzo è quello esatto, ma la destinataria non viene rinvenuta in quel luogo ed in quel momento. Ed è proprio in questa accezione che la Corte territoriale ha inteso e utilizzato il termine “irreperibilità” e l’ha posto alla base del proprio convincimento, esattamente motivato. Che poi nella missiva di licenziamento vi fosse l’ulteriore (superfluo) riferimento alla “impossibilità di rilasciare l’avviso” (v. ricorso per cassazione, p. 15) è elemento del tutto irrilevante nell’economia del procedimento disciplinare, anche considerato che quel riferimento non compariva nella contestazione disciplinare e quindi esattamente la Corte territoriale non vi ha dato alcun rilievo.
3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta un vero e proprio “travisamento della prova”, in violazione dell’art. 115 c.p.c. Deduce che la Corte territoriale avrebbe desunto un’informazione probatoria rilevante dai documenti nn. 12 e 13 da lei stessa prodotti, che tuttavia – a suo dire ad una semplice verifica – non dimostrano affatto che il medico fosse riuscito ad entrare nello stabile di Via (…). La ricorrente si dilunga ad esaminare il contenuto di quei due documenti e a valutarlo in relazione ad altra documentazione, rappresentata sia dalla corrispondenza proveniente da lei e indirizzata all’INPS, sia dalla documentazione prodotta dalla datrice di lavoro, dalla quale emergeva che il medico aveva verbalizzato “esito visita: sconosciuto al civico”.
Il motivo è inammissibile.
Come riportato esattamente dalla ricorrente nella premessa del motivo, sussiste il “travisamento della prova” quando l’informazione probatoria riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la sua decisione sia non solo diversa, ma addirittura inconciliabile con quella contenuta nell’atto o addirittura insussistente.
Nel caso di specie, invece, l’informazione probatoria utilizzata dalla Corte territoriale esiste nel documento n. 12 a suo tempo prodotto dalla B. ed è coerente con il suo contenuto. Ne consegue l’insussistenza del travisamento della prova. La ricorrente, piuttosto, si duole della valutazione di quel documento e, soprattutto, della mancata verifica di rispondenza al vero di quell’informazione probatoria, specie se comparata con altra documentazione proveniente anche dalla datrice di lavoro. Dunque, risulta evidente che la questione agitata dalla B. non è quella del “travisamento della prova”, bensì quella del suo errato apprezzamento e della sua erronea valutazione, questione inammissibile nel giudizio di legittimità.
4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., per avere del tutto omesso la verifica di proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione espulsiva adottata, specie alla luce del fatto che i primi due tentativi di visita (del 06 e del 10 agosto 2016) erano stati infruttuosi per negligenza non sua, bensì del medico incaricato dall’INPS.
Il motivo è infondato.
In via teorica va premesso che in tema di licenziamento del dirigente, la nozione di “giustificatezza” non coincide con quelle di “giusta causa” e di “giustificato motivo” proprie dei rapporti di lavoro delle altre categorie di lavoratori subordinati. In particolare, come questa Corte ha già affermato, «rilevando la giustificatezza del recesso che non si identifica con la giusta causa, a differenza di quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità dei lavoratori, il licenziamento non deve necessariamente costituire una “extrema ratio”, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto, e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l’affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente» (ex multis Cass. ord. n. 381/2023).
Ciò posto, effettivamente, all’esito della diversa ricostruzione in fatto operata dai giudici d’appello (rispetto a quella del Tribunale), la condotta disciplinarmente rilevante di irreperibilità in concreto, contestata come imputabile alla B. per ben quattro volte, si è dimezzata.
Tuttavia, come si è visto, la nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente non coincide con quella di “giusta causa” ex art. 2119 c.c. Pertanto, essa sussiste in concreto tutte le volte in cui il licenziamento si riveli non pretestuoso o arbitrario, bensì la conseguenza di fatti che abbiano incrinato l’affidabilità e la peculiare fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dirigente.
In definitiva, ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente non è necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà o la pretestuosità del recesso datoriale (Cass. n. 34736/2019).
Alla luce di tali principi di diritto, la verifica di proporzionalità è del tutto superflua, dal momento che l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale esclude l’arbitrarietà e la pretestuosità del licenziamento e tanto basta a far ritenere il recesso datoriale assistito dalla “giustificatezza”. Ne deriva la conformità a diritto della decisione d’appello: la tutela indennitaria vantata dalla B. non può trovare accoglimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.