Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 19595 depositata il 10 maggio 2023
illecita interposizione di mano d’opera – dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – reato di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti poiché dissimulano la somministrazione illecita di manodopera dietro l’apparente indicazione di tipologie di lavori diverse
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 maggio 2022, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale cli Monza, in data 27 aprile 2021, con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione, in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 del D. lgs. n. 74 del 2000, perché quale legale rappresentante della – omissis – srl, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nelle dichiarazioni presentate per gli anni di imposta 2014 2015 elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture emesse da (omissis) srl relative ad operazioni inesistenti. Con la medesima sentenza era disposta, in applicazione dell’art. 12-bis del citato decreto, la confisca diretta del profitto del reato, pari a euro 230.843,28, nei confronti della società (omissis) s.r.l. ed in via subordinata la confisca per equivalente nei confronti dell’imputato.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ricorre per cassazione, per il tramite dell’Avv. – omissis – chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, att., cod. proc. pen.
2.1 Con i primi due motivi di ricorso, Ila difesa deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, di cui all’art. 606, comma 1, b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 2 d.lgs. 74/2000 ie agli artt. 133, 163 cod. pen., 12 d.lgs. 74/2000.
Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato l’art. 2 d.lgs. 74/2000 laddove avrebbe ritenuto integrato il reato in oggetto con riguardo alle imposte dirette, a fronte di fatture soltanto soggettivamente inesistenti. Dovrebbero infatti tenersi distinte, secondo la difesa, le due imposte evase in quanto, se con riferimento all’IVA può applicarsi il principio per cui è irrilevante, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, che le prestazioni indicate nelle fatture siano 011gettivamente o soggettivamente inesistenti, lo stesso non potrebbe dirsi per le imposte dirette, con riguardo alle quali il reato sarebbe integrato soltanto nell’ipotesi di inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture..
I giudici del merito, pertanto, una volta accertato o comunque non escluso che le prestazioni oggetto delle fatture contestate siano state effettivamente poste in essere, avrebbero dovuto escludere, trattandosi di un’ipotesi di inesistenza meramente soggettiva, la sussistenza del reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 con riguardo all’evasione dell’IRES.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorrente evidenzia nel secondo motivo di ricorso la necessità di rimeditare il trattamento sanzionatorio, valutando anche la possibilità di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2.2 Con il terzo motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 322-ter cod. pen.
Con riguardo alla confisca per equivalente disposta in vi21 subordinata dal giudice di primo grado e confermata in appello, la difesa rileva, anzitutto, che sarebbe improprio il riferimento all’art. 12-bis del d.lgs. 74/2000 con riguardo alla contestazione per l’anno d’imposta 2014, atteso che il reato si è consumato in data 9 settembre 2015, al momento della presentazione della dichiarazione, e dunque in epoca anteriore rispetto all’entrata in vigore della suddetta norma, in data 22 ottobre 2015. Pertanto, con riguardo alla contestazione per l’anno d’imposta 2014, i giudici del merito avrebbero dovuto disporre la confisca ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., come richiamato dall’art. 1, comma 1.43, della legge n. 244 del 2007.
Proprio il riferimento all’art. 322-ter cod. pen. consentirebbe di escludere la confisca per equivalente del profitto del reato con riguardo all’anno di imposta 2014, alla luce della tesi difensiva secondo cui il richiamo operato dall’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 varrebbe soltanto con riferimento al comma primo dell’art. 322-ter cod. pen., quale previsione generale, dove si prevede la confisca per equivalente del solo prezzo del reato, e non anche al comma secondo, ritenuta previsione speciale non applicabile al caso di specie.
Pertanto, la difesa argomenta che dovrebbe essere esclusa la confisca per equivalente del profitto del reato in relazione alla contestazione per l’anno d’imposta 2014; argomenta, altresì, che la confisca dovrebbe essere comunque ridimensionata a fronte dell’insussistenza del reato con riguardo all’IRES, di cui al primo motivo di ricorso, scomputando dalla somma individuata quale profitto del reato, pari a euro 230.843,28, le somme pari a euro 71.695,00 per l’anno 2014 e ad euro 56. 751,00 per l’anno 2015.
3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso appare sotto tutte le prospettazioni difensiva, inammissibile perché manifestamente infondato.
