CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 18539 depositata il 18 giugno 2020
Reati di truffa e appropriazione indebita – Somme ricevute da clienti per adempimenti fiscali ed amministrativi e per il versamento di imposte e contributi – Estinzione per prescrizione
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 19/09/2018, la Corte d’Appello di Cagliari – Sez. dist. Sassari ha confermato la sentenza emessa con rito abbreviato, in data 19/06/2015, dal Tribunale di Tempio Pausania, con la quale F.M. era stata condannata alla pena di giustizia in relazione ai delitti continuati di truffa e appropriazione indebita a lei ascritti, nonché al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili S.A. e S.V..
2. Ricorre per cassazione la F., a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione dell’art. 552 cod. proc. pen. in relazione alla nullità del decreto di citazione a giudizio in forma chiara e precisa. Si ribadiscono le censure già svolte in appello sul punto, sia quanto all’imputazione di truffa che quella di appropriazione indebita.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità.
Si lamenta la contraddittorietà della motivazione della Corte territoriale, che da un lato aveva lasciato intendere che tutte le somme fossero state ricevute dalla F. grazie agli artifici e raggiri costituiti dalla rassicurazione circa l’adempimento dei propri doveri professionali, e all’altro aveva ritenuto configurabile un’interversio possessionis sulle somme consegnate dai S. per il pagamento di imposte e contributi.
2.3. Vizio di motivazione quanto all’elemento soggettivo del reato. Si lamenta il mancato apprezzamento, a tali fini, delle giustificazioni addotte dalla F. per l’inadempimento (disfunzioni nel sistema informativo) e del suo successivo adoperarsi per ottenere il ravvedimento operoso: trattandosi di elementi idonei a ricondurre la vicenda nell’ambito di un “incidente di percorso”. –
2.4. Violazione della legge processuale con riferimento alla ritenuta utilizzabilità di elementi di prova introdotti in sede di discussione dopo le conclusioni del P.M., ed in assenza di provvedimenti giudiziali che ne dichiarassero l’utilizzabilità. Si osserva che la produzione del P.M. aveva avuto lo scopo di colmare le lacune già evidenziate nella contestazione, ma si trattava di elementi estranei al fascicolo a suo tempo trasmesso tal P.M. per la celebrazione del rito abbreviato, che neppure erano stati ammessi con un’ordinanza motivata, e risultavano in ogni caso inammissibili, potendo le sopravvenienze probatorie essere prese in considerazione solo se in bonam partem.
2.5. Violazione di legge con riferimento alla ritenuta inapplicabilità della prescrizione ai singoli episodi antecedenti il dicembre 2010. Si censura l’erronea valutazione della Corte, che, ai fini prescrizionali, non aveva scomposto le condotte contestate dal 2008 al dicembre 2010, considerandole come un blocco unico. Si censura inoltre la contestazione indifferenziata delle condotte, necessariamente consistenti in operazioni bancarie, nonché l’individuazione del 31/10/2010 quale momento finale della consumazione, in quanto emergeva dalle sentenze di merito che, già nell’autunno di quell’anno, S. Walter si era reso conto dei presunti inadempimenti fiscali della ricorrente: doveva pertanto essere al più individuato il 05/10/2010 (scadenza del termine per la presentazione del modello Unico 2010) quale momento conclusivo. La difesa ricorrente censura altresì il calcolo del periodo di sospensione della prescrizione, quantificabili in complessivi giorni 110, evidenziando che – considerando il momento finale indicato – i reati dovevano ritenersi prescritti già I momento della decisione di secondo grado.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato (per alcuni aspetti in modo manifesto), tranne che per il motivo concernente il calcolo della prescrizione dei reati operato dalla Corte d’Appello.
La corretta instaurazione del rapporto processuale impone peraltro l’immediata rilevazione dell’estinzione dei reati continuati di truffa e di appropriazione indebita in danno di S.A. e S. W., ascritti alla F.: è infatti ormai decorso, come si vedrà, il termine massimo prescrizionale previsto per entrambi i reati, anche tenendo conto dei periodi di sospensione della prescrizione. Peraltro, la presenza della parte civile impone comunque, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., l’esame delle censure prospettate dalla ricorrente.
2. Il primo motivo, con il quale la F. ha riproposto un’eccezione di nullità del decreto di citazione per la mancanza di una contestazione formulata in maniera chiara e precisa, è manifestamente infondato.
Risulta invero assorbente la necessità di fare applicazione del consolidato principio secondo cui «l’imputato del giudizio abbreviato incondizionato non può eccepire il vizio di genericità e indeterminatezza dell’imputazione, perché la richiesta incondizionata di giudizio abbreviato implica necessariamente l’accettazione dell’imputazione formulata dall’accusa» (Sez. 4, n. 18776 del 30/09/2016, dep. 2017, Boccuni, Rv. 269880).
3. Il secondo motivo, con il quale il ricorrente contesta la qualificazione giuridica operata dai giudici di merito, è infondato.
