CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 24923 depositata il 30 giugno 2021
Dichiarazione sostitutiva di certificazione – False dichiarazioni – Condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio – Unico componente del proprio nucleo familiare e mancanza di reddito – Valutazione dell’elemento soggettivo del reato – Elementi irrilevanti – Omesso riferimento in merito alla condizione di sorvegliato speciale
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescara, appellata dall’imputato D.F.F., con la quale il predetto era stato condannato per il reato di cui all’art. 95 del d.P.R. 115/02, per avere dichiarato, contrariamente al vero, di essere l’unico componente del proprio nucleo familiare e di essere privo di reddito e che pertanto sussistevano le condizioni di reddito complessivo previste dalla legge (in Pescara il 14/11/2013).
2. Ha proposto ricorso il D., a mezzo di difensore, formulando doglianze con le quali ha dedotto carenza di motivazione e erronea applicazione della legge, sia con riferimento alla valutazione dell’elemento soggettivo del reato, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che l’imputato avesse dichiarato il falso per accedere al beneficio, atteso che egli non aveva rapporti con il figlio e pertanto non poteva sapere che costui era produttore di reddito; sia quanto al trattamento sanzionatorio, non avendo quel giudice valutato la richiesta subordinata di riduzione della pena.
3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto P.M., ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Per meglio comprendere la vicenda all’esame, anche in relazione alle doglianze difensive, deve osservarsi che nella sentenza appellata il Tribunale aveva ritenuto integrato il reato a prescindere dalla consapevolezza o meno della produzione di redditi da parte di uno dei componenti il nucleo familiare dell’imputato, Per avere il D. certamente dichiarato il falso allorché aveva affermato (così come contestatogli nella imputazione) di essere l’unico componente del suo nucleo familiare.
A fronte delle doglianze veicolate con il gravame di merito (con le quali si era allegato che l’imputato nell’anno 2012 era stato residente in Colombia e che, una volta rientrato in Italia, aveva presentato, come richiesto dal Tribunale, una istanza a integrazione della precedente contenente nuove informazioni sul nucleo familiare, indicando la presenza dei suoi genitori e del figlio), con le quali si era chiesta, in subordine, l’assoluzione quantomeno per difetto dell’elemento soggettivo, la Corte di merito ha rilevato che l’imputato aveva in realtà dichiarato la sussistenza dei limiti reddituali anche con riferimento a quello del figlio, attestandone la mancanza di reddito sebbene costui avesse percepito la somma di euro 6.903,26 nell’anno 2012.
A tal fine, non ha riconosciuto alcun pregio alla generica testimonianza della ex moglie, rilevando conclusivamente che dalla omissione era derivata l’ammissione al beneficio richiesto.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
Ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità economica (cfr. sez. 4, n. 12410/2019) e le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (sez. 4, n. 20836/2019, in fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’imputato per aver omesso di riferire in merito alla sua condizione di sorvegliato speciale). La correttezza di tale ultimo approccio ermeneutico sembra trovare un appiglio testuale in quanto incidentalmente affermato dal Supremo collegio in una recente decisione riguardante la diversa, seppur correlata, tematica della revoca del beneficio, con specifico riferimento alla falsità o incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione, prevista dall’art.79, c. 1, lett. c) del d.P.R. n. 115/2002, in caso di redditi che non superino il limite di ammissibilità (cfr., in motivazione, Sez. U. n. 1472 .3 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino).
Ciò premesso, nella specie, i giudici di merito, con motivazione del tutto congrua e non contraddittoria, hanno evidenziato che era stato lo stesso imputato a indicare il figlio tra i soggetti conviventi e che costui era percettore di redditi rilevanti nel periodo di riferimento. E, in maniera altrettanto congrua, hanno spiegato perché sono stati disattesi gli elementi di segno contrario allegati a difesa, avendo ritenuto generico il portato dichiarativo dell’ex coniuge (giudizio neppure oggetto di effettiva critica e peraltro direttamente ictu ()culi riscontrabile nei passaggi della testimonianza riportati nell’atto di appello).
Dette conclusioni sono coerenti con i principi già affermati in sede di legittimità:
ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, infatti, nel reddito complessivo dell’istante, ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, deve essere comptitato anche il reddito di qualunque persona che con lui conviva e contribuisca alla vita in comune (cfr. sez. 4, n. 44121 del 2012, Indiveri, Rv. 253643) e la prova di tale rapporto stabile, nella specie, è stata ricavata dalle stesse dichiarazioni dell’imputato in sede di integrazione dell’originaria istanza. Il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 è peraltro integrato dalle false indicazioni o dalle omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (cfr. sez. U. n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Rv. 242152; sez. 4 n. 40943 del 18/9/2015, Rv. 264711).
Ma, nella specie, l’omissione ha consentito al D. di accedere al beneficio richiesto, come precisato dalla Corte di merito. E ciò rileva in ordine alla prova dell’elemento psicologico del reato in contestazione: esso è costituito dal dolo generico, anche nella declinazione più lieve del dolo eventuale (cfr. sez. 4 n. 18103 del 06/03/2017, n.m.; n. 21577 del 21/04/2016, Rv. 267307), laddove, con riferimento alla rilevanza dell’errore incolpevole, si è pure precisato che costituisce errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell’art. 47 cod. pen., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente (cfr., ex multis, sez. 4 n. 14011 del 12/2/2015, Rv. 263013, in fattispecie in cui la Corte ha, per l’appunto, affermato che l’art. 76 d.lgs. n. 115 del 2002, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 95 stesso d.lgs., non costituisce legge extra penale; sez. 6 n. 25941 del 31/03/2015, Rv. 263808; sez. 5 n. 2174 del 11/1/2000, Rv. 215480, queste ultime con riferimento a diverse fattispecie penali).
4. Con riferimento al caso in esame, l’omessa dichiarazione dei redditi di familiari, peraltro assai stretti (quale deve considerarsi un figlio), percettori di un reddito tale da determinare il netto superamento dei limiti di legge per l’ammissione al beneficio, al quale l’imputato è stato pure ammesso, è stato ritenuto (insindacabilmente in questa sede, trattandosi di valutazione di fatto), un chiaro indice della mala fede dell’agente, come tale valutabile ai fini dell’accertamento del dolo di reato, evidenziandosi l’irrilevanza della circostanza che l’omissione abbia riguardato redditi non propri, ma di soggetti conviventi, tenuto conto del decisivo rilievo dell’entità della stessa, come evidenziato dalla Corte del merito.
5. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero (cfr. C. Cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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