CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 6926 depositata il 14 marzo 2024
Lavoro – Pagamento differenze retributive – TFR – Tempo pieno – Tempo parziale – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Napoli accoglieva per quanto di ragione l’appello proposto da A.M. contro la sentenza n. 379/2017 del Tribunale di Napoli Nord, che aveva rigettato la domanda, avanzata da detto lavoratore, di condanna del convenuto patronato I. al pagamento di differenze retributive a vari titoli, e, in riforma di tale decisione, condannava l’appellato al pagamento, in favore dell’appellante, della somma complessiva di € 21.291,44 (di cui € 2.496,17 per TFR), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 29.11.2013 al soddisfo.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, nell’accogliere parzialmente l’appello del lavoratore, che riguardava la parte dell’impugnata sentenza che aveva ritenuto che i testi escussi non avessero confermato la sua tesi circa lo svolgimento di fatto di un orario di lavoro a tempo pieno a fronte di un contratto di lavoro a tempo parziale, considerava, invece, che detti testi avessero confermato le circostanze allegate dall’appellante in merito all’orario di lavoro da lui osservato, e riesaminate le risultanze processuali, nonché tenendo conto della C.T.U. contabile espletata in secondo grado, perveniva all’accoglimento della domanda del lavoratore nei limiti ritenuti provati.
3. Avverso tale decisione l’I. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4. Ha resistito l’intimato con controricorso.
5. Entrambe le parti private hanno depositato memoria.
6. Il P.G. ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, rubricato: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, il ricorrente assume “che nel presente giudizio, dalla prova orale non sono emersi elementi idonei a ritenere sussistente lo svolgimento straordinario da parte del ricorrente alle dipendenze del patronato Inca (n.d.r.: rectius: I.), non è stata resa alcuna prova dello svolgimento di un orario ulteriore rispetto a quello contrattualizzato e/o con mansioni diverse, ad avvalorare ciò è stato ritualmente depositato con modalità cartacea da parte resistente nel fascicolo di primo grado documento probatorio rilasciato dall’Ispettorato del Lavoro che con verbale n. 67/108 di verifica delle attività per l’anno 2012 del 04/09/2013 per il dipendente A. che ha accertato la regolarità del rapporto di lavoro con il dipendente”.
2. Con un secondo motivo, rubricato “Violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto”, il ricorrente assume che: “La Corte di Appello di Napoli ha omesso la motivazione che ha portato a modificare l’interpretazione delle testimonianze”.
3. I due motivi sono inammissibili.
4. Quanto alla prima censura, osserva il Collegio che la sua rubrica sembra fare riferimento (in parte) al testo dell’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. previgente alla riforma di cui all’art. 54, comma 1, lett. a), d.l. n. 83/2012, conv. con mod. nella l. 134/2012. Con tale novella, infatti, il numero 5) di detto comma è stato sostituito come segue: “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Peraltro, lo stesso ricorrente osserva che: “L’art. 360 c.p.c. fa riferimento al fatto controverso decisivo per il giudizio e non più al punto decisivo della controversia, manifestando così il legislatore l’intenzione di riferirsi al solo fatto costitutivo del diritto, il quale sia stato oggetto di discussione tra le parti, nell’ottica di ridurre in modo significativo l’ambito di applicazione della norma e di evitare sconfinamenti nel giudizio di fatto”.
In definitiva, pur in difetto di richiamo espresso e preciso, il primo motivo deve essere ricondotto al mezzo di cui al vigente n. 5) del comma primo dell’art. 360 c.p.c.
4.1 Ebbene, le Sezioni unite di questa Corte hanno insegnato che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ammette la denuncia innanzi alla S.C. di un vizio attinente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza provenga dal testo della sentenza o dagli atto processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, con la necessaria conseguenza che è onere del ricorrente, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 360, comma 2, n. 4), c.p.c., indicare il fatto storico, il dato da cui esso risulti esistente, il come ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (così Cass., sez. un., 30.7.2021, n. 21973).
4.2. Il motivo in esame non è all’evidenza conforme a tali principi di diritto.
Nelle sue deduzioni il ricorrente si duole non già dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio e controverso tra le parti, bensì del dato processuale che la Corte di merito, senza rinnovare la prova testimoniale, aveva “acquisito” quella espletata in prime cure, e, andando in diverso avviso rispetto al primo giudice, aveva ritenuto che i testi già escussi avevano confermato quanto allegato dal lavoratore.
4.3. Nel seguito ulteriore della censura si muove, poi, una generica critica all’apprezzamento probatorio compiuto in secondo grado, peraltro circoscritto alla “prova orale”, non considerandosi che la Corte territoriale nella sua motivazione si era riferita anche alla “documentazione prodotta”.
Quanto al verbale n. 67/108 dell’Ispettorato del lavoro, che il ricorrente assume di aver prodotto, senza specificare i tempi e il modo della sua produzione, dove esso sia attualmente collocato nell’incarto processuale e quando avrebbe costituito oggetto di discussione tra le parti, si tratterebbe di un elemento istruttorio di natura appunto documentale, il cui omesso esame non è di per sé deducibile con il mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. (cfr., ad es., Cass. n. 9483/2020), e di cui peraltro non si apprezza la decisività, rientrando nei poteri del giudice del merito scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare la prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 37382 del 21/12/2022).
5. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
5.1. In disparte la considerazione che il ricorrente anche in questo caso non lamenta espressamente la violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4), c.p.c. ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., né deduce la nullità della sentenza per la sostenuta omessa “motivazione che ha portato a modificare l’interpretazione delle testimonianze”, il vizio è dedotto in termini meramente assertivi, in quanto, di là dall’affermazione che: “La Corte di Appello di Napoli ha omesso la motivazione che ha portato a modificare l’interpretazione delle testimonianze”, il seguito della censura si risolve e si esaurisce in una serie di richiami di precedenti di legittimità in tema di vizi della motivazione (cfr. pagg. 5 e 6 del ricorso), non pertinenti al caso in esame, in cui non riscontra alcuna “anomalia motivazione”, nei termini precisati dal Cass. Sez.Un. 8053/2014.
6. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. Il ricorrente è inoltre tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge, e distrae in favore del difensore del controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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