2. È manifestamente infondata la censura devoluta con il primo motivo di appello perché contraria all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità. Secondo quanto accertato dalle conformi sentenze di merito, e non messo in discussione, l’imputato aveva utilizzato nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni di imposta 2014 e 2015, fatture emesse da – omissis – srl a – omissis -, per operazioni soggettivamente inesistenti alla luce dell’emersa intermediazione illegale di manodopera, essendo la prima società non autorizzata a prestare manodopera a terzi, ed avendo le fatture un contenuto falso in quanto non riferito a lavorazioni prestate, contenuto falso giacchè non vi era alcun contratto di appalto tra le due società e risultando dal testimoniale che la società (omissis) srl aveva prestato manodopera alla (omissis) srl. Secondo l’accertamento di fatto era risultato dimostrato che la società del ricorrente aveva utilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti giacchè dissimulavano la somministrazione illecita di manodopera dietro l’apparente indicazione di tipologie di lavori diverse (cfr. pag. 8).
Ciò premesso, secondo l’indirizzo interpretativo che si è formato su vicende analoghe, l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che dissimulano un’attività illecita di somministrazione di manodopera, mascherata dalla conclusione di fittizi contratti di appalto di servizi, ex art. 29 d.lgs n. 276/2003, integra una operazione soggettivamente inesistente stante il carattere dissimulato del contratto, integrando quella divergenza tra realtà fenomenica e realtà meramente giuridica dell’operazione che, secondo la giurisprudenza consolidata, integra l’inesistenza di cui all’art. 1 comma 1, lett. a) d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, Casanova, Rv. 282985 – 01; Sez. 3, n. 20901 del 26/06/2020, Rv. 279509; Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, Sez. 3, n. 27392 del 27/04/2012, Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, Moiseev, Rv. 278378 – 01) che, quanto al versante dell’Iva, fittiziamente interposto apre la strada al recupero indeibito dell’imposta stessa (Sez. 3, n. 20901 del 26/06/2020, Rv. 279509 – 02; Sez. 3, n. 29977 del 12/02/2019, Rv. 276289; Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018, Di Napoli, Rv. 275692 – 01; Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, non mass.; Sez. 3, n. 24540 del 20/03/2013, Rv. 256424 – 01), mentre con riguardo all’imposta sui redditi, l’utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione apre la strada alla detrazione di costi anch’essi fittizi perché non correlati alla prestazione reale essendo funzionale ad abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante imputazione del costo dei servizi, rappresentato dal costo del lavoro che altrimenti le società non avrebbero potuto detrarre. In tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione (Sez. 3, n. 29977 del 12/02/2019, Romano, Rv. 276289 – 01).
In conclusione, l’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 non distingue tra inesistenza oggettiva o soggettiva: oggetto della sanzione di cui all’art. 2 è ogni divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, integrando il delitto di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’utilizzazione, nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette, di fatture formalmente riferite a un contratto di appalto di servizi, che costituisca di fatto lo schermo per occultare una somministrazione irregolare di manodopera, realizzata in violazione dei divieti di cui al previgente d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, sostituito dal d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, trattandosi di fatture relative a un negozio giuridico apparente, diverso da quello realmente intercorso tra le parti, attinente ad un’operazione implicante significative conseguenze di rilievo fiscale (Sez. 3, n. 45114 del 28/10/2022, Rv. 283771 – 01), con riguardo ad entrambe le imposte per le ragioni sopra evidenziate in quanto l’esposizione nella dichiarazione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto qui richiamati ed è giuridicamente corretta.
3. Dalla manifesta infondatezza del primo profilo di censura discende la manifesta infondatezza delle ulteriori censure in punto trattamento sanzionatorio e di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
4. Anche il terzo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato. Risulta manifestamente infondata la prospettazione difensiva tenuto conto che l’orientamento consolidato di Questa Corte di legittimità secondo cui in materia di reati tributari, sussiste continuità normativa – e non si pone pertanto alcuna questione di diritto intertemporale – tra l’art. 12-bis, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 (introdotto dal D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 158), che prevede la confisca per equivalente dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato e la fattispecie prevista dall’art. 322 ter pen., richiamato dall’art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, abrogata dall’art. 14 del D.Lgs. n. 158 del 2015 (Sez. 3, n. 35226 del 16/06/2016, D’Agapito, Rv. 267764 – 01; Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Pg/Lombardo, Rv. 268386 ··· 01), sicchè risulta corretta la disposta confisca del profitto del reato con riguardo all’anno di imposta 2014 nell’ammontare indicato essendo stata disposta con riguardo alla sommatoria del profitto- risparmio di spese sia con riguardo alle imposte dirette che all’iva.
5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di€ 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.