La motivazione della sentenza impugnata deve essere integrata, secondo il consolidato principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. ad es. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595), con le considerazioni svolte dal giudice di primo grado, che ha escluso l’assorbimento tra i reati auspicato dalla difesa attraverso una più chiara e netta distinzione tra le somme incamerate dalla F.. Si è in particolare fatto riferimento, da un lato, alle somme introitate a titolo di compenso professionale, con artifici e raggiri consistiti nel far credere alle persone offese che ella avrebbe puntualmente adempiuto l’incarico affidatole di provvedere alle incombenze fiscali ed amministrative, somme costituenti quindi il profitto del delitto di truffa continuata; dall’altro, si è fatto riferimento al danaro consegnato dai S. alla F. per i versamenti all’erario, del quale peraltro la ricorrente ebbe ad appropriarsi non destinandolo ai versamenti cui era tenuta, e quindi ponendo in essere una interversio possessionis (cfr. pag. 6-7 della sentenza impugnata),
4. Il motivo concernente la configurabilità dell’elemento psicologico è manifestamente infondato.
La Corte d’Appello ha invero valorizzato una serie di convergenti risultanze dichiarative e documentali, indicative non solo di sistematiche omissioni, a partire dal 2008, di versamenti di contributi INPS, dei diritti per la Camera di Commercio, dei pagamenti trimestrali IVA ecc., ma anche delle consegne di danaro alla consulente F. sia per a titolo di compenso, sia per i pagamenti di volta in volta rilevanti (cfr. pagg. 8-9 della sentenza impugnata).
In tale quadro, concordemente valutato dai giudici di merito quale riscontro dell’ipotesi accusatoria (un quadro connotato, tra l’altro, anche dalla vana ricerca di una bonaria ricomposizione da parte dei S.), le doglianze difensive volte a ricondurre la vicenda a problemi contingenti causati da malfunzionamento dei sistemi informatici, da “incidenti di percorso” ecc., tendono in definitiva a prospettare una diversa e più favorevole lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento è evidentemente precluso in questa sede.
5. Per ciò che riguarda la ritenuta inutilizzabilità della documentazione acquisita dalla Corte d’Appello, assume rilievo assorbente il difetto di specificità della doglianza: la ricorrente non descrive in alcun modo il contenuto e la rilevanza della documentazione sopravvenuta, ed evita di prospettare qualsiasi “prova di resistenza”, impedendo così a questa Suprema Corte qualsiasi possibilità di effettivo scrutinio (cfr. sul punto Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218, secondo la quale «nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento”).
6. Fondato è invece, come già accennato, il motivo concernente la prescrizione dei reati ascritti alla F.. La Corte territoriale (cfr. pag. 10) ha ritenuto di poter escludere la causa estintiva prendendo in considerazione, per tutti i reati unificati dalla continuazione, l’ultima condotta illecita individuata nel dicembre 2010), ed aggiungendo al termine massimo di sette anni e sei mesi un periodo complessivo di sospensione pari a cinque mesi e giorni venti: è stato così individuata, quale termine massimo per tutti i reati contestati dal 2008 al 2010, la data del 20/12/2018, anteriore all’emissione della sentenza di secondo grado.
Tale impostazione non può essere condivisa, avendo le singole condotte illecite poste in essere dalla F., pur unificate ai sensi dell’art. 81 cod. pen., piena autonomia perché riconducibili ai singoli versamenti effettuati di volta in volta effettuati dalle parti civili per le causali già ricordate: autonomia che determina precise conseguenze in tema di prescrizione, non più decorrente, dopo le note modifiche apportate nel 2005 all’art. 158 cod. pen., dalla cessazione della continuazione (il ritorno alla originaria impostazione, sancito dalla nuova formulazione dell’art. 158 introdotta dalla I. n. 3 del 2019, non è evidentemente applicabile alla fattispecie in esame, trattandosi di legge meno favorevole).
La Corte avrebbe dovuto quindi dichiarare estinti, per intervenuta prescrizione, i reati posti in essere dalla F. in data anteriore al termine prescrizionale indicato, comprensivo dei periodi di sospensione. Un termine che peraltro, alla data odierna, risulta abbondantemente decorso per tutti i delitti contestati: di qui la necessità di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, per essere i reati ascritti alla F. estinti per intervenuta prescrizione.
7. Dalle considerazioni in precedenza svolte, quanto alle ulteriori doglianze prospettate dalla ricorrente, consegue la conferma delle statuizioni in favore delle parti civili costituite.
La F. deve essere inoltre condannata alla rifusione delle spese sostenute dalle predette parti civili nel presente grado di giudizio, spese che si liquidano in complessivi 4.600, oltre alle spese generali nella misura del 15%, ed oltre a C.P.A. e I.V.A.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione. Conferma le statuizioni civili. Condanna F.M. al pagamento delle spese sostenute nel grafo dalle parti civili S.A. e S.V. e che liquida in solido tra loro in complessivi Euro 4.600 oltre spese generali al 15%, C.P.A. ed I.V.A.